Di Barbara Silbe
Lo stile di Giacomo Bruno è un misto di semplicità ed evanescenza, di concretezza e realismo magico, di opposti insomma, che sono poi quelle spiazzanti caratteristiche che fanno restare in mente il suo lavoro. Mi ha scritto qualche tempo fa, e lo pubblico con colpevole ritardo, ma per contro ho avuto settimane per lasciare sedimentare il suo progetto e comprenderlo come merita. L’autore ci racconta una storia lontana, che però appartiene a tutti noi più di quanto crediamo. Parla di un contadino tenace, orgoglioso, che ci accoglie nella sua umile casa posta in un luogo complicato, duro, impregnato di forze naturali e soprannaturali. Da queste parti, venire al mondo è già un miracolo. La sua vita è svelata da rughe, espressioni o piccoli dettagli, da inquadrature dove gli occhi dei soggetti ci accompagnano silenziosi nel mondo che li circonda, come ci si aspetterebbe da un libro di Isabella Allende o Gabriel Garcia Marquez. Veniamo condotti uno scatto dopo l’altro in un posto dove sembra sempre che debba accadere qualcosa e, nell’immobilità apparente, persone e animali convivono in simbiosi. Gli uni servono agli altri, senza parole superflue, come in qualunque cultura contadina. Poche cose costruiscono una giornata, un’esistenza senza fronzoli, sospesa in una dimensione onirica accentuata da paesaggi dai colori desaturati, o dalle pose dei soggetti che sembrano in attesa rivelati da interessanti giochi di luci ed ombre. I giorni e le notti seguono il ciclo perpetuo di una poetica narrazione, che il fotografo stesso spiega con queste parole:
Credo che ad ogni area geografica, nelle sue connotazioni e conformazioni distintive, corrisponda un archetipo di uomo che la abita. Se esiste un luogo in cui questo è particolarmente vero , ho scoperto, è la Pampa Argentina. Luoghi di immensità, di sconfinata estensione. I suoi abitanti, in certa misura, coincidono in queste caratteristiche. Uomini lineari, semplici, dallo stoicismo e pragmatismo assoluto. Una serie di “investigazioni”, più simili a un dito puntato alla cieca sulla mappa, mi hanno portato a scegliere un luogo piuttosto sconosciuto anche nella stessa Argentina: Las Islas de Las Lechiguanas, provincia di Entre Ríos. Questa aleatorietà, forse volontariamente, si applica anche alla storia, che potrebbe coincidere per similitudine con mille altre nel Paese.
¡Soy más campero que el mate!, letteralmente “Sono più campagnolo dell’erba mate!” (erba della rituale omonima bevanda, diffusissima in tutta l’Argentina), è un’espressione che ho sentito più volte ripetere, in tono fiero e pieno di orgoglio, come a descrivere la dimensione di vita tradizionale più nobile e degna possibile. Il protagonista della serie è un autentico gaucho, Buenaventura Piquet, detto Grucho. Nato nel 1958, come lui stesso ama recitare in una tradizionale Payada (versi rimati e cantati), “en la orilla del Rio del Paranà y del Rio del Ibicuy”. È infatti la diramazione di questi due fiumi che delinea e origina l’isola de Las Lechiguanas. Il Paranà è un fiume antico. Nasce in Brasile al confine fra i tre stati brasiliani di Minas Gerais, São Paulo e Mato Grosso do Sul. Percorre oltre 4000 chilometri prima di arrivare in Argentina e incontrare l’Ibicuy.
L’acqua porta con sé tutta la magia e il misticismo antico delle popolazioni native e delle terre da cui origina. Rimescola, deposita e impregna le rive con tutta l’energia del fiume, della sua forza vitale, naturale, soprannaturale. La vita sull’isola è solitaria, spartana, senza comfort. Sono in pochissimi ormai quelli che continuano ad abitarci. Ancora meno sono quelli che lì sono nati, sopra la nuda terra, quando ancora si raggiungeva la terraferma attraversando il fiume in canoa, trascinando il cavallo a nuoto per poi fare rientro allo stesso modo con una levatrice, che potesse assistere le donne nel parto e nei primi giorni di vita del neonato.
Così è nato Grucho, sull’isola della Lechiguanas. Nell’esatto luogo della sua nascita ora rimangono solo alcune pietre fondali dell’antica casa e la tomba dei suoi genitori che riposano proprio lì dove ebbe inizio la sua vita. Grucho questa terra la conosce palmo per palmo, letteralmente. Il suo legame ad essa è profondo e viscerale, al punto che è così scontato per lui come per noi lo è avere sensibilità nelle estremità del corpo, nelle dita dei piedi o nei capelli. Può sentire ciò che succede sulla sua terra. Sa sempre dove si trovano le sue greggi di bestiame, quando qualche animale è ammalato, o esausto per la fatica dopo aver provato fino allo strenuo delle forze a liberare le zampe dal pantano, chino per bere dal fiume. Lui li raggiunge, a volte trascorre giorni insieme agli animali, ne ha cura, li cura, finché non ritornano in forze.
Richiama a sé i cavalli che vagano liberi in un terreno sconfinato, spesso a svariati chilometri di distanza. Usa un fischio e qualche verso incomprensibile, ma la maggior parte delle volte sono troppo lontani perché possano rispondere al solo udito. Eppure, assertivi, fanno ritorno. Tutto sull’isola esiste sopra un confine labile tra reale e surreale. Come il “ceibo magico”, un enorme albero del corallo dotato di attributi legnosi dalle sembianze umane. Considerato sacro e magico da tutte le generazioni di cui si ha memoria. Capace di miracoli benevoli e di perfette maledizioni, secondo le circostanze e le intenzioni degli avventori.
Attraverso questa serie di fotografie Grucho ci presenta il suo mondo. Ci accoglie dentro casa, nel suo quotidiano. Ci accompagna nei luoghi dove lavora, che frequenta. Ci presenta gli amici e le persone che incontra. Un po’ attraverso la sua figura, un po’ attraverso i suoi occhi. E un po’ attraverso le sue parole.
Aqui nacì compañero,
acqui, ché, me reì.
A la orilla del Paranà y del Río
del Ibicuy.
Crecieron todas mis ansias
de campero y islero.
Soy el gaucho màs certero
que hubo en este lugar.
Recorriendo los parajes
que usted los ve,
por aquì.
En la orilla del Paranà
y del Rio del Ibicuy.
(Grucho Piquet)
Note biografiche
Giacomo Bruno è un fotografo italiano nato nel 1991 e residente a Reggio Emilia. Realizza progetti personali sulla vita, l’artigianato e l’agricoltura, fornendo approfondimenti su come le aree rurali si sviluppano e sopravvivono in tutto il mondo. Ha iniziato la sua carriera come assistente fotografo subito dopo la scuola superiore, lavorando in due studi di fotografia pubblicitaria e di prodotto fino al 2013, poi ha deciso di prendere la sua strada seguendo la passione per i viaggi e la sua vera vocazione: la fotografia di ritratto e il reportage. Ha lavorato a numerosi reportage in America Latina, Cina, Giappone, Sri Lanka, Sudafrica e i suoi progetti sono stati pubblicati sulle principali riviste internazionali, come il Corriere della Sera e Le Monde.fr, ma anche su editoriali e riviste come Perimetro, C41 Magazine, Mia Le Journal, SlackTide Mag, Zeitjung, Gräfe e Unzer, The post internazionale, Erodoto108 e altri. Ha collaborato con importanti agenzie pubblicitarie internazionali, come McCann Worldgroup, Merchant Cantos, Brunswick Group, Esse House e K48 e con importanti aziende locali come VENTIE30 e The Block MultiVisual.