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Usare gli HASHTAG in maniera professionale sui Social

 

Puntuale come un orologio svizzero, rieccomi con il terzo appuntamento con suggerimenti e consigli per lavorare con i social, per voi fotografi professionisti.

Gli hashtag ormai li conoscete tutti, sono delle particolari etichette, contraddistinte dal segno “#”, che servono a richiamare l’attenzione degli utenti su argomenti o temi particolari.

Dopo Twitter, il social che li ha introdotti per primo, gli hasthag sono diventati di uso comune anche su Facebook, Instagram, Google+, Pinterest, Tumblr, Linkedin e perfino YouTube. Ma sono diventati un segno distintivo di alcuni in particolare, ovvero Twitter e Instagram.

L’Hashtag è un vero e proprio aggregatore tematico ed è utilizzato per identificare uno specifico argomento, nel tuo caso per categorizzare le fotografie che tu pubblichi, raggruppandole in contenitori tematici.

Oltre che sui social facilita la ricerca di argomenti sui blog e l’instant messaging. E’ lo strumento che Instagram ha scelto per permettere di raggiungere un’audience ampia e interessata.  

A questo punto, come si crea un hashtag? Gli spazi non esistono e nel caso in cui si decida di utilizzare più parole, le si può “separare” attraverso l’uso delle maiuscole, poiché le lettere maiuscole non modificano i risultati della ricerca. I numeri sono supportati, ma non possono essere inseriti i segni di punteggiatura, simboli commerciali o altri caratteri speciali.

Purtroppo a causa dell’algoritmo in continua cambiamento, Non è chiaro ancora se utilizzarne pochi o tanti, quali siano gli hashtag bannati e quelli per finire in popular page, sappiamo però che la scelta migliore sarebbe usarne massimo 30.

Fra i criteri di massima di cui tener conto nel loro utilizzo ci sono sicuramente la pertinenza e la popolarità, ma non vanno trascurate anche l’unicità e la memorabilità.

 

Quindi l’hashtag deve sempre essere in linea col contenuto dell’immagine. Cerca di usare solo hashtag di qualità, utilizzando “Hashtagfy”, un sito per trovare in modo semplice e veloce gli hashtag più popolari tra i social. Non usare hashtag con troppo “seguito” poiché potresti rischiare che il tuo post venga perso nel marasma dei social. Puoi usare hashtag di account autorevoli, per arrivare ad un pubblico più ampio e sicuramente interessato.

E se per caso ti accorgessi di esserti dimenticato qualche hashtag rilevante?  No problem, puoi sempre inserirlo nei commenti o modificando il post.

Attenzione: questo vale però solo per i commenti a foto pubblicate da te, non per quelle che invece sono pubblicate da altri.

E infine non spaventarti e sperimenta…la ricerca dell’hashtag perfetto non ha mai fine, purtroppo o per fortuna l’algoritmo varia continuamente.

Fai una prova, cerca i tuoi competitors, Analizza i loro post, Entra in alcuni hashtag, Analizza i post più famosi.

Inizia a farti qualche domanda del tipo: Vengono pubblicate più foto o video? Qual è principalmente lo scopo del post? In che modo viene utilizzata la descrizione? Questo ti aiuterà a capire se l’hashtag che vuoi usare è coerente con il tuo contenuto.

Quelli che possono sembrare dettagli di poco conto, fanno parte invece di un sistema complesso di “posizionamento” dei contenuti di un professionista e quindi un vero è proprio strumento di vendita. Stai valutando l’idea di adottare una strategia più completa per il tuo posizionamento?

Stefania La Rosa

info@stefanialarosa.com

sito web: www.stefanialarosa.com                                                                                     FB : @stefaniawebmarketing

LINKEDIN: https://www.linkedin.com/in/stefania-la-rosa-07525b37/

IG: @stefaledo

 

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Riccardo Piccirillo – Diego

Riccardo Piccirillo, ottimo ritrattista napoletano che abbiamo già pubblicato qualche tempo fa con il suo progetto “Seven Seconds”, ha avuto l’occasione di testare per noi una Sony A7R MKIII dotata di ottica 24-70G Master. Questo è il portfolio che ha realizzato, corredato dal suo racconto:

“A Mergellina, Napoli, ci sono delle cabine bianche e azzurre su una spiaggia. Si trovano alle spalle di quelli che vengono chiamati “gli chalet”, in un’area dove il mare non è balneabile. Lì c’è un molo, piccolo e di legno, dove sono ormeggiate alcune barche. Diego lavora dentro la cabina più vicina al molo e il suo incarico è guardarlo, esattamente come fanno i guardiani dei fari o gli incaricati della sicurezza di un museo. Nella sua cabina c’è un monitor con alcune telecamere e una piccola finestra, da dove può osservare cosa succede fuori senza essere notato. Diego passa la maggior parte del suo tempo lì dentro, in solitudine. Per me quelle cabine sono magiche. Sono sempre stato attratto da quel luogo che ho visitato tante volte. E’ curioso come lì la luce cambi continuamente e le stesse costruzioni possano sembrare nuove o diverse. Vengono fuori sempre nuovi spunti e nuovi scatti.

Diego lavora senza parlare, la sua cabina è silenziosa e umida, ha  un odore simile a quello di un banco di vendita del pesce e, in effetti, tutto intorno è pieno di reti di pescatori. In realtà la strada è proprio alle spalle ed è sempre trafficata, quindi il rumore del traffico è costante, così come il vociare della gente, ma quando ci si trova all’interno di questo suo spazio, non si sente più nulla. Lui osserva da lì dentro, non fa altro che fare quello che faccio io dietro alla mia fotocamera: restare in contemplazione, la sua forzata, la mia libera. E’ il nostro mestiere, è quello che ci accomuna. Quando lo guardo e gli chiedo di raccontarmi il suo lavoro, Diego non fa domande, non mi chiede perché, proprio come se fosse normale che io lo stessi osservando. D’altronde è il nostro mestiere. Così, mi racconta che è tifoso del Napoli, che si chiama Diego non a caso (come Maradona), e che in quella cabina passa spesso le notti e i weekend. Gli domando se succede mai qualcosa e lui mi dice che succedono tante cose, ma quasi mai brutte. Spesso i gabbiani danno fastidio e ci sono animali, gatti, topi, piccioni e cani randagi. Quando c’è una bella giornata, ci sono curiosi che si affacciano o che semplicemente vengono a prendere un po’ di sole. E quando viene il bel tempo, le barche escono. Diego sa tutto, ma nessuno sa di lui. E’ il suo mestiere e somiglia al mio”.
Prima di fare il fotografo, Riccardo era un chitarrista blues. Nel 2010 ha scattato la prima fotografia con una reflex, un anno dopo realizzò uno dei suoi più importanti ritratti durante un concerto. Il prossimo maggio uscirà il suo libro che celebra i primi dieci anni di carriera.
Per altre informazioni www.riccardopiccirillo.com

 

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Antonio Fede – Fiorire perpendicolare

Il lavoro di questo giovane autore di origine siciliana, classe 1992, è caratterizzato da uno stile mosso, da bianchi e neri carichi, da giochi di proporzioni e prospettive che pongono sempre l’accento sulle emozioni. Le nostre, le sue. Fotografa in maniera colta, profonda, come uno che attribuisce peso ad ogni scatto, ed è per questo che abbiamo deciso di pubblicarlo.

“Arrivare tardi, fuori tempo; rincorrere la propria ombra sperando si fermi. Agognare il tanto atteso e ignorarlo quando arriva. Lasciare si ripeta ogni errore, anche il più vituperato. Forse la visione è coniugata all’infinito e il fiorire, perpendicolare.

È proprio “Fiorire perpendicolare” il titolo che ho voluto dare a questo lavoro in fieri che non so bene, ancora, dove mi porterà. Un grido di inadeguatezza e precarietà, forse, generazionali; il tentativo di dare una forma ai miei fantasmi, pensieri e desideri più reconditi. Uno sguardo nella crepa che ci portiamo dentro”.

Biografia

Nasco a Messina, città nella quale tuttora risiedo. Mi avvicino alla fotografia a diciotto anni, quando, per sopravvivere alla noia della periferia, decido di acquistare una macchina fotografica. Apprendo i rudimenti da autodidatta; studio i maggiori fotografi, la storia della fotografia, e mi appassiono al racconto ma soprattutto al linguaggio. Comincio così a fotografare quello che mi sta intorno (una frazione del messinese di circa cinquecento anime) e ne nasce un lavoro, durato quattro anni: “Vite ad acqua”. Accresciuto l’interesse per le vicende e l’animo umani, decido di iscrivermi alla facoltà di Lettere moderne, presso la quale sto ancora studiando. Negli ultimi tre anni ho partecipato a diverse attività fotografiche di rilievo, tra cui un workshop tenuto da Settimio Benedusi e un altro da Letizia Battaglia (entrambi organizzati da SFM scuola di fotografia di Messina).

 

 

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Umberto Verdoliva – Procida, “isola non-trovata”

Di Barbara Silbe

Procida sta lì, sospesa tra il vento e il mare, a raccontare secoli di storia e a srotolare paesaggi da incanto come fossero un sipario. E’ anche un ramo di Napoli, un comune della città metropolitana per la precisione, proteso nel suo golfo, che insieme ad Ischia, Vivara, Nisida e Capri fa parte dell’Arcipelago Campano. Lei però è diversa da tutte. Antica, autentica, un po’ segreta, tanto da meritarsi il fregio di Capitale della Cultura 2022. L’anno prossimo si aprirà a molte iniziative e al turismo, ne sarà invasa, speriamo, quando la pandemia avrà allentato i suoi morsi su tutti noi. Noi abbiamo incontrato un fotografo che da tempo la racconta nella sua più profonda intimità. Si tratta di Umberto Verdoliva, residente a Treviso, ma nato a Castellammare di Stabia e ancorato alle sue radici come una quercia. Vive da pendolare da molti anni, con molte difficoltà, e il suo sguardo sull’isola si addentra tra le sue strade, si affaccia ai suoi balconi, si ferma con le persone e tra le architetture, come a voler osservare quello che noi non sappiamo vedere. Uno stile, il suo, che mescola sapientemente un approccio analitico-geometrico del paesaggio architettonico a inquadrature più emotive e ampie, dove le sensazioni che ci rimanda sono quelle che egli stesso prova e lascia sedimentare. I soggetti ritratti sono spesso al centro della composizione, a testimoniare quanto l’incontro con l’altro sia determinante nella sua fotografia. Le situazioni riprese sono dinamiche, spesso mosse, le diagonali e le proporzioni perfette, come in un balletto classico. Autore di strada, che si esprime usando medium analogici, Umberto ha una notevole profondità di pensiero, quella che serve a raccontare le vie che percorre senza cadere nella superficialità improvvisata tipica della street photography contemporanea. Queste le sue parole a descrizione del portfolio che pubblichiamo.

“In questo percorso, che ancora continua, Procida è stata il mio transito, il rifugio, una porta svelata con la chiave della mia fotocamera, essa ha permesso di ritrovarmi, di scoprire, di lasciar fuori stanchezze e incomprensioni di una vita che avrei voluto forse diversa.

Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata” sono i versi di una poesia di Guido Gozzano, un luogo immaginario che è lì per essere reinventato continuamente da chi ne percepisce l’animo e la grazia. Nell’isola troviamo però anche un approdo, una stazione momentanea di un transito, il fermarsi per recuperare le forze e poi proseguire. L’isola e il mare, elementi da sempre contenuti nella narrazione, hanno permesso di abbandonarmi alla bellezza del vento, alla luce, all’odore della salsedine e ai propri silenzi facendo nascere in me il desiderio ancestrale di raccontare e svelare l’enigma profondo dentro di me.

Nel termine “isolamento” la parola isola come luogo ne costituisce l’ossatura, e la vicinanza stessa con la terraferma accentua la dimensione di distanza, guardi da lontano le tue paure e sembri dimenticarle”

Note biografiche

Sono nato nel 1961 a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli. Vivo a Treviso. Fotografo dal 2006. Ho amato immediatamente la fotografia di strada, questa consapevolezza nel tempo mi ha spinto ad indagare con profondità il mio “quotidiano”, fino alla ricerca costante della poesia e della bellezza come qualità essenziali da evidenziare dell’uomo.

Dal 2010 al 2017 sono stato membro del collettivo internazionale “ViVo” e nel 2013 ho fondato “SPONTANEA” un collettivo italiano dedicato alla street photography sciolto nel 2019 che ha lasciato un significativo segno nella comunità street italiana.

La fotografia è uno strumento parallelo alla mia vita professionale e personale che utilizzo per entrare in un mondo tutto mio in cui raccontare, sognare, ricaricarmi, stare bene con me stesso e con gli altri. Narro attraverso le immagini, tutto ciò che vivo giorno dopo giorno, dalle strade sotto casa, all’ambiente di lavoro, dalla famiglia ai luoghi in cui vivo, indagando con occhio attento e profonda sensibilità, il mio vissuto per lasciare tracce e memoria anche di altri.

In questi anni ho realizzato numerosi progetti fotografici che, sebbene siano ben distinti, rappresentano il mio progetto unico, la mia storia di uomo, la memoria e il mio pensiero sulla vita.

Non amo citare i premi vinti o in cui sono stato finalista, sono elencati sul mio sito web così come tutte le esposizioni personali e collettive a cui ho partecipato. La fotografia, per me, non ha nulla a che vedere con il guadagnarsi da vivere e soprattutto non è una competizione. Considero i premi ricevuti un riconoscimento del mio percorso fotografico.

Mi piace, oltre a fotografare, trasmettere la mia passione curando laboratori, mostre, letture di portfolio, presentazioni, scrivere articoli ed approfondimenti sulla fotografia. Molte mie foto e progetti fotografici sono stati pubblicati nelle principali riviste di fotografia italiane e internazionali.

Dal dicembre 2016 collaboro con il dipartimento social della FIAF e con la rivista FOTOIT nella recensione di autori e progetti specifici.

www.umbertoverdoliva.com  

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Il writer Endless in mostra a Milano

Di Barbara Silbe

Endless venne scoperto per le strade e sui muri di Londra ed è oggi uno dei più apprezzati e noti street-artist della scena internazionale contemporanea. Non è un fotografo, ma lo segnaliamo volentieri sulle pagine di EyesOpen! Magazine mossi dallo spirito di commistione tra le varie discipline artistiche che ci è sempre piaciuto. Le sue opere, da ieri in mostra al Salotto di Milano di corso Venezia 7, nel capoluogo meneghino, sono dissacranti ed estetiche, apparentemente leggere, ma con al loro interno un messaggio provocatorio potente di critica alla società del consumi e alla futilità del lusso. La sua fama è aumentata sempre più, fino a catturare l’attenzione dei curatori, dei galleristi e dei media di tutto il mondo. Gran parte del suo lavoro si concentra sulla rappresentazione di elementi chiave della società odierna, coprendo aspetti come il “culto del marchio”, la pubblicità, il consumismo e la cultura della celebrità.

Oltre che per le strade di Londr,a le sue opere si possono visionare nella galleria londinese Cris Contini Contemporary, partner di questa esposizione italiana dal titolo The Queen & Culture Exhibition che si è tenuta a Londra lo scorso ottobre 2020 nella suggestiva location di The Crypt Gallery.  Questa versione è curata da Simona Gervasio e resterà aperta fino all’8 maggio. Raccoglie una selezione di opere ispirate al periodo del lockdown, audaci riflessioni sugli eventi chiave e sui cambiamenti sociali che hanno avuto luogo a partire da marzo dello scorso anno. Tra le opere esposte ci saranno nuove interpretazioni dei pezzi più iconici di Endless, inclusa “Lizzy Vuitton”, la sua prima opera a ottenere riconoscimento pubblico. Il suo racconto non è mai né positivo né negativo, lo spettatore è libero di esplorare la varietà di messaggi nascosti e interagire con l’estetica dirompente, dissacrante e giocosa dei suoi molteplici lavori. Lungo il percorso espositivo appare la Regina Elisabetta che fa una boccaccia, ed è spesso presente il suo celebre logo “CHAPEL”, della serie Deities (una serie di dipinti che mostrano il contrasto tra vecchi e nuovi simboli di adorazione), dove la sua reinterpretazione modifica l’iconico profumo Chanel N.5 per farci ragionare sulla trasformazione dei valori culturali in un mondo dove i marchi e le celebrities sono paragonabili a nuove divintià e  i negozi sono le nuove chiese.

Endless ha anche realizzato un autoritratto per la collezione del Museo degli Uffizi, il primo donato da uno street-artist, una tecnica mista che lo raffigura insieme a una celebre coppia dell’arte contemporanea, Gilbert & George, all’interno del loro studio. L’artista londinese è stato inoltre il primo a ricevere l’incarico, in queste settimane, di dipingere un murales nella località sciistica di Cortina D’Ampezzo, in occasione dei Mondiali di Sci Alpino 2021.

La mostra è visitabile anche virtualmente nella galleria digitale di VR Art Gate.

Altre info: tel. 0276317715

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Adriano Nicoletti – Approdo

Di Barbara Silbe

Come molti suoi conterranei, anche Adriano Nicoletti tanto tempo fa dovette lasciare la sua regione, la Puglia, in cerca di lavoro. Per poi tornare. Con questo incipit inizia la nostra intervista, pubblicata sul suo recente libro “Approdo”, al quale ho avuto il piacere e l’onore di collaborare. Queste pagine racchiudono la sua stessa esistenza e raccontano il suo modo di vivere il paesaggio, come una sorta di ossessione verso i suoi luoghi di appartenenza, un’affezione molto forte, dove lui sempre cerca un’autenticità del territorio che non sia necessariamente condivisa con tutti, ma che parta da se stesso, dalla nostalgia, da dettagli consumati che sono i ricordi e la testimonianza della nostalgia. “Nel mio percorso personale di crescita come autore – mi disse Adriano in quella lunga conversazione – ho sperimentato anche altri generi, ma raccontare il paesaggio è ciò che più mi seduce. Lo indago per capire le persone ed è un modo per orientarmi nel mondo. E’ un bene collettivo, molto collegato all’umanità, spiega come la società sia capace di darsi delle regole, come si auto-rappresenti, che rapporto abbia con la vita stessa. Non ho mai una visione puramente estetica. Io vedo due direttrici fondamentali, nel paesaggio. Una più generale, l’altra più intima. E’ per noi costruzione identitaria, forse ne è la più importante componente sia per il singolo individuo che per una società. Conserviamo riferimenti comuni a luoghi o sensazioni, abbiamo odori di elezione che ci ricordano chi siamo.”

Osservando questa produzione, sfogliando il bel libro autoprodotto e curato dalla straordinaria Benedetta Donato, con un contributo di Massimo Siragusa oltre al mio, si sviluppa un’idea di esplorazione della geografia dalla quale non può mai prescindere un ritorno e, di conseguenza, un’appartenenza e un nuovo principio. Scatti verticali, che mimano la prua della barca che entra in porto e che sono la sintesi di un progetto durato oltre 15 anni, dove il territorio del Salento diventa il pretesto per indagare gli scenari e i contesti rilevati, in un percorso che si articola tra memoria e presente, storia e mito, archeologia e architettura. Come afferma Siragusa, tra le pagine del libro: «La storia del paesaggio è storia dell’uomo». Nicoletti, sembra prendere spunto da questa dichiarazione e si sofferma sulle trasformazioni, sulle impronte che l’essere umano lascia nel proprio ambiente, modificandolo.

L’azione compiuta dall’autore, consente di accostarsi al lavoro editoriale, attraverso più livelli di lettura. Sono infatti sei le sezioni, che intervallano le oltre 75 immagini e articolano la foliazione: Arrivo, Radici, Impermanenza, Natura Umana, Tracce, Paesaggio Resiliente.

Ogni titolo rimanda a concettualità diverse che, come comune denominatore hanno i luoghi indagati, attraverso un approccio sia diretto alla comprensione dei mutamenti intervenuti sul campo oggetto di indagine sia pertinente ad un punto di vista più personale, rivolto a quell’emotività che crea legame con un territorio. Partendo dalla propria esperienza personale, l’autore compie un viaggio che, come scrive Barbara Silbe: «ci parla di una costante ricerca della sua più intima identità». Lo si comprende dalle fotografie pubblicate e da un testo, a firma di Nicoletti stesso, che fa da prefazione all’intero lavoro e che rappresenta un’omaggio alla propria terra e, al contempo, un indizio per il lettore. La capacità di analisi non manca e da una dimensione di memoria – a tratti onirica – si viene accompagnati a quello che è lo stato attuale, di un paesaggio svelato e rilevato nei frammenti e dettagli, nelle atmosfere che in esso si respirano. Non c’è rischio di cadere nel luogo comune o di riportare un’immagine stereotipata di un luogo e delle sue tradizioni. Bensì, come si legge nel saggio introduttivo della curatrice: «viene offerta una chiave di accesso ad universi, che si concretizzano in rappresentazioni di quei caratteri considerati unici e degni di attenzione. Una prospettiva nuova da cui ripartire, un’inedita sfida dello sguardo e del pensiero, verso cui continuare a tendere».

Il volume è un’autopubblicazione in edizione limitata di 300 copie. Ad accompagnarlo, il poster formato cm 30×48 con un collage di tutte le immagini presenti nel libro. Disponibile presso le migliori librerie e anche on line. Per maggiori informazioni, visitare il sito dell’autore nella sezione dedicata a questo link:

https://www.adrianonicoletti.it/fotografia/?page_id=2

BIOGRAFIA

Nato nel 1971 a Parabita, in provincia di Lecce dove attulamente vive, si accosta al mondo della fotografia a vent’anni. Durante gli anni della formazione, si trasferisce, per frequentare la facoltà di Sociologia della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e prosegue l’approfondimento della disciplina fotografica, partecipando a corsi e workshop, che lo condurranno a specializzarsi nella fotografia di architettura e del paesaggio. Nel 2018, con Federico Patrocinio, è ideatore del progetto FONT – I caratteri del paesaggio: la mostra e la pubblicazione, con contributi collettivi sulle molteplici forme del paesaggio. Nel 2019 è ideatore e direttore artistico del WeLand Photofest, festival di fotografia del paesaggio, organizzato dall’Associazione Photosintesi nel borgo di Specchia, in provincia di Lecce.

Le sue fotografie sono state esposte in diverse mostre personali e collettive, pubblicate su riviste specializzate nazionali ed internazionali. Tra  suoi ultimi progetti, si ricordano inoltre le pubblicazioni: Finibus Terrae (Camera Infinita, 2018), Borgo Pace e Con i tuoi occhi (Officine della Fotografia, 2016 – 2017). È inoltre membro di Collectiv EV, gruppo di autori operanti nel campo dell’indagine e dell’esplorazione fotografica.

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Margherita Micheletti – Ginevra

Margherita Micheletti ci racconta una storia.  La protagonista, attraverso la quale sceglie di narrare, è una giovane donna di nome Ginevra che cerca la sua strada nel mondo, che affronta ostacoli, interruzioni, paure, attrazioni e trasformazioni. Se questa storia fosse stata scritta, la giovane autrice sarebbe passata di continuo dalla terza alla prima persona: Ginevra è un modello, è lei, Ginevra siamo un po’ tutti.  Gli scatti selezionati di questa sua serie sono parte di un lungo racconto visivo che l’autrice ha realizzato durante un corso fatto da Barbara Silbe, direttore di EyesOpen! Magazine, in collaborazione con la scuola milanese di Bottega Immagine, e che riconsegna al pubblico comunicando con ognuno di noi, pur parlando a se stessa. Lo fa prendendo in prestito questa figura simbolica femminile per trattare temi universali e, al contempo, molto personali come l’accettazione di sé, la consapevolezza, il coraggio. Margherita stessa è la protagonista di questa metamorfosi e usa l’obiettivo come se fosse un microscopio, le serve a comprendere, le serve per analizzare quello che le accade. Lo fa con uno stile personale già connotato, pungente, producendo immagini eteree, contrastate, sulle quali interviene manualmente, ponendosi in bilico fra il ritratto, l’autoritratto, l’estetica e la concettualizzazione del pensiero, mescolando differenti linguaggi artistici come interventi grafici, collage e scrittura, per un risultato che ci parla inevitabilmente di fragilità e riscatto.

Questa è la sua descrizione del lavoro che con piacere pubblichiamo.

“Ginevra, la protagonista di questo racconto, è un personaggio mutevole. Persegue una continua metamorfosi (1) senza interruzioni di sorta. Ginevra non ha un volto predefinito, ne ha molti. Tutti volti di donne, che vanno a celebrare il mondo femminile in tutta la sua forza. E nella sua totale fragilità.

Lei è volubile, instabile, disturbata, disfunzionale, ma anche tenace e coraggiosa, una che va dritta agli obiettivi che si prefigge con perseveranza, una che lotta continuamente.

Viene mostrata inizialmente in tutta la sua totalità, passando da una fase all’altra. Il suo mondo è alquanto complesso, tanto da risultare contorto e intrecciato agli occhi del mondo. Così com’è intrecciata visceralmente la sua persona alla natura, con la quale si mescola inevitabilmente.

Ginevra ama senza riserve un’altra donna, con la quale ha un fitto scambio di lettere, ma è impaurita dall’amore di per sé stesso.

Durante il suo percorso, decide, in modo in apparenza consapevole, di prendere una scelta definitiva: buttarsi da un balcone, invero lo fa senza nessuna cognizione del fatto a cui sta andando incontro, quasi volesse diventar parte di quel mondo che lei vede da lassù e che non l’ha mai accettata pienamente”.

1 metamòrfoṡi s. f. [dal gr. μεταμόρϕωσις, der. di μεταμορϕόω «trasformare», comp. di μετα- «meta-» e μορϕή «forma»]. –1. Trasformazione, e in particolare trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, come elemento tipico di racconti mitologici o di fantasia, spesso soggetto di opere letterarie, spec. del mondo classico, nelle quali il termine è usato anche come titolo (nella traduz. ital.), soprattutto al plur.: le «Metamorfosi» di Ovidio, di Apuleio, di Nicandro di Colofone; «La metamorfosi» (ted. Die Verwandlung) di Franz Kafka.

Biografia

Classe 1985. Affascinata dal mondo della pellicola e dalle camere fotografiche del nonno, inizia a fotografare sin da piccola. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali e la specialistica ad indirizzo Arti Digitali, intraprende un percorso di forte sperimentazione artistica dove la fotografia è protagonista e le consente di esprimere il suo immaginario. Partecipa ad un paio di mostre e vince un concorso con una delle sue fotografie. Definisce l’obiettivo un “terzo occhio”, attraverso il quale osserva e congela in modo istantaneo oggetti e persone e la loro collocazione nell’ambiente circostante, il loro amalgamarsi, slegarsi e poi recuperarsi. Utilizza il mezzo digitale, accostato a quello analogico, nel quale si sta immergendo assiduamente. Per la sua ricerca trova sia essenziale l’unione di linguaggi artistici differenti, per questo motivo utilizza spesso l’ausilio della grafica, del collage, del disegno e della macchina da scrivere di un tempo. Il bianco e nero marcato, la luce e i colori che escono dai vinili e dall’atmosfera degli anni Sessanta, l’ambiente teatrale, che l’ha accompagnata in tutti questi anni, e una continua sperimentazione, sono una costante del suo lavoro.