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Mostra – Habib Fadel, Anime Fiorite

Di Barbara Silbe

Il lavoro di Habib Fadel sonda la profondità dei misteriosi richiami della natura e contiene una serie di rimandi simbolisti nascosti dietro a un’apparente semplicità. Libanese di nascita, ma con una formazione internazionale che abbraccia più discipline artistiche, ha scelto il capoluogo lombardo per svelare la sua ricerca fotografica focalizzata sul paesaggio: un nucleo selezionato di venti opere verticali, con il titolo di “Anime fiorite”, sarà in mostra dal 23 novembre all’8 gennaio negli spazi del Salotto di Milano in corso Venezia 7 e a cura di Simona Gervasio, per svelare parte di un percorso passato prima dalla pittura, dal cinema, perfino dalla musica. I suoi soggetti sono nature morte che compongono un racconto intimo, in bianco e nero, dedicato a quell’impercettibile sintonia che ci mette in comunicazione con il mondo naturale circostante. Le opere fine art sono state da lui stesso realizzate artigianalmente nel suo laboratorio, con la supervisione di uno dei massimi esperti di stampa fotografica al platino palladio, Giancarlo Vaiarelli, che ha conferito alle immagini definizione e preziosità eterne.

Un approccio di sperimentazione artistica consapevole, quello di Habib Fadel, che fa affiorare in me assonanze letterarie: “La Natura è un tempo, dove colonne viventi lasciano talvolta uscire confuse parole; l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli che l’osservano con sguardi familiari…“. E’ l’incipit di Correspondances, la poesia-manifesto di Charles Baudelaire inclusa nella celebre raccolta dei Fleurs du Mal. Secondo il poeta francese, le corrispondenze tra noi e quello che ci circonda sono moltissime e coinvolgono tutti e cinque i nostri sensi. Gli elementi naturali ci parlano per metafore, come fa lo stesso poeta: sta agli esseri umani decifrarne i complessi messaggi e, spesso, non basta la ragione, ma servono istinto e sentimento. Quando troviamo corrispondenze negli aspetti più indecifrabili del creato, si genera in noi stupore, e questo artista-fotografo lo sa raccontare con il tuo sguardo ponderato e gentile.  “Mentre la pittura è stata la terapia salvifica durante il periodo più tormentato della mia vita – racconta Fadel – la fotografia è oggi espressione di un tempo di particolare serenità che sto attraversando in cui la delicatezza della natura che mi circonda è fonte d’ispirazione. Mi affascina l’eleganza armoniosa con cui la natura si mostra al mondo. Amo esaltarne le forme, fra giochi di luci, esposizioni ed inquadrature“.

La sua cifra stilistica. quindi, è caratterizzata da una sorta di identificazione nel paesaggio, nella bellezza estetica della macchia mediterranea ligure (dove vive attualmente), e che cattura come farebbe un entomologo con i suoi insetti. Una ricerca per immagini che può sconfinare nella filosofia, proprio perché parte dal pensiero, dalle sensazioni e dalla simbiosi che si instaura tra l’uomo e gli elementi del mondo. Un fiore, un’agave, un ramo fluttuante, una zucca, le pale di un fico d’india… forme tonde, aguzze, armoniose, tra ombre, contrasti e astrazioni, in un compendio in bianco e nero dove tutto viene catalogato, chiamato con il nome botanico, e riconsegnato a futura memoria, caso mai dovesse scomparire. Avviene, in noi che osserviamo, quella sorta di sbalordimento che ci avvolge quando la bellezza estetica di un luogo rimanda ricordi, vissuto, e la consapevolezza dell’importanza di ogni essere vivente presente sul pianeta che tutti abitiamo. Questo genere fotografico, proprio in questo momento storico di grande sofferenza per l’ambiente, può assumere un valore molto più alto per il messaggio che può veicolare. “La natura è un tempio”, concetto prezioso da custodire e preservare che la serie esposta suggella in un messaggio forte, travalicante l’indole riservata di un autore abituato a osservare il suo giardino in solitudine. Lui lavora in profondità, perfino il tipo di stampe con le quali ha confezionato l’esposizione sottolineano l’importanza di ogni soggetto inquadrato. In un’epoca dove tutto corre veloce travolgendo quello che conta davvero, Fadel mette dei punti fermi, impone soste, per riportare l’attenzione a quei valori originali che salveranno gli esseri umani da se stessi.

 

Note biografiche

Habib Fadel nasce in Libano, a Beirut, nel 1968.  Sceglie l’Europa per scappare dalla guerra civile (1975-1990) dove, frequentando l’Institut Florimont di Ginevra, intraprende la sua formazione accademica. Rientra in patria nel 1991 dove termina gli studi con la laurea in Business Management al Beirut University College. Attratto da tutto ciò che è arte, sperimenta il canto lirico (Conservatorio di Milano 1993-1996), studia regia alla New York Film Academy di Los Angeles (1997) e scopre una forte attrazione per la pittura studiando alla prestigiosa UCLA – University of California di Los Angeles. Inizia ad esporre alcune delle sue opere tra Parigi e Beirut, sede quest’ultima del suo studio di produzione (2003). Espone nel 2012 “War, school and faces” presso Alice Mogabgab Gallery di Beirut, è del 2013 “Visage et regards” alla Galerie Jacques Leegenhoek di Parigi, vende la sua prima opera a Christie’s nel 2015 e nel 2019 allestisce, in collaborazione con Samia Mehdi Gallery di Beirut, la mostra “Tao” interamente dedicata al figlio. Il 4 agosto del 2020 una bomba distrugge la sua casa e lo studio. Oggi vive a Santa Margherita Ligure con la famiglia.

La mostra

ANIME FIORITE

Dal 23 novembre 2023 all’8 gennaio 2024Il Salotto di Milano, corso Venezia 7. 

Orario d’apertura: lunedì – venerdì 10.00 – 18.00; sabato – domenica: su appuntamento. Ingresso gratuito.

Contatti telefonici: 02 76317715

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Michele Tombolini, un’installazione monumentale contro la violenza

Un’installazione fotografica dal titolo “Linea Interrotta”, opera dell’artista veneziano Michele Tombolini, campeggia sulla parete della Questura di Venezia, e ha lanciato una open call diretta alle scuole della città di Venezia indetta e realizzata dalla Questura e dalla Biennale Educational per sensibilizzare gli studenti sul tema della violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili. Il concorso prevede il coinvolgimento degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della provincia di Venezia con lo scopo di veicolare ed amplificare maggiormente l’importante messaggio trasmesso dall’opera dell’artista.

L’opera coraggiosa e imponente del maestro Michele Tombolini (misura 40 metri quadrati), ritrae il mezzobusto di un ragazzo di dodici anni con la bocca ‘tappata’ da una X, simbolo grafico ricorrente nei lavori dell’artista con cui Tombolini simboleggia la difficoltà per le vittime di esprimersi e di denunciare la violenza. Una violenza che nella società contemporanea è declinata in molti modi, da quella di genere alla violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili nonché il cyberbullismo e l’adescamento in rete dei minori. Per sottolineare ulteriormente il messaggio dell’abuso, l’artista ha inserito l’impronta nera di una mano sul petto del ragazzino qui rappresentato con gli occhi pixellati in rispetto e a tutela dell’anonimato delle vittime adescate nel web, e nel contempo intende infondere nell’osservatore un messaggio di speranza universale, di fiducia e di rinascita. La scelta di installare tale opera d’arte all’interno della Questura di Venezia, ha lo scopo di rafforzare ulteriormente il suo messaggio, essendo la Polizia di Stato da sempre impegnata in prima linea con i suoi uomini nella prevenzione e nella lotta contro ogni forma di condotta criminale e di violenza, in particolare verso i minori e le persone vulnerabili.

Curatore del progetto artistico è il prof. Pasquale Lettieri, profondo conoscitore della filosofia di Tombolini: ‘la spettacolare opera è tutta consegnata alla segretezza del volto innocente e invisibile della figura ritratta. L’artista – ricorda il critico – impone una linea di rispetto del corpo infantile, senza mai essere catturato dalla morbosità, cosa che oggi appare con maggiore evidenza, nel nostro contorto universo in cui sessuomania e sessuofobia si scontrano in una arena mediatica che coinvolge la realtà e la virtualità, in una contaminazione, che compromette il discernimento e alimenta tanti tipi di pruderie che niente hanno a che fare con l’arte e la civiltà’.

Michele Tombolini sceglie di trattare questo tema perché, afferma: ‘sono da sempre sensibile alle tematiche sociali e ritengo che quella della pedofilia sia una piaga da affrontare ed arginare con tutti i mezzi possibili. L’arte, oltre a rappresentare il bello deve avere, a mio avviso, una valenza sociale. È uno strumento potente in grado di scardinare le coscienze, uno strumento per contrastare anche gli aspetti più drammatici della società moderna. 

L’intero progetto “Open Call For Ideas” è stato possibile grazie a una collaborazione tra la Questura di Venezia, la Biennale di Venezia e la galleria Cris Contini Contemporary. Da oltre due decenni la Biennale dedica importanti energie alle attività Educational: ogni anno decine di migliaia di bambini, ragazzi, giovani, adulti, famiglie, aziende e appassionati, fruiscono di una offerta di attività e iniziative in costante crescita. L’obiettivo principale delle attività Educational della Biennale è da sempre favorire l’incontro dei giovani con le arti contemporanee: un incontro che si declina in modo unico e irripetibile a seconda dell’età, degli interessi, delle motivazioni, delle domande e della provenienza di ciascuna persona. Tra le varie iniziative, di particolare rilevanza è l’attenzione a quei giovani che si accostano alla cultura contemporanea da condizioni di disagio o di marginalità, o che si aspettano da una istituzione quale è La Biennale una attenzione speciale rispetto alla disabilità o all’esclusione sociale.

A tal fine l’area Educational ha sviluppato un’ampia offerta di iniziative dedicate sia a persone affette da disagio psichico, da dipendenze e da forme anche gravi di esclusione, sia a persone che si trovano in un momento critico della loro esistenza, come richiedenti asilo o vittime di violenze e abusi. Tutte queste attività si svolgono da anni con passione ed è in quest’ ottica che La Biennale di Venezia ha accolto con favore l’appello della Questura di Venezia nel collaborare assieme lanciando una open call al fine di sensibilizzare e dar voce ai giovani rispetto al bullismo, al cyberbullismo e alla violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili attraverso l’Arte e la creatività.

Per informazioni sul progetto didattico, è possibile contattare l’indirizzo promozione@labiennale.org.

 

 

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Carlo Valsecchi: Caseus # 01215, intenso dialogo tra arte e industria

Platea / Palazzo Galeano di Lodi presenta da sabato 11 novembre 2023 a venerdì 12 gennaio 2024un nuovo progetto espositivo concepito appositamente per la vetrina di Corso Umberto e per interagire con il tessuto urbano circostante: la personale di uno dei principali fotografi italiani, Carlo Valsecchi (Brescia, 1965), dal titolo Caseus # 01215, curata da Gaspare Luigi Marcone.Caseus # 01215 è un’installazione fotografica che trae origine dal progetto fotografico realizzato da Carlo Valsecchi su invito della Ferrari Giovanni Industria Casearia, che documenta l’attività e l’architettura degli stabilimenti di Ossago Lodigiano e Bedonia. In occasione dei 200 anni dalla fondazione, la storica azienda lodigiana, leader nella produzione di formaggio, ha voluto infatti la creazione di un volume fotografico che celebrasse la tradizione artigianale secolare e il fondamentale capitale culturale e umano che costituiscono il marchio. Il risultato è il libro “Ferrari Giovanni Industria Casearia 200 anni”, pubblicato a maggio 2023 da Dario Cimorelli Editore, con testi di Angelo Pannofino, da cui deriva l’opera esposta a Platea.Il titolo del progetto, versione latina dell’italiano “formaggio”, seguito dal codice numerico dato dall’artista all’immagine, potrebbe anche rimandare a una costellazione, una galassia o un’entità astronomica, oltre a essere un gioco di parole tra i concetti di “caos”, “caso”, “casa” e il nome dell’alimento che costituisce una delle fondamentali anime produttive del territorio, rivelando la polisemia propria della ricerca di Valsecchi. L’invito a Carlo Valsecchi a esporre un’opera tratta da questo importante lavoro di documentazione, si inserisce nella progettualità promossa da Platea | Palazzo Galeano volta a raccontare il territorio lodigiano. L’obbiettivo è quello di sviluppare una ricognizione che prenda in esame le diverse componenti paesaggistiche che definiscono l’identità di un luogo e che includono tanto gli aspetti naturalistici, quanto la presenza umana che l’ha plasmato nel tempo. Nel suo lavoro, Carlo Valsecchi – noto a livello internazionale per gli ampi paesaggi, naturali e antropomorfizzati e per i grandi progetti fotografici e editoriali realizzati in scenari eterogenei – conduce una ricerca sulle relazioni tra luce-spazio-tempo. Lo spazio appare come scomposto in angolazioni, tagli e vedute che restituiscono un insieme di microcosmi che, nel grande formato, si esaltano in porzioni e dettagli atemporali. Lo scarto prospettico tra le diverse scale, l’individuazione di griglie e l’astrazione del soggetto, sono gli elementi principali del suo linguaggio che lavora sul disorientamento percettivo restituendo la componente più enigmatica del reale.L’artista ha reinterpretato diversi spazi, soggetti, oggetti della Ferrari Giovanni Industria Casearia creando un nuovo immaginario e un nuovo universo; per analogie visive le sue immagini possono a volte rimandare alla grande tradizione “pittorica” delle avanguardie storiche, rintracciando nelle composizioni suggestioni futuriste o metafisiche, passando da strutture astratte o verbo-visuali. Per Valsecchi l’essenza fondante del lavoro è cogliere il mistero profondo dei luoghi e degli oggetti fotografati; in questo specifico contesto l’artista ha estratto il cuore – o forse più di un organo – di un’azienda nata e radicata nel territorio lodigiano ma che nel corso dei secoli è divenuta una struttura all’avanguardia dal respiro internazionale con alta vocazione tecnologica. L’idea di metamorfosi tipica della ricerca di Valsecchi ha viaggiato in parallelo alla metamorfosi aziendale e dei suoi prodotti. L’immagine presentata a Platea, seppur estrapolata da un contesto narrativo-visivo più ampio, vive di una natura specifica grazie all’uso sapiente della tecnica e allo sguardo penetrante dell’artista, che rianima e rivela a volte i dati oggettivi, altre volte i concetti metaforici fino ad arrivare alla “pura invisibilità” o al “mistero spaziale”. In occasione della mostra Caseus # 01215, verrà inoltre presentato un intervento sonoro firmato da Mostafa Parsakia (Arāk, 1987), evocazione poetica del suono latente nei reparti di produzione dell’azienda, che ricrea un’atmosfera uditiva diversa dall’esperienza dello sguardo.

 

Note biografiche

Carlo Valsecchi è nato a Brescia nel 1965, vive e lavora a Milano. Nel 1992 il suo lavoro è stato selezionato per la Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia. Ha tenuto mostre personali e partecipato a numerose esposizioni collettive in Italia e all’estero tra cui: Istituto Italiano di Cultura, New York, 1999; Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia, 2000; Galerie 213, Parigi, 2001; Studio Casoli, Milano, 2001; Semaines européennes de l’image – Le bâti, le vivant, Lussemburgo, 2002; GAMeC, Bergamo, 2003; New Works, Guido Costa project, Torino, 2006; A ferro e fuoco, Triennale, Milano, 2006; Paris Photo, Statements, Parigi, 2007; Past, Present, Future, dalla raccolta del gruppo UniCredit, Bank Austria Kunstforum, Vienna, 2009; Lumen, una retrospettiva di metà carriera, Musée de l’Elysée, Losanna, 2009, Walter Keller Gallery, Zurigo, 2009 e Galleria Carla Sozzani, Milano, 2011; San Luis, Museo MART, Rovereto, 2011; 54. Mostra Internazionale d’Architettura – La Biennale di Venezia, Padiglione Italia, selezione di Norman Foster, Venezia, 2011; Subverted, Ivorypress, Madrid, 2012; Landmark: the Fields of Photography, Somerset House, Londra, 2013; Mare Nostrum, Walter Keller Gallery, Zurigo, 2013; Museo della Merda, Piacenza, 2015; Industria, oggi, Fondazione MAST, Bologna, 2015; No Man Nature, Palazzo Da Mosto, Fotografia europea, Effetto Terra, Reggio Emilia, 2015; Fotografie dell’Emilia-Romagna al lavoro, Fondazione MAST, Bologna, 2016; Sviluppare il Futuro, Ex Ospedale dei Bastardini, Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, Bologna, 2017; Civilization: the way we live now, MMCA Seoul, Sud Corea, 2018; Gasometro M.A.N. n. 3, Salone degli Incamminati, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Bologna, 2019; Tamen Simul, The Open Box, Milano, 2019; Bellum, Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 2022; Atlante Sapienza22, Museo MAXXI, Roma, 2023; Human.Kind. A New Look at Humanitarian Photography Through 10 Editions of the Prix Pictet, Musée International del la Croix-Rouge et du Croissant-Rouge, Ginevra, 2023-2024.Nel 2010, il libro Lumen, Hatje Cantz, 2009, è stato premiato con l’argento al Deutscher Fotobuchpreis, il premio tedesco per i migliori libri di fotografia dell’anno.

 

Associazione Platea | Palazzo Galeano Platea | Palazzo Galeano è un’associazione culturale nata a Lodi nel 2020 con lo scopo di promuovere l’arte in tutte le sue forme sul territorio locale con una prospettiva internazionale, sviluppando forme inedite di mecenatismo rivolte ai giovani talenti creativi che prevedono il coinvolgimento di artisti affermati e gallerie d’arte di primaria importanza.I soci fondatori sono un gruppo di amici appassionati di arte contemporanea e architettura e amanti della propria città: Claudia Ferrari, Laura Ferrari, Carlo Orsini, Luca Bucci, Lorenzo Bucci, Gianluigi Corsi.L’attività dell’associazione prevede la presentazione di progetti d’arte e cultura contemporanea presso lo spazio espositivo ricavato nella facciata di Palazzo Galeano, nel centro storico di Lodi: Platea. Una vetrina sempre illuminata, visibile di giorno come di notte, inaccessibile dall’esterno. Platea deve il suo nome – che contiene un preciso intento programmatico – a una generosa concessione dell’artista Marcello Maloberti, lodigiano di nascita, che, nel fare dono all’Associazione di quello che avrebbe dovuto essere il titolo di una sua nuova performance, ha detto: “Platea è l’omaggio alla città. Il nome dello spazio sottolinea l’importanza del pubblico, disposto in una grande ‘platea’, che poi è la città di Lodi, ma anche, citando Harald Szeemann, la ‘platea’ dell’umanitàE per me, il pubblico è il mio corpo.”Da questo gesto si è sviluppato il progetto culturale votato al sostegno delle più giovani generazioni creative, attraverso la costruzione di collaborazioni con artisti affermati, chiamati in veste di “numi tutelari”, e con il coinvolgimento di gallerie d’arte contemporanea d’eccellenza. Il progetto si basa sul concetto di “platea”, intesa anche come modalità molto attuale di esporre, di organizzare il display, in cui l’opera si offre allo sguardo del passante che inconsapevolmente la incrocia sul suo cammino. Per questo motivo, le opere che comporranno i cicli espositivi protagonisti di Platea saranno selezionate per la loro capacità di suscitare “un incidente di sguardo”, come annunciato nel Manifesto composto dall’associazione. GovernanceClaudia Ferrari, PresidenteLaura Ferrari, VicepresidenteCarlo Orsini, Direttore ArtisticoLuca Bucci, ProgettistaLorenzo Bucci, Social Media ManagerGianluigi Corsi, Tesoriere Con la preziosa assistenza delle volontarieRebecca Chiusa e Silvia Sanpellegrini Main partner: Ferrari Giovanni Industria Casearia Spa; Consorzio Tutela Grana PadanoIn-kind partner: Solux Led Lighting Technology; Verspieren Broker di Assicurazione. Platea | Palazzo GaleanoCorso Umberto I, 5026900, LodiWebsitewww.platea.gallery | Instagram: platea_palazzogaleano | Contattiinfo@platea.gallery

 

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Mostre – Marina Alessi, Ridere sul serio

Zelig, il cabaret di viale Monza, viaggia velocemente verso i 40 anni, ne ha 37. La trasmissione ne ha compiuti 25 l’anno scorso, è il varietà televisivo più longevo della tv italiana. Anteo Palazzo del Cinema ospita, attraverso le foto dei comici di Zelig – alcuni di loro hanno contribuito in modo determinante anche alla storia del cinema italiano – questa realtà milanese che ha saputo raccontare l’Italia. La fotografa che le ha realizzate è Marina Alessi, ritrattista di grande forza e sensibilità che ama descrivere il mondo dello spettacolo. Marina segue Zelig praticamente dalle sue origini. La mostra, voluta da Anteo e presentata da Gino & Michele e Giancarlo Bozzo, sarà visitabile per un mese – dal 6 novembre al 6 dicembre – all’interno di Anteo Palazzo del Cinema, presso lo spazio espositivo al piano terra.

Le foto di Marina Alessi

di Gino, Michele, Giancarlo Bozzo

Marina Alessi, fotografa. Giovane abbastanza per innamorarsi della vita e “grande” abbastanza per aver affinato le qualità e le tecniche che le permettano di raccontare ciò di cui la vita l’ha fatta innamorare.

L’arte del saper comunicare la interessa assai, a partire dalla scrittura e dal segno. Il teatro soprattutto. Ma anche la televisione, il cinema.

Poi il cabaret, che del teatro è la forma più diretta, lineare e sfaccettata, per non dire sfacciata. Non c’è la quarta parete, al cabaret, per questo non ci può essere un tipo di obiettivo che freni.

C’è il corpo, sì. Ci sono la parola, il gesto, la provocazione complice. Finiscono dentro l’obiettivo che obiettivo non è mai del tutto, in mano a un bravo fotografo. Davanti alla macchina fotografica, nell’occhio di Marina, c’è gente che non recita, o se recita lo fa capire, di modo che il salto verso la finzione, diventi un gioioso balzo mortale complice, che riporti al reale. Le foto, fatte da Marina, dei comici e del loro mondo sono morbide, fresche anche quando raccontano percorsi magari complessi. Ma sono vere, credibili, quasi sempre serene e coinvolgenti. I comici sanno raccontare perché sanno raccontarsi. Soprattutto Marina Alessi sa raccontarli perché ha imparato a conoscere i comici e a coglierne gli stimoli.

La storia professionale di Marina Alessi non è per nulla banale. Ha pubblicato diversi libri, gli ultimi soprattutto sul comico in tv e in cabaret.

Sono artistiche, le foto di Marina, ma mai sofisticate inutilmente. Sono vere. Dirette, raccontano la realtà, quasi accarezzandola. Garbate e credibili.

Con Marina Alessi, fotografa, il gioco è scoperto: mettersi a nudo come si fosse vestiti. E magari in abito da sera come si fosse nudi. Un gioco, come sempre quando ti propone di raccontarti e di raccontare qualcosa. Poi, a lavoro terminato, quel qualcosa sai già che ti aiuterà a capirti di più

 

Cosa ha fatto – tra l’altro – fin qui Marina Alessi: libri soprattutto. Ne citiamo tre:

  • Zelig – 25 anni di risate (Mondadori), documenta la più che ventennale collaborazione di Marina con il cuore vivo del cabaret italiano.
  • Facce da leggere (Rizzoli, in collaborazione con la rivista Vanity Fair). Contiene i ritratti di scrittori, giornalisti e intellettuali, realizzati nell’arco di sei anni, durante il Festivaletteratura di Mantova. Un libro unico e irripetibile, con 282 ritratti di scrittori, scattati con Polaroid Giant Camera 50×60 dell’Agenzia Photomovie (ce ne sono 5 al mondo e permette di fare ritratti in formato 50×60, veri e propri scatti unici).
  • 44+1 AutoRitratti (Vallecchi), una pubblicazione in cui fotografia e street art si fondono in un unico linguaggio artistico attraverso i ritratti “streettati” di alcuni fra i più affermati writers italiani.

 

 

Noi, i comici.

di Gino, Michele, Giancarlo Bozzo

Siamo quelli che hanno scelto la strada più difficile, far ridere il mondo.

D’altra parte “i comici sono comici perché qualcosa nella loro vita è andata storta”, dice La fantastica signora Maisel dell’omonimo tv-movie.

Abbiamo un’anima, noi comici. Come tutti e più di molti. Una vastità interiore fatta di emozioni, ansie, speranze, incazzature, qualche volta raziocinio.

Persino noi autori di comici e di comico inteso come genere, noi che ci lasciamo chiamare, catalogare così, non sappiamo sottrarci all’ essere vivi, in fondo credibili. Non si può fare il comico senza aver dentro un fuoco.

Hanno detto in tanti, del nostro mondo, che “a far piangere son buoni tutti, o molti; a far ridere pochi, pochissimi”.

Zelig doveva essere un locale dalle mille vite, all’inizio. Per questo lo si chiamò così: come il Leonard Zelig, protagonista dell’omonimo film capolavoro di Woody Allen (si vede che amiamo il cinema?), quel locale da novantanove posti doveva cambiare sembianze in continuazione: una sera jazz, un’altra rock, un’altra ancora comicità.

Ma molto presto capimmo, noi tre, che la città aveva bisogno di un luogo votato quasi esclusivamente alla lettura divertita del mondo circostante. Così la parola Zelig rimase a segnare i vari aspetti del Comico, che forse sono i molti aspetti della realtà che viviamo.

Per questo, pensiamo, Marina Alessi – fotografa ritrattista – ha scelto di raccontare Zelig. Perché non ha mai amato annoiarsi. Cercare, rubare l’anima ai comici con una fotografia, è un gran bel mestiere, e una gran bella scommessa. Ci vuole tanta curiosità, aspetto principe dell’intelligenza, e una buona dose di sensibilità. La prima ti deve spingere a capire, l’altra ti dà il dono della delicatezza senza la quale non entri nei cuori e nello stomaco di chi è sul palco.

Guardate le foto, in fondo siamo quasi dei libri aperti: è una gran dote, lo scegliere di donarsi al mondo.

Due cose ancora:

Anteo è un cinema. Per noi è un po’ la celebrazione del cinema a Milano.

Qualcuno ha mai pensato a quanti comici di Zelig, alcuni nati proprio a Zelig, hanno contribuito a fare la storia del cinema italiano degli ultimi venti, trent’anni? Basterebbero per tutti Aldo Giovanni e Giacomo e Checco Zalone. Ma potremmo aggiungerne tanti davvero, da Antonio Albanese, a Paola Cortellesi, Ficarra e Picone, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Vanessa Incontrada, Angela Finocchiaro, e via così.

 

Il 12 maggio del 2023 il Cabaret Zelig in viale Monza compie 37 anni.

Il cinema Anteo è nato il Primo Maggio del 1979. Ha 44 anni.

Zelig, la trasmissione tv è nata nel novembre del 1996. Ne ha 27.

A Milano succedono cose…

Info:

Ridere sul serio – Le foto a Zelig di Marina Alessi, presentate da Gino, Michele e Giancarlo Bozzo

Dal 6 novembre al 6 dicembre 2023 presso Anteo Palazzo del Cinema (via Milazzo, 9 – Milano).

Inaugurazione 6 novembre ore 18, ingresso gratuito.

Anteo Spa, http://www.spaziocinema.info tel. (+39) 02 43912769

Facebook: spazioCinema
Instagram: spaziocinema

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Mostra – Linda Vukaj, Immagini di Confine

La Galerie Jammin di Berlino ospita il 27 ottobre 2023 la mostra fotografica di Linda Vukaj “Immagini di Confine”: 36 scatti realizzati dall’artista in Terra Santa fra Israele e Palestina per una narrazione composta da volti, emozioni e storie che arrivano dalle terre di conflitto. Con le sue immagini Linda Vukaj, artista di origine albanese e parmigiana d’adozione, pone domande, offre dubbi, approfondimenti, voglia di sapere, testimonianze e desiderio di una vita libera e normale in terre di conflitto, fra Israele e Palestina. Il progetto Immagini di Confine”, composto da 36 stampe fotografiche in bianco e nero, è stato realizzato nel 2016, durante il suo primo viaggio nella città di Gerusalemme, a Betlemme e nei luoghi vicini: scatti di drammatica attualità alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente, che saranno in mostra a Berlino alla Galerie Jammin nell’ambito della serie di eventi “Erkenntnis/Empörung/Engagement – Realizzazione/Indignazione/Impegno”. Oltre a Linda Vukaj, saranno presenti Philipp Sonntag, autore di libri e sopravvissuto all’Olocausto e il sassofonista danese Benjamin Madsen. Nel suo lavoro Linda Vukaj ha catturato le complesse realtà e le profonde emozioni di zone di conflitto come Israele e Palestina, dove il dolore è profondamente radicato da decenni. Immagini che scuotono e servono a ricordare le storie umane e le dinamiche che si sviluppano nel mezzo di questa guerra in corso. Attraverso la sua arte, l’artista riesce a trasmettere le toccanti emozioni che si intrecciano in questi territori.

«Immagini quotidiane, profonde, vere se questo termine ha ancora un senso nel nostro faketime – scrive Antonio Mascolo nella prefazione del catalogo di Immagini di Confine – Rispetto è la tinta più forte per raccontare gli spostamenti progressivi di un territorio. Ascolto è la sfumatura dello scoprire un territorio fatto di paura e normalità, fedi e laicismo, silenzio e caos, movide e messe, processioni e ambulanze, attentati e attesa degli attentati, esercito e povertà, umiliazioni e bellezze». «Un territorio -aggiunge- che è mistero, labirinto, che ti fa girare la testa, che ti cambia. Un territorio dove entri con una idea e puoi uscirne con una assolutamente opposta. Scatta Linda nella complessità e trova con occhi giusti sguardi giusti, timori e tremori. Le religioni delle speranze e la realtà vergognosa di un Muro lager fatto da un popolo che è stato vittima dei lager».

Note biografiche

Nata a Durazzo (Albania) Linda Vukaj interrompe gli studi a Facoltà di Fisica a Tirana durante la caduta del regime comunista nel 1991 in Albania e si trasferisce in Italia. A Parma, completa il percorso universitario in Metodologie Fisiche, presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali all’Università di Parma. Dal 2000 si dedica alla fotografia. Viaggi, storie di vita e di tutti i giorni dei luoghi e delle persone che la circondano, sono i suoi soggetti preferiti. Specializzata in reportage e fotografia di ritratto, con un particolare interesse ai temi sociali, ha esposto le sue fotografie a New York, Berlino, Pristina, Belo Horizzonte (Brasile) oltre che in Italia – a Roma, Bologna, Parma, Reggio Emilia, Cesena, Modena e Piacenza. Ha vinto premi nazionali e internazionali e realizzato diverse pubblicazioni.

https://www.lindavukaj.com/
Progetto Immagini di Confine

https://www.lindavukaj.com/portfolios/gerusalemme/

contatti: linda.vukaj@gmail.com

GALERIE JAMMIN

Alt-Köpenick 18, 12555 Berlin

27 ottobre 2023, ore 18, ingresso libero

È richiesta la registrazione. Si prega di inviare una breve e-mail a: mail@jammin.gallery

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Mostre – Romanzo Italiano

Un affresco a quattro mani sul tema del matrimonio che si fa specchio della società italiana, è questo il senso della mostra che vede protagonisti i fotografi Franco Carlisi e Francesco Cito. Un corpus di 120 fotografie in bianco e nero dei due autori saranno in mostra dal 12 al 29 ottobre presso lo Spazio Field di Palazzo Brancaccio a Roma, a cura di Giusy Tigano. Organizzato dall’agenzia fotografica milanese GT Art Photo Agency in collaborazione con SMI Technologies & Consulting Srl, con il patrocinio del Municipio I Roma Centro il confronto tra loro consente un dialogo tra stili per comporre insieme una narrazione a due voci su un tema comune, quello del matrimonio. Osservando le fotografie di Carlisi e Cito ci si trova di fronte a un romanzo per immagini intenso, incalzante e sorprendente, che esce completamente dagli schemi e rimane impermeabile alle convenzioni classiche della più comune fotografia di settore, ancorata a stereotipi di stile e di linguaggio, per lasciare spazio a un’esplorazione del tema defilata, spiazzante e in controtendenza. Le immagini in mostra si susseguono e si intrecciano come elementi armonici di una partitura che si ripete quasi immutata da secoli, per raccontare – con sguardo a volte poetico e a volte ironico e disincantato – le sorprese emotive e i molteplici risvolti relazionali e sociali di uno dei riti di passaggio fondamentali della nostra società e della nostra cultura.

Le opere di Franco Carlisi sono una selezione del più ampio progetto “Il Valzer di un giorno”, il cui libro è stato vincitore del Premio Bastianelli nel 2011 e del Premio Pisa nel 2013. Il giorno è  quello delle nozze, in una Sicilia nascosta, periferica, esplorata oltre il recinto delle codificazioni e delle convenzioni entro cui i protagonisti del rito matrimoniale costruiscono la loro recita. Nel sontuoso bianco/nero delle stampe, di suggestione quasi barocca, le fotografie accettano la sfida del tempo, per sorprendere nel suo flusso caotico l’attimo in cui il senso si rapprende, in un abbraccio, in una movenza, nella lacrima di una sposa, in una coppia che si invola in una giostra, dispiegandosi in una spazialità ricca di sinuosità e di anfratti, di tonalità intermedie fra lo scuro denso delle ombre e i bianchi accesi di una luce che non si arrende.

“L’occhio di Franco Carlisi coglie continuamente dei “fuori campo” e ce li restituisce, direi proprio da narratore, con straordinaria vivezza e intensità. Le foto matrimoniali di solito anelano all’evanescenza, alla leggerezza, alla purezza, alla solennità. Invece, attraverso lo sguardo  di Carlisi, tutto diventa carnale, vissuto forte, reale, senza mezze tinte” (Andrea Camilleri, introduzione al libro fotografico “Il Valzer di un giorno” di Franco Carlisi).

La selezione fotografica del maestro Francesco Cito è invece parte della sua più vasta indagine dal titolo Matrimoni Napoletani” (o “Neapolitan Wedding”), vincitrice del prestigioso World Press Photo nel 1995 (categoria “Day in the life”, 3° premio). Anche in questo caso, non si rinviene traccia della staticità e della monotona ripetitività della classica fotografia matrimonialista “di mestiere”, spesso assoggettata per necessità alle specifiche richieste degli sposi; si delinea piuttosto una cifra espressiva fortemente autoriale e slegata dai dettami della fotografia di genere convenzionale e stereotipata.

“Napoli, perché sposarsi qui non è solo folclore ed esibizione. Non è solo un giorno speciale nella vita, intesa come la vita vera. Tutto il contrario è la sospensione dell’ordinario, il trasferimento momentaneo ma radicale di un’intera comunità parentale, amicale, sociale in un’altra dimensione, senza più alcun rapporto con l’esistenza ordinaria di tutti. Cito affronta una ‘struttura’ possente, coerente, collaudata, funzionante: il moderno matrimonio foto-genico nella sua fenomenologia più completa e pura. E la de-struttura per comprenderla e smontarla con cura, con i guanti e il monocolo all’occhio, come si fa con il meccanismo di un orologio di cui, da fuori, si vedrebbe solo l’ostentato ticchettio e il circuito delle lancette” Michele Smargiassi, introduzione al libro fotografico “Neapolitan Weddings” di Francesco Cito).

La mostra evento “Romanzo italiano” si sviluppa all’interno dello Spazio Field accompagnata da un’installazione artistica di particolare impatto, curata dallo studio di Architettura luoghiCOMUNI, che esalta l’intensità evocativa delle immagini e ne rafforza la potenza comunicativa. Studiata per creare suggestioni e facilitare visioni personali, l’installazione si sviluppa attraverso le diverse sale espositive in modo silenzioso e acromatico, stimolando un continuo rimando tra le immagini e la storia personale di chi visita la mostra. Accompagnando nel visitatore un crescendo emotivo e avvolgente, nell’ultima sala di questo percorso immersivo l’installazione ricrea la giusta distanza per lasciare spazio alla visione soggettiva e ad una riflessione più riservata su tutto ciò che è “il prima” ed “il poi” di  questo giorno speciale tanto atteso e carico di significati. Si tratta quindi di un progetto a tutto tondo in grado di esprimere la carica visionaria dei due fotografi che, pur differenziandosi tra loro, lavorando in geografie differenti e mantenendo intatta la propria identità autoriale distinta e singolare, sono in grado di rappresentare un tema tutto italiano in maniera congiunta e coerente, quasi simbiotica, dimostrando un’originalità inedita e sorprendente, una profonda e amabile leggerezza, e una rara e commovente sensibilità.

Come scrive Gianmaria Testa commentando il lavoro di Carlisi, “Non l’urgenza di un attimo da conservare a futura e immobile memoria. Queste fotografie sanno frugare fra le pieghe, rubano tempo al tempo, lasciano indovinare un prima e anche intravedere un poi; misurano a scatti la distanza fra il guardare e il vedere”.

Precedentemente esposti più volte – singolarmente – in altre città (sia italiane che estere) con una selezione fotografica spesso più ridotta, i due fortunati progetti di Carlisi e di Cito si coniugano per la prima volta insieme in un duetto inedito, toccante e convincente, in una location d’eccezione della nostra prima città italiana, componendo in ambienti scenografici memorabili una esposizione raffinata, intensa e indimenticabile che si fa vetrina di costume, storia sociale, emozione condivisa.

Info:

Franco Carlisi, Francesco Cito. Romanzo Italiano

SPAZIO FIELD, Palazzo Brancaccio,Via Merulana 248, Roma

Ingresso libero. Inaugurazione giovedì 12 ottobre dalle ore 18.30

Informazioni al pubblico info@spaziofield.com; GT Art Photo Agency| 02.36551643

 

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Al Pac di Milano torna “Ri-Scatti”, mostra di fotografia sociale.

Dal 7 ottobre al 5 novembre 2023, al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano torna la nona edizione del bel progetto di fotografia sociale RI-Scatti. Questa edizione parla di diversità con “Chiamami col mio nome”, focus sulla vita, sulle esperienze, sulla quotidianità delle persone transgender che vede protagonisti sedici soggetti.

La rassegna è ideata e organizzata dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da Ri-scatti ODV – l’associazione di volontariato che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia – e promossa dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s. L’edizione di quest’anno è realizzata in collaborazione con l’Associazione per la Cultura e l’Etica

L’esposizione, a cura del conservatore del PAC Diego Sileo, si propone di raccontare storie vere, alcune volte amare, altre gioiose, ma assolutamente frutto di una libera espressione. Più di trecento fotografie mettono in luce le identità delle persone trans e il loro sofferto percorso di transizione, accendendo i riflettori sulle difficoltà nel riconoscersi prima ancora che farsi riconoscere e accettare dalla propria famiglia, dai propri amici, dalle istituzioni e dalla società. Ancora oggi l’Italia risulta al primo posto in Europa per numero di episodi di transfobia: molte sono le violenze e i soprusi, a causa di ragioni sociali e culturali, che le persone trans vivono durante la propria esistenza.

Gli scatti in mostra al PAC sono quelli di Alba Galliani, Antonia Monopoli, Bianca Iula, Elisa Cavallo, Fede, Ian Alieno, Lionel Yongkol Espino, Logan Andrea Ferrucci, Louise Celada, Manuela Verde, Marcella Guanyin, Mari, Nico, Nico Guglielmo, Riccardo Ciardo, Seiko. Dopo aver seguito un percorso formativo supervisionato come sempre da fotografi professionisti, volontari di Ri-scatti, tutti hanno trovato la forza e il coraggio di raccontarsi con la macchina fotografica in mano, di mostrarsi con le loro fragilità e insicurezze, riconoscendo e utilizzando la diffusione della conoscenza come prima arma di difesa contro la transfobia. La corretta informazione e il contatto con persone che pensiamo lontane, ma che semplicemente non conosciamo, può infatti aiutarci a rivedere le nostre posizioni e, più semplicemente, a comprendere.

Con un’offerta per gli scatti in mostra si potrà contribuire a sostenere l’operato dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e dell’Associazione ALA Milano.

CHIAMAMI COL MIO NOME7 ottobre – 5 novembre 2023PAC Padiglione d’Arte Contemporanea Via Palestro, 1420121 Milanowww.ri-scatti.itwww.pacmilano.itMOSTRAOrari: da martedì a domenica ore 10—19:30giovedì ore 10—22:30Chiuso il lunedìIngresso libero

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Mostra – Beauty and Desire

Dal 23 settembre 2023 al 14 febbraio 2024, il Museo Novecento di Firenze celebra a uno dei maggiori esponenti della fotografia del novecento, Robert Mapplethorpe (New York, 4 novembre 1946 – Boston, 9 marzo 1989), in un confronto inedito con gli scatti di un altro artista, Wilhelm von Gloeden, e una selezione di fotografie dall’Archivio Alinari. Quarant’anni dopo la grande mostra del 1983 al Palazzo delle Cento Finestre, che fece conoscere proprio a Firenze l’opera di Mapplethorpe, tornano le immagini del celebre fotografo newyorkese con un progetto organizzato in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation e della Fondazione Alinari per la Fotografia.

A cura di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, assieme a Eva Francioli e Muriel Prandato, questa è la seconda grande mostra che il museo fiorentino dedica alla fotografia, pratica che ha rivoluzionato la storia dell’arte a partire dall’Ottocento. Ospitata negli spazi espositivi al primo e al secondo piano, “Beauty and Desire” trae spunto da un nucleo consistente di opere che mette in luce l’intensa produzione artistica di Mapplethorpe, sottolineando il legame della sua ricerca con la classicità, nonché il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico, reso evidente tanto nello studio del nudo maschile e femminile, quanto nella natura morta, equiparando i corpi agli oggetti secondo una visione e una sensibilità di scultore.

A partire da questo focus, il lavoro di Robert Mapplethorpe è messo a confronto con alcune fotografie risalenti alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, provenienti dagli Archivi Alinari. Fra queste, assumono uno speciale rilievo alcune immagini del barone Wilhelm von Gloeden, tra i pionieri della staged photography e punto di riferimento per alcune fotografie di Mapplethorpe. Uno dei tratti distintivi delle atmosfere che animano le composizioni di von Gloeden è proprio il richiamo al passato, concepito quale inesauribile bacino di soggetti e suggestioni: un segno stilistico unico, che Io rende ancora oggi un’icona.

“È con grande soddisfazione che inauguriamo Beauty and Desire, la straordinaria mostra incentrata sull’opera fotografica di Robert Mapplethorpe e del barone von Gloeden, a cui vanno ad aggiungersi foto storiche dell’archivio Alinari — afferma Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. — Questo è un progetto che abbiamo voluto per celebrare i quarant’ anni dalla grande mostra realizzata a Firenze nel 1983, che fece conoscere la potenza e purezza degli scatti di Mapplethorpe a tutti i fiorentini e non solo. Beauty and Desire inoltre conferma la volontà del Museo Novecento di essere ponte tra la fotografia agli albori del Novecento e l’arte contemporanea, così come tra istituzioni fiorentine e internazionali come quella della Fondazione Alinari per la Fotografia e della Fondazione Mapplethorpe, che voglio ringraziare per il supporto e la collaborazione scientifica. Con questo progetto i curatori si propongono di gettare nuova luce sulla complessa articolazione della ricerca di Mapplethorpe, a partire da un inedito accostamento con le fotografie di von Gloeden, un confronto evocativo e a tratti puntuale, che rivela il ricorrere di temi comuni: motivi che attraversano il tempo e giungono fino a noi, ponendosi come spunti di riflessione sull’attualità, soprattutto su come arte, morale, religiosità e spiritualità, cambino e si evolvano nella loro reciproca relazione”.

La mostra trae spunto da un nucleo di circa cinquanta fotografie selezionate tra le centinaia dell’intensa produzione artistica di Mapplethorpe suddivise per sezioni tematiche, grazie alle quali è possibile focalizzare l’attenzione sul rapporto tra Mapplethorpe e l’antico, la sua passione per i maestri che lo hanno preceduto come von Gloeden e i fratelli Alinari, la stretta comprensione se non affinità con Michelangelo Buonarroti, al quale Mapplethorpe si ispirò e con cui si relaziona anche grazie alle fotografie scultoree realizzate dagli Alinari, cogliendo il senso estetico delle pose atletiche, e in particolare della compressione di masse muscolari trattenute e pronte a esplodere con grande energia.

Il progetto si propone quale ulteriore contributo alla conoscenza del grande fotografo statunitense nel nostro territorio, a cui in passato sono state dedicate, tra le altre, una mostra a cura di Germano Celant al Centro Pecci di Prato (1993) e un’esposizione a cura di Franca Falletti e Jonathan K. Nelson alla Galleria dell’Accademia (2009): mostra, quest’ultima, che già metteva in luce l’innegabile relazione tra Mapplethorpe e Michelangelo. L’interesse per l’antico e la passione per i fotografi che Io hanno preceduto sono una costante nell’opera di Robert Mapplethorpe che fu un appassionato e curioso collezionista di fotografie. Va aggiunto che l’artista compie agli inizi degli anni Ottanta un celebre viaggio in Italia, durante il quale ha la possibilità di confrontarsi direttamente con il paesaggio di Napoli e la potenza disarmante delle rovine che annullano agli occhi del fotografo la distanza tra il presente e il passato, in una prospettiva che è già di fatto post-moderna. Fu a Napoli che entrò per la prima volta in contatto con le fotografie di von Gloeden, grazie soprattutto a Lucio Amelio, il celebre gallerista legato a Andy Warhol e Joseph Beuys che del fotografo tedesco era un apprezzato conoscitore e collezionista, e al quale dedicò fra il 1977 e il 1978 una mostra e due pubblicazioni, con prefazioni di Marina Miraglia e Roland Barthes. Fu nella stessa galleria di Lucio Amelio che Mapplethorpe espose nel 1984, proponendo un approccio autonomo alla fotografia, e un intenso connubio di elementi formali e contenuti soggettivi trasversali e liberi da ogni conformismo, in cui ad affiorare erano le continue metamorfosi tra spirito apollineo e sensualità dionisiaca, tra gli archetipi figurativi del mondo classico e l’iconografia del mondo cattolico.

I soggetti, le pose, le atmosfere sospese delle composizioni, così studiate e ponderate nella messa in scena in studio, ci guidano alla scoperta di un’idea non convenzionale di bellezza e di eros, di quella che potremmo definire una sessualità spiritualizzata al limite dell’arte per l’arte. Le opere in mostra, pur traendo ispirazione dai canoni della classicità, sembrano infatti condurci lungo traiettorie estetiche non scontate e a tratti perturbanti, sollevando e risolvendo interrogativi sul tema del corpo e della sessualità la cui eco risuona, a tratti immutata, nella cultura visiva contemporanea, dove la censura e il giudizio morale sono sempre pronti a mettere sotto accusa la bellezza e il desiderio. Ma la grandezza artistica di Robert Mapplethorpe sta proprio in questa capacità di sopprimere ogni falso moralismo, costringendoci a una osservazione frontale, iconica, dei corpi e dei sessi esibiti come oggetti, e al tempo stesso trasfigurando questi ‘oggetti’ in forme pure, con un gioco di contrasti pittorici e plastici, di posture e inquadrature, che suggeriscono immediatamente una matrice precedente, un modello dell’antichità greca e romana, del passato rinascimentale, un’opera caravaggesca o un prototipo neo-classico. Guardare le sue foto è dunque vivere non tanto l’esperienza del voyeur ma quella del contemplatore, riconoscere una doppia vita all’immagine fotografica: quella di essere comunque specchio del reale – da cui dipende la sua potenza prevaricatrice e perturbante – e quella di essere una forma archetipica che ritorna dal passato, un ritornante, da cui dipende la sua risonanza, la sua umbratile metafisica irradiazione. Trasformando ogni suo soggetto (un corpo, un volto, un fiore) in una forma purissima di arte da cui è stato esautorato ogni possibile giudizio morale, Mapplethorpe è così riuscito a restituire aura alla fotografia, in modo anche da conquistare per essa lo statuto di opera e il riconoscimento pieno della sua pratica fotografica come arte assoluta.

Informazioni pratiche

Beauty and Desire, aperta dal 23.09 al 14 febbraio 2024

Museo del Novecento, piazza Santa Maria Novella, 10 – Firenze. tel. 055.286132, www.museonovecento.it

Orario: 11:00 – 20:00 tutti i giorni tranne giovedì. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

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Mostra – Gabriele Basilico. Ritorni a Beirut_Back to Beirut

Di Fabrizio Bonfanti

La città di Alessandria, nelle sale d’arte della Biblioteca, ospita la mostra definitiva di Gabriele Basilico sul lavoro che ha svolto a Beirut tra 1991 e il 2011, in quattro differenti missioni fotografiche. Si tratta di un’esposizione importante per i contenuti e per il legame di amicizia decennale che lega la città di Alessandria con il fotografo. E’ curata da Giovanna Calvenzi, Archivio Gabriele Basilico e diretta da Christian Caujolle, e viene portata in Italia per la prima volta dopo essere stata allestita a Tolosa tra febbraio e maggio 2023.

L’editing, essenziale e sintetico, permette di godere del lavoro che l’autore ha realizzato nella capitale libanese nel corso degli anni.

“Io non stavo di fronte a una città morta….ma stavo di fronte a una città ferita la cui immagine era completamente visibile….la distruzione che vedevo era una distruzione, come dire di pelle, come se la città fosse stata colpita da una malattia della pelle, dalla lebbra….ma la struttura e lo scheletro no, L’ossatura è ben presente…. Ho iniziato a fotografare come se la città fosse lì, viva, ancora con la sua struttura evidente, quindi non mi sono fatto condizionare dal dramma della guerra, l’ho considerato come una cosa che faceva parte del paesaggio…. Ho fotografato la città così come la si vede, come se fosse un’architettura dove era contemporaneamente visibile la struttura fisica della città e la sua distruzione, ma nessuna delle due eliminava l’altra”. 

Queste le parole di Gabriele Basilico, quando visitò Beirut la prima volta dopo lo scempio della guerra. Ci restituisce immagini stupende ed emozionanti in bianco e nero, che ritraggono la maestosità della città nonostante la devastazione. Sebbene gli spazi espositivi siano contenuti, non tolgono nulla alla meraviglia delle stampe in grande formato.

Basilico raccontò Beirut in quattro momenti distinti: il primo nel 1991, su commissione della fondazione Hariri e della scrittrice Dominique Eddé, in compagnia di René Burri, Raymond Depardon, Fouad Elkoury, Robert Frank e Josef Koudelka. Successivamente nel 2003, su incarico della rivista Domus”, per recarsi negli stessi luoghi dopo la ricostruzione. Il terzo viaggio avvenne del 2008, in occasione di una sua mostra nella città libanese e l’ultimo del 2011, sempre su commissione della fondazione Hariri. Gli ultimi due viaggi sono stati fotografati a colori e, sebbene non vi fossero rovine, ci regalano la visione di luoghi che hanno sopportato un martirio e hanno saputo rinascere.

Il suo sguardo emozione e ipnotizza. L’architettura descritta in modo oggettivo lascia permeare la visione e l’idea dell’autore. Si tratta di un racconto storico e fotografico di un valore assoluto, rigoroso e  impeccabile al contempo emozionate e intimo. Da metà luglio l’allestimento verrà ampliato accogliendo una seria di fotografie che Gabriele Basilico ha scattato nella città di Alessandria.

La mostra è corredata da un libro che raccoglie il lavoro completo, edito da Contrasto Books:

Ritorni a Beirut – Back to Beirut

Info:

Gabriele Basilico, Ritorni a Beirut_Back to Beirut

A cura di Giovanna Calvenzi e dell’archivio Gabriele Basilico

Direttore Christian Caujolle

Organizzatore: Azienda Speciale Multiservizi Costruire Insieme

Dal 16 giugno 2023 al 1 ottobre 2023

Orari: da giovedì a domenica 15:00-19:00

Biglietteria e prenotazioni
0131 234266 – 349 9378256
serviziomusei@asmcostruireinsieme.it

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Talk – Nicola Tanzini, I Wanna Be An Influencer

In occasione dell’ultima settimana di permanenza della mostra di Nicola Tanzini dal titolo “I Wanna Be An Influencer”, a cura di Benedetta Donato, la galleria milanese STILL ospiterà l’incontro Esserci o non essere. Luoghi instagrammabili e nuove geografie dello sguardo (martedì 13 giugno alle ore 18). Ispirato dall’ultimo libro fotografico di Tanzini, edito da Skira e anch’esso curato da Benedetta Donato, è un talk interamente dedicato alle tematiche legate ai nuovi comportamenti sociali, relativi alle scelte in ambito turistico e a come è mutata la concezione dei luoghi, nella condivisione tramite i social network.

Oggi ormai vecchie e nuove mete si definiscono in base alla loro instagrammabilità, caratteristica peculiare per spingere le persone a visitarle e a fotografarle, per aderire ad un nuovo modello sociale. “Non sembra esserci una differenza di valore tra luoghi monumentali e luoghi anonimi. La gerarchia non dipende dalla storia, né dall’estetica, ma forse, da una certa disposizione dello spazio che consente alla figura umana di spiccare come protagonista rispetto allo sfondo: ribaltando così il ruolo subordinato che il corpo aveva nelle tradizionali fotografie in posa davanti ai monumenti”, scrive il giornalista Michele Smargiassi in un recente articolo pubblicato sul blog di Repubblica Fotocrazia. “L’ultima tappa, per ora, della fotografia dei luoghi, è la loro riduzione a accessori della affermazione personale. Siamo entrati nell’era dell’ego-panorama“.

A confrontarsi proprio sull’argomento, insieme all’autore Nicola Tanzini e alla curatrice Benedetta Donato, interverranno lo stesso Michele Smargiassi – giornalista a la Repubblica, fondatore del blog Fotocrazia, scrittore, studioso tra i riferimenti più autorevoli di storia della fotografia e di cultura dell’immagine. Per Repubblica e National Geographic ha curato “Visionari”, la collana inedita dedicata alle citta` piu` affascinanti del mondo, raccontate attraverso gli scatti dei grandi maestri della fotografia internazionale. A condurre l’incontro sarà Denis Curti – critico e curatore, direttore artistico delle Stanze della Fotografia di Venezia e del Festival di Fotografia di Capri, fondatore di STILL. direttore della testata Black Camera sulla piattaforma digitale di Rolling Stone Italia e curatore di diverse pubblicazioni per Marsilio Editori tra cui “Capire la fotografia contemporanea” (2020)

Note biografiche

Nicola Tanzini (Pisa, 1964) è un imprenditore e fotografo da oltre trent’anni. La sua ricerca si ispira prevalentemente al movimento della fotografia umanista, ponendo al centro i comportamenti, le situazioni quotidiane appartenenti alla natura umana. Ha fondato Street Diaries, un progetto itinerante e in costante evoluzione sulla fotografia di strada. Nel 2018 ha pubblicato Tokyo Tsukiji ( a cura di Benedetta Donato, ContrastoBooks), l’ultimo reportage fotografico sul mercato ittico più grande del mondo. Le sue opere fanno parte di alcune collezioni museali, tra cui si ricordano: il Museo d’Arte Orientale “Edoardo Chiossone” di Genova e il Civico Museo d’Arte Orientale di Trieste. I Wanna Be An Influencer è il suo secondo libro (Skira, 2022).

Benedetta Donato, curatrice e critica di fotografia, si occupa di mostre e progetti editoriali in ambito di cultura visiva. Direttrice del RCA – Romano Cagnoni Award, Premio Internazionale di Fotogiornalismo, promosso dalla Fondazione Romano Cagnoni di cui è membro del Consiglio di Amministrazione. Collabora con diverse realtà del settore, come musei, gallerie e festival. Tra le sue ultime pubblicazioni: Enciclopedia dell’Arte Contemporanea Istituto dell’Enciclopedia Italana – Treccani, Corriere della Sera e Nikon per “Accademia di Fotografia” 2022 – 2023. Lettrice portfolio, membro della giuria in eventi internazionali, è inoltre nominator per il Leica Oskar Barnack Award. Dal 2015 firma la sua rubrica per la rivista IL FOTOGRAFO, Gruppo Sprea Editore.