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Camera Torino, tre mostre celebrano l’immortalità dei grandi maestri

Il Centro Italiano per la Fotografia di Torino apre la stagione 2024 con una triplice proposta espositiva all’insegna dei classici dell’obiettivo.

La tragica guerra civile spagnola, momento cruciale della storia del XX secolo, e il rapporto professionale e sentimentale fra Robert Capa e Gerda Taro sono il fulcro della mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra che con oltre cento scatti racconta una stagione intensa del fotogiornalismo e i rapporti personali, affettivi, tra due nomi storici della fotografia del Novecento, tragicamente interrotti con la morte di lei nel 1937. L’esposizione è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, e include la riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana” che conteneva 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e da David Seymour. Fino al 2 giugno.

La Project Room di CAMERA ospita fino al 14 aprile la mostra Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano che si conluderà il 14 aprile, protagonista assoluta è la Milano del boom economico e le creazioni del grande illustratore e disegnatore Saul Steinberg immortalate da un giovane Ugo Mulas. Nel 1961 Saul Steinberg realizza una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer a Milano, su commissione dello Studio BBPR che ne seguiva la ristrutturazione. A lavoro compiuto, chiede a un giovane Ugo Mulas  di testimoniare l’opera nella sua interezza e nei particolari. Nel 1997 la palazzina sarà nuovamente ristrutturata, e i graffiti distrutti: oggi, di quello splendido intervento rimangono solo le fotografie di Ugo Mulas, capaci di restituire insieme il documento dell’opera e la sua interpretazione. La mostra è curata dall’Archivio Ugo Mulas e da Walter Guadagnini

Sempre fino al 14 aprile vale la pena di visitare anche la retrospettiva Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023, organizzata da CAMERA e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo con la curatela di  Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi – si compone di oltre 50 immagini di Michele Pellegrino (Chiusa Pesio, CN, 1934), una sintetica  antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino. Insieme a queste, è proposta una selezione digitale frutto della catalogazione e digitalizzazione effettuate da CAMERA sull’archivio del fotografo, acquisito dalla Fondazione CRC nell’ambito del progetto Donare.Completa l’esposizione una lettura di quattro foto di paesaggio inserite in Atlante artistico botanico della flora e del paesaggio del Nord Italia, una ricerca, condotta presso l’Università di Udine dalla dottoranda Alessia Venditti con la supervisione dei docenti Alessandro Del Puppo e Valentino Casolo, finanziata dalla Fondazione Intesa Sanpaolo Onlus.

Accanto alle esposizioni temporanee, la Manica Lunga del Centro, ospita l’esposizione permanente La storia della fotografia nelle tue mani, una proposta originale, la prima in Italia per tipologia e concezione, che offe ai visitatori una lunga timeline con testi, immagini e materiale video, nata dalla volontà di consentire a tutte e tutti, anche alle persone non vedenti o ipovedenti, di fruire di testi, immagini e contenuti digitali.

Altre informazioni

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografiavia delle Rosine 18, Torinowww.camera.to

 

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Straordinarie, oltre cento ritratti di donne italiane

Di Fabrizio Bonfanti

Il 14 Febbraio, alla Fabbrica del Vapore di Milano, ha inaugurato la mostra “Straordinarie”.

Curata da Renata Ferri con il patrocinio di Deloitte e Fondazione Deloitte, ospita una galleria di 110 ritratti di donne realizzati dalla fotografa Ilaria Magliocchetti Lombi.

Il progetto è sostenuto da Terre des Hommes nell’ambito del loro progetto #indifesa che ha l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sulle violazioni dei diritti delle bambine e delle ragazze nel mondo.

L’enorme spazio è stato allestito in modo semplice, ma di grande impatto: i toni del porpora dominano la sala scura, le fotografie verticali emergono in tutta la loro bellezza e sono accompagnate da una colonna sonora di racconti delle protagoniste diffusi nell’ ambiente.

Si tratta di donne, appunto, straordinarie, ritratte dalla fotografa su un set essenziale. Appartengono  al mondo della cultura, dello spettacolo, dell’impresa e dello sport, sono donne eccellenti che hanno raggiunto posizioni e riconoscimenti eccezionali combattendo i pregiudizi e ostilità di un mondo patriarcale, la cui classe politica parla ancora al maschile e che non attribuisce all’universo femminile il valore che merita.

Si tratta di un’esposizione imperdibile e necessaria, perché offre a chiunque uno spunto di riflessione. Un percorso emblematico per le giovani donne che, guardando questi ritratti, possano trovare esempi che le aiutino ad affrontare le difficoltà che potranno incontrare, in quanto donne, per raggiungere i loro obiettivi o per essere semplicemente quello che desiderano essere, ma soprattutto che ricordi a noi maschi che non esiste superiorità o privilegio di genere di alcun tipo.

La sensibilità dell’autrice, il coinvolgimento delle protagoniste da lei inquadratei e la cura dedicata al progetto che è durato oltre due anni, ci permettono  godere di un puzzle di storie di donne che hanno contribuito a rendere la nostra società migliore. Tra loro ci sono Michela Murgia, Liliana Segre, Lella Costa, Laura Boldrini, Giovanna Botteri, Ilaria Cucchi, Cathy La Torre, Flavia Pennetta, Emma Bonino, Patrizia Sandretto…

Un viaggio oltre i pregiudizi e le discriminazioni, affidato a volti e voci straordinarie che sembrano volersi confidare con chi le osserva, che serve anche per tenere sempre viva l’attenzione sulle disparità di genere.

L’ingresso è libero ed è previsto un ciclo di eventi programmati per tutto il periodo dell’esposizione.

 

Info:

Straordinarie

Cattedrale della Fabbrica del Vapore
Via Giulio Cesare Procaccini 4, MILANO

Dal 14 febbraio al 17 marzo 2024

Ingresso gratuito

 

 

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Martin Parr e la variopinta British culture in mostra a Milano

Di Jacopo Scarabelli

Ho fatto visita in anteprima alla mostra fotografica di Martin Parr, da domani al 30 giugno allestita al Mudec, per un progetto interamente curato dallo stesso autore in collaborazione con Magnum Photos e con il museo milanese.
Ho una certa ammirazione verso la fotografia a colori per un semplice motivo: saperla esprimere con criterio, competenza e intelligenza è tutt’altro che semplice e purtroppo non capita spesso di vedere una fotografia a colori pensata.

I colori invece hanno un significato, creano forti contrasti e hanno un potere totale sul nostro cervello. Ma questo avviene, appunto, solo se sono utilizzati nel modo giusto.

Rosso, bianco e blu. Questi i toni dell’Union Jack, la bandiera inglese e icona dello stile British. “Short & Sweet”, il titolo della mostra, si presenta così. Con questa sintesi cromatica che non solo riprende i colori della nazione dell’autore, ma sono anche tra i più rappresentati e utilizzati nella sua produzione.
Ma cosa significano?
Martin Parr (classe 1952) è il fotografo dissacrante e delle contraddizioni. La sua produzione si concentra nel rappresentare l’ironia e la comicità di certe situazioni. Come se fosse un antropologo con la fotocamera in mano. Definizione che lui stesso ha gradito: “Viviamo in un mondo che fa propaganda di perfezione – ha detto– La realtà è che viviamo in una contraddizione continua e quello che faccio è fotografarla.”

Il rosso e il blu sono complementari, quindi in netto contrasto cromatico. Antagonisti su un territorio dove da una parte possiamo pensare al primo come l’idea di società perfetta di cui viene fatta propaganda mediatica etc… e l’altro che è invece l’esatto opposto: l’imperfezione e il fallimento di quell’idea.

Ed è proprio nel loro scontro che nasce la fotografia di Martin Parr.
Quella superficie bianca, neutra, dove sintetizza con la sua fotografia quel cortocircuito che viviamo ogni giorno.
E non lo fa con l’atteggiamento da reporter. Lui è un documentarista e ci tiene a ribadirlo.
La sua produzione non nasce da fortuite casualità, ma è attenzione, ricerca, visione.

“La differenza tra reporter e fotografo documentario – prosegue – sta nella scelta di scattare e proporre fotografie che abbiano un’interpretazione più complessa e comunicativa nel suo insieme e che possano essere rappresentative di una società che cambia. Le persone sono divertenti. Anche vedere i fotografi che prima mi han fotografato qui al museo mi diverte. E questo contrasto con i problemi della vita, sia i più insignificanti che quelli più importanti, mi porta a quella che è la mia visione. ” 

Il percorso inizia coi suoi lavori in bianco e nero: esposta una piccola sezione delle serie “The Non-Conformists” e “Bad Weather”, per poi trovare espressività in quell’utilizzo dei colori che tanto lo connota. Perché non si tratta solo di saturarli o di metterne tanti insieme. La sensibilità sta nel cucinarli nel modo giusto. Nel dosare gli ingredienti.

Si parte con “The Last Resort” realizzato tra il 1982 e il 1985, ironico reportage sulle spiagge di Brighton dove mixa sapientemente satira, crudeltà e tenerezza verso i suoi connazionali. Segue il mosaico installazione di duecento scatti dal titolo “Common Sense” sul consumo di massa e la cultura consumistica dello spreco, dal quale emerge la volgarità, il cinismo e il cattivo gusto della cultura contemporanea osservata di nuovo con amabile ironia. In questa sezione sembra quasi di vedere quegli ingredienti sopracitati sapientemente utilizzati. E noi siamo proprio là in mezzo. In quel pentolone che è l’umanità fatta di piccole ed enormi contraddizioni e dove continuiamo a dire “Cheese!” quando Martin Parr ci scatta una foto.

Il catalogo è pubblicato da 24 ORE Cultura, contiene 70 immagini e un’intervista all’autore realizzata da Roberta Valtorta.

 

La mostra:

MARTIN PARR “Short & Sweet”

Mudec Photo, via Tortona 56, dal 10 febbraio al 30 giugno 2024

Oltre 60 fotografie selezionate dall’autore insieme all’installazione “Common Sense”, composta da circa 200 scatti e una intervista inedita, per ripercorrere la carriera di uno dei più famosi fotografi documentaristi contemporanei.

A cura di Martin Parr con la collaborazione di Magnum Photos

Orari: 9.30-19.30; lunedì 14.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30.

Telefono: 02 54917

 

 

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Mostre – Sergio Scabar, Il tempo sospeso

Vasi, libri, ciotole e piccoli pezzi di legno. Teatrini di oggetti per giungere all’essenza dei fenomeni, questo e molto altro costituisce il lavoro di Sergio Scabar, che per la prima volta dalla sua scomparsa nel 2019, è in mostra a Milano dal 25 gennaio al 20 aprile al BAG Bocconi in via Sarfatti 25, nell’ambito del ricco calendario di iniziative di MIA Photo Fair..

“Il tempo sospeso: Opere di Sergio Scabar”, ideata da Fabio Castelli e curata da Angela Madesani, presenta gli ultimi lavori del fotografo, con immagini inedite provenienti dalla famiglia dell’artista e da collezioni private. Fotografie che sono frutto di una stampa alchemica realizzata dall’artista stesso, in bianco e nero, su carta baritata – carta di alta gamma, costituita da pura cellulosa a grammatura spessa – e quindi poste all’interno di cornici nere, senza vetro né passe-partout. Protagonisti delle immagini sono oggetti provenienti dalla dimensione domestica dell’artista, come nelle opere di Giorgio Morandi, artista particolarmente amato dal fotografo friulano.

“Sono tutti pezzi unici – commenta Angela Madesani curatrice della mostra – un’ unicità espressa anche dalla cornice, che attribuisce di volta in volta un senso diverso alle cose. Sono opere che richiedono un tempo lungo di visione, in contrasto con il consumismo visivo sempre più diffuso dei nostri giorni”.

Un immaginario personale quello di Scabar, che si fa collettivo attraverso la creazione delle sue opere, frutto di un lavoro meticoloso di disciplina compositiva, quasi ossessivo. “Sergio – commenta ancora Madesani – aveva un rapporto strettissimo con ogni suo singolo lavoro, che avvolgeva in un panno nero morbidissimo. Trattava le sue opere come dei bambini che non dovevano prendere freddo”.

Scatti unici di oggetti che l’artista ha volutamente bloccato e sospeso nel tempo, una dimensione di puro still life. Espressione di intelligenza della forma, esaltata dalla luce uniforme e di origine indefinita. “Teatri delle cose” li definisce Madesani, tableaux-vivants che rimandano alla tradizione storico-fotografica vittoriana.

“Ognuno dei suoi lavori – spiega – è una possibile risposta a dei quesiti. Recano la forza del dubbio sul senso delle cose, sull’esistenza, sullo stesso fare arte. Sono fotografie legate al tempo, alla memoria, dove la dimensione estetica è sicuramente un mezzo, ma non il fine ultimo”.

Un’iniziativa che rientra nel percorso di avvicinamento a MIA Photo Fair 2024 la fiera internazionale d’arte dedicata alla fotografia in Italia (11-14 aprile) che si svolgerà nella centralissima sede di AllianzMiCo.

“La mostra dedicata a Sergio Scabar ospitata in Bocconi – afferma la Direttrice di MIA Ilaria Dazzi – testimonia la volontà di Fiere di Parma di stabilire un rapporto sempre più stretto con la città di Milano. Pensiamo che la fotografia possa dare un contributo fondamentale per arricchire la già importante proposta culturale della città. Il nostro obiettivo è creare un network di valore con un numero sempre maggiore di istituzioni cittadine”.

Fabio Castelli ideatore della mostra conclude: “La scelta di questo artista vuole ricordare l’intento espresso nel concept delle mostre in Bocconi, ossia quello di presentare autori italiani e stranieri di livello internazionale, ma relativamente meno conosciuti in Italia e a Milano in particolare. L’occasione si è presentata considerando il tema “Changing” nell’edizione di MIA Photo Fair di quest’anno. Le opere di Scabar, così lontane dal tempo e dal fragore del nostro presente, trovano l’apice della loro suggestione osservando quelle nelle quali riconosciamo alcuni elementi che facevano parte del mondo della fotografia. Quel mondo lo conosciamo bene. Ci sembrano lontanissime, e ci inducono alla riflessione sui valori di questo cambiamento ”

Note biografiche
Sergio Scabar è nato a Ronchi dei Legionari (Gorizia) nel 1946, dove ha vissuto e lavorato fino alla sua morte avvenuta nel 2019.Comincia a interessarsi alla fotografia nel 1964. Dal 1966 al 1974 ha partecipato saltuariamente a concorsi nazionali e internazionali, utilizzando la fotografia soprattutto con finalità di racconto e reportage. Successivamente, negli anni ’80, il suo lavoro prende una svolta sostanziale: la figura umana esce dalle sue opere e il suo interesse si concentra sulla natura, sublimando l’aspetto materiale e concettuale.

Col lavoro “Il Teatro delle cose” nel 1996, inizia a utilizzare una stampa alchemica ai sali d’argento “unico esemplare”. Il metodo di lavoro artigianale emerge maggiormente rispetto alle opere precedenti. Nel 2003 ha ricevuto dal CRAF il premio “Friuli Venezia Giulia Fotografia”. Nel 2005 realizza una mostra personale dal titolo “Tempo Fermo” al Castello di Grumello (Bergamo) a cura di Philippe Daverio. Nel 2008 pubblica “Silenzio di Luce” per Punto Marte Editore e nel 2010 “Cidinors” edito da Associazion cultural Colonos. Nel 2015 partecipa alla collettiva “Obiecta” presso la Giacomo Guidi Gallery (Roma) e nel 2016 a “Silenzi” presso la Galleria Milano di Milano, entrambe curate da Angela Madesani.

Nel 2017 gli viene dedicata una personale alla Galerie L&C Tirelli a Vevey (Svizzera). Pochi mesi prima della sua scomparsa Palazzo Attems Petzenstein dedica a Sergio Scabar una grande mostra antologica sul suo lavoro, dal titolo Camera Oscura (1969-2018) a cura di Guido Cecere e Alessandro Squinzi con un prezioso catalogo dell’editore Faganel in cui è un lungo testo di Angela Madesani.
Le sue opere sono presenti nella collezione d’arte contemporanea di San Vito al Tagliamento, “Punto Fermo” istituita in occasione della rassegna “Palinsesti” (2011), secondo un progetto di Angelo Bertani, Alessandro del Puppi e Denis Viva. Le sue opere sono anche nella collezione della Pinacoteca dei Musei Provinciali – Palazzo Attems Petzenstein, della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, del CRAF – Centro di ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo (Pordenone), nella collezione della Polinova Galerija di Aidussina (Slovenia) e dell’Associazione cultural Colonos (Villacaccia di Lestizza, Udine). Ha esposto in numerose gallerie private e in diverse istituzioni in Italia e all’estero.

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INFORMAZIONI
“Il tempo sospeso: Opere di Sergio Scabar”
BAG- Bocconi Art Gallery presso Università Bocconi in via Sarfatti 25, piano seminterrato
Dal 25 gennaio al 20 aprile 2024
Mostra ideata da Fabio Castelli e curata da Angela Madesani
Orario apertura 9.00 – 20.00. Sabato 10.00- 18.00. Domenica chiuso

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Mostra – Habib Fadel, Anime Fiorite

Di Barbara Silbe

Il lavoro di Habib Fadel sonda la profondità dei misteriosi richiami della natura e contiene una serie di rimandi simbolisti nascosti dietro a un’apparente semplicità. Libanese di nascita, ma con una formazione internazionale che abbraccia più discipline artistiche, ha scelto il capoluogo lombardo per svelare la sua ricerca fotografica focalizzata sul paesaggio: un nucleo selezionato di venti opere verticali, con il titolo di “Anime fiorite”, sarà in mostra dal 23 novembre all’8 gennaio negli spazi del Salotto di Milano in corso Venezia 7 e a cura di Simona Gervasio, per svelare parte di un percorso passato prima dalla pittura, dal cinema, perfino dalla musica. I suoi soggetti sono nature morte che compongono un racconto intimo, in bianco e nero, dedicato a quell’impercettibile sintonia che ci mette in comunicazione con il mondo naturale circostante. Le opere fine art sono state da lui stesso realizzate artigianalmente nel suo laboratorio, con la supervisione di uno dei massimi esperti di stampa fotografica al platino palladio, Giancarlo Vaiarelli, che ha conferito alle immagini definizione e preziosità eterne.

Un approccio di sperimentazione artistica consapevole, quello di Habib Fadel, che fa affiorare in me assonanze letterarie: “La Natura è un tempo, dove colonne viventi lasciano talvolta uscire confuse parole; l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli che l’osservano con sguardi familiari…“. E’ l’incipit di Correspondances, la poesia-manifesto di Charles Baudelaire inclusa nella celebre raccolta dei Fleurs du Mal. Secondo il poeta francese, le corrispondenze tra noi e quello che ci circonda sono moltissime e coinvolgono tutti e cinque i nostri sensi. Gli elementi naturali ci parlano per metafore, come fa lo stesso poeta: sta agli esseri umani decifrarne i complessi messaggi e, spesso, non basta la ragione, ma servono istinto e sentimento. Quando troviamo corrispondenze negli aspetti più indecifrabili del creato, si genera in noi stupore, e questo artista-fotografo lo sa raccontare con il tuo sguardo ponderato e gentile.  “Mentre la pittura è stata la terapia salvifica durante il periodo più tormentato della mia vita – racconta Fadel – la fotografia è oggi espressione di un tempo di particolare serenità che sto attraversando in cui la delicatezza della natura che mi circonda è fonte d’ispirazione. Mi affascina l’eleganza armoniosa con cui la natura si mostra al mondo. Amo esaltarne le forme, fra giochi di luci, esposizioni ed inquadrature“.

La sua cifra stilistica. quindi, è caratterizzata da una sorta di identificazione nel paesaggio, nella bellezza estetica della macchia mediterranea ligure (dove vive attualmente), e che cattura come farebbe un entomologo con i suoi insetti. Una ricerca per immagini che può sconfinare nella filosofia, proprio perché parte dal pensiero, dalle sensazioni e dalla simbiosi che si instaura tra l’uomo e gli elementi del mondo. Un fiore, un’agave, un ramo fluttuante, una zucca, le pale di un fico d’india… forme tonde, aguzze, armoniose, tra ombre, contrasti e astrazioni, in un compendio in bianco e nero dove tutto viene catalogato, chiamato con il nome botanico, e riconsegnato a futura memoria, caso mai dovesse scomparire. Avviene, in noi che osserviamo, quella sorta di sbalordimento che ci avvolge quando la bellezza estetica di un luogo rimanda ricordi, vissuto, e la consapevolezza dell’importanza di ogni essere vivente presente sul pianeta che tutti abitiamo. Questo genere fotografico, proprio in questo momento storico di grande sofferenza per l’ambiente, può assumere un valore molto più alto per il messaggio che può veicolare. “La natura è un tempio”, concetto prezioso da custodire e preservare che la serie esposta suggella in un messaggio forte, travalicante l’indole riservata di un autore abituato a osservare il suo giardino in solitudine. Lui lavora in profondità, perfino il tipo di stampe con le quali ha confezionato l’esposizione sottolineano l’importanza di ogni soggetto inquadrato. In un’epoca dove tutto corre veloce travolgendo quello che conta davvero, Fadel mette dei punti fermi, impone soste, per riportare l’attenzione a quei valori originali che salveranno gli esseri umani da se stessi.

 

Note biografiche

Habib Fadel nasce in Libano, a Beirut, nel 1968.  Sceglie l’Europa per scappare dalla guerra civile (1975-1990) dove, frequentando l’Institut Florimont di Ginevra, intraprende la sua formazione accademica. Rientra in patria nel 1991 dove termina gli studi con la laurea in Business Management al Beirut University College. Attratto da tutto ciò che è arte, sperimenta il canto lirico (Conservatorio di Milano 1993-1996), studia regia alla New York Film Academy di Los Angeles (1997) e scopre una forte attrazione per la pittura studiando alla prestigiosa UCLA – University of California di Los Angeles. Inizia ad esporre alcune delle sue opere tra Parigi e Beirut, sede quest’ultima del suo studio di produzione (2003). Espone nel 2012 “War, school and faces” presso Alice Mogabgab Gallery di Beirut, è del 2013 “Visage et regards” alla Galerie Jacques Leegenhoek di Parigi, vende la sua prima opera a Christie’s nel 2015 e nel 2019 allestisce, in collaborazione con Samia Mehdi Gallery di Beirut, la mostra “Tao” interamente dedicata al figlio. Il 4 agosto del 2020 una bomba distrugge la sua casa e lo studio. Oggi vive a Santa Margherita Ligure con la famiglia.

La mostra

ANIME FIORITE

Dal 23 novembre 2023 all’8 gennaio 2024Il Salotto di Milano, corso Venezia 7. 

Orario d’apertura: lunedì – venerdì 10.00 – 18.00; sabato – domenica: su appuntamento. Ingresso gratuito.

Contatti telefonici: 02 76317715

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Michele Tombolini, un’installazione monumentale contro la violenza

Un’installazione fotografica dal titolo “Linea Interrotta”, opera dell’artista veneziano Michele Tombolini, campeggia sulla parete della Questura di Venezia, e ha lanciato una open call diretta alle scuole della città di Venezia indetta e realizzata dalla Questura e dalla Biennale Educational per sensibilizzare gli studenti sul tema della violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili. Il concorso prevede il coinvolgimento degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della provincia di Venezia con lo scopo di veicolare ed amplificare maggiormente l’importante messaggio trasmesso dall’opera dell’artista.

L’opera coraggiosa e imponente del maestro Michele Tombolini (misura 40 metri quadrati), ritrae il mezzobusto di un ragazzo di dodici anni con la bocca ‘tappata’ da una X, simbolo grafico ricorrente nei lavori dell’artista con cui Tombolini simboleggia la difficoltà per le vittime di esprimersi e di denunciare la violenza. Una violenza che nella società contemporanea è declinata in molti modi, da quella di genere alla violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili nonché il cyberbullismo e l’adescamento in rete dei minori. Per sottolineare ulteriormente il messaggio dell’abuso, l’artista ha inserito l’impronta nera di una mano sul petto del ragazzino qui rappresentato con gli occhi pixellati in rispetto e a tutela dell’anonimato delle vittime adescate nel web, e nel contempo intende infondere nell’osservatore un messaggio di speranza universale, di fiducia e di rinascita. La scelta di installare tale opera d’arte all’interno della Questura di Venezia, ha lo scopo di rafforzare ulteriormente il suo messaggio, essendo la Polizia di Stato da sempre impegnata in prima linea con i suoi uomini nella prevenzione e nella lotta contro ogni forma di condotta criminale e di violenza, in particolare verso i minori e le persone vulnerabili.

Curatore del progetto artistico è il prof. Pasquale Lettieri, profondo conoscitore della filosofia di Tombolini: ‘la spettacolare opera è tutta consegnata alla segretezza del volto innocente e invisibile della figura ritratta. L’artista – ricorda il critico – impone una linea di rispetto del corpo infantile, senza mai essere catturato dalla morbosità, cosa che oggi appare con maggiore evidenza, nel nostro contorto universo in cui sessuomania e sessuofobia si scontrano in una arena mediatica che coinvolge la realtà e la virtualità, in una contaminazione, che compromette il discernimento e alimenta tanti tipi di pruderie che niente hanno a che fare con l’arte e la civiltà’.

Michele Tombolini sceglie di trattare questo tema perché, afferma: ‘sono da sempre sensibile alle tematiche sociali e ritengo che quella della pedofilia sia una piaga da affrontare ed arginare con tutti i mezzi possibili. L’arte, oltre a rappresentare il bello deve avere, a mio avviso, una valenza sociale. È uno strumento potente in grado di scardinare le coscienze, uno strumento per contrastare anche gli aspetti più drammatici della società moderna. 

L’intero progetto “Open Call For Ideas” è stato possibile grazie a una collaborazione tra la Questura di Venezia, la Biennale di Venezia e la galleria Cris Contini Contemporary. Da oltre due decenni la Biennale dedica importanti energie alle attività Educational: ogni anno decine di migliaia di bambini, ragazzi, giovani, adulti, famiglie, aziende e appassionati, fruiscono di una offerta di attività e iniziative in costante crescita. L’obiettivo principale delle attività Educational della Biennale è da sempre favorire l’incontro dei giovani con le arti contemporanee: un incontro che si declina in modo unico e irripetibile a seconda dell’età, degli interessi, delle motivazioni, delle domande e della provenienza di ciascuna persona. Tra le varie iniziative, di particolare rilevanza è l’attenzione a quei giovani che si accostano alla cultura contemporanea da condizioni di disagio o di marginalità, o che si aspettano da una istituzione quale è La Biennale una attenzione speciale rispetto alla disabilità o all’esclusione sociale.

A tal fine l’area Educational ha sviluppato un’ampia offerta di iniziative dedicate sia a persone affette da disagio psichico, da dipendenze e da forme anche gravi di esclusione, sia a persone che si trovano in un momento critico della loro esistenza, come richiedenti asilo o vittime di violenze e abusi. Tutte queste attività si svolgono da anni con passione ed è in quest’ ottica che La Biennale di Venezia ha accolto con favore l’appello della Questura di Venezia nel collaborare assieme lanciando una open call al fine di sensibilizzare e dar voce ai giovani rispetto al bullismo, al cyberbullismo e alla violenza nei confronti di tutte le vittime vulnerabili attraverso l’Arte e la creatività.

Per informazioni sul progetto didattico, è possibile contattare l’indirizzo promozione@labiennale.org.

 

 

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Carlo Valsecchi: Caseus # 01215, intenso dialogo tra arte e industria

Platea / Palazzo Galeano di Lodi presenta da sabato 11 novembre 2023 a venerdì 12 gennaio 2024un nuovo progetto espositivo concepito appositamente per la vetrina di Corso Umberto e per interagire con il tessuto urbano circostante: la personale di uno dei principali fotografi italiani, Carlo Valsecchi (Brescia, 1965), dal titolo Caseus # 01215, curata da Gaspare Luigi Marcone.Caseus # 01215 è un’installazione fotografica che trae origine dal progetto fotografico realizzato da Carlo Valsecchi su invito della Ferrari Giovanni Industria Casearia, che documenta l’attività e l’architettura degli stabilimenti di Ossago Lodigiano e Bedonia. In occasione dei 200 anni dalla fondazione, la storica azienda lodigiana, leader nella produzione di formaggio, ha voluto infatti la creazione di un volume fotografico che celebrasse la tradizione artigianale secolare e il fondamentale capitale culturale e umano che costituiscono il marchio. Il risultato è il libro “Ferrari Giovanni Industria Casearia 200 anni”, pubblicato a maggio 2023 da Dario Cimorelli Editore, con testi di Angelo Pannofino, da cui deriva l’opera esposta a Platea.Il titolo del progetto, versione latina dell’italiano “formaggio”, seguito dal codice numerico dato dall’artista all’immagine, potrebbe anche rimandare a una costellazione, una galassia o un’entità astronomica, oltre a essere un gioco di parole tra i concetti di “caos”, “caso”, “casa” e il nome dell’alimento che costituisce una delle fondamentali anime produttive del territorio, rivelando la polisemia propria della ricerca di Valsecchi. L’invito a Carlo Valsecchi a esporre un’opera tratta da questo importante lavoro di documentazione, si inserisce nella progettualità promossa da Platea | Palazzo Galeano volta a raccontare il territorio lodigiano. L’obbiettivo è quello di sviluppare una ricognizione che prenda in esame le diverse componenti paesaggistiche che definiscono l’identità di un luogo e che includono tanto gli aspetti naturalistici, quanto la presenza umana che l’ha plasmato nel tempo. Nel suo lavoro, Carlo Valsecchi – noto a livello internazionale per gli ampi paesaggi, naturali e antropomorfizzati e per i grandi progetti fotografici e editoriali realizzati in scenari eterogenei – conduce una ricerca sulle relazioni tra luce-spazio-tempo. Lo spazio appare come scomposto in angolazioni, tagli e vedute che restituiscono un insieme di microcosmi che, nel grande formato, si esaltano in porzioni e dettagli atemporali. Lo scarto prospettico tra le diverse scale, l’individuazione di griglie e l’astrazione del soggetto, sono gli elementi principali del suo linguaggio che lavora sul disorientamento percettivo restituendo la componente più enigmatica del reale.L’artista ha reinterpretato diversi spazi, soggetti, oggetti della Ferrari Giovanni Industria Casearia creando un nuovo immaginario e un nuovo universo; per analogie visive le sue immagini possono a volte rimandare alla grande tradizione “pittorica” delle avanguardie storiche, rintracciando nelle composizioni suggestioni futuriste o metafisiche, passando da strutture astratte o verbo-visuali. Per Valsecchi l’essenza fondante del lavoro è cogliere il mistero profondo dei luoghi e degli oggetti fotografati; in questo specifico contesto l’artista ha estratto il cuore – o forse più di un organo – di un’azienda nata e radicata nel territorio lodigiano ma che nel corso dei secoli è divenuta una struttura all’avanguardia dal respiro internazionale con alta vocazione tecnologica. L’idea di metamorfosi tipica della ricerca di Valsecchi ha viaggiato in parallelo alla metamorfosi aziendale e dei suoi prodotti. L’immagine presentata a Platea, seppur estrapolata da un contesto narrativo-visivo più ampio, vive di una natura specifica grazie all’uso sapiente della tecnica e allo sguardo penetrante dell’artista, che rianima e rivela a volte i dati oggettivi, altre volte i concetti metaforici fino ad arrivare alla “pura invisibilità” o al “mistero spaziale”. In occasione della mostra Caseus # 01215, verrà inoltre presentato un intervento sonoro firmato da Mostafa Parsakia (Arāk, 1987), evocazione poetica del suono latente nei reparti di produzione dell’azienda, che ricrea un’atmosfera uditiva diversa dall’esperienza dello sguardo.

 

Note biografiche

Carlo Valsecchi è nato a Brescia nel 1965, vive e lavora a Milano. Nel 1992 il suo lavoro è stato selezionato per la Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia. Ha tenuto mostre personali e partecipato a numerose esposizioni collettive in Italia e all’estero tra cui: Istituto Italiano di Cultura, New York, 1999; Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia, 2000; Galerie 213, Parigi, 2001; Studio Casoli, Milano, 2001; Semaines européennes de l’image – Le bâti, le vivant, Lussemburgo, 2002; GAMeC, Bergamo, 2003; New Works, Guido Costa project, Torino, 2006; A ferro e fuoco, Triennale, Milano, 2006; Paris Photo, Statements, Parigi, 2007; Past, Present, Future, dalla raccolta del gruppo UniCredit, Bank Austria Kunstforum, Vienna, 2009; Lumen, una retrospettiva di metà carriera, Musée de l’Elysée, Losanna, 2009, Walter Keller Gallery, Zurigo, 2009 e Galleria Carla Sozzani, Milano, 2011; San Luis, Museo MART, Rovereto, 2011; 54. Mostra Internazionale d’Architettura – La Biennale di Venezia, Padiglione Italia, selezione di Norman Foster, Venezia, 2011; Subverted, Ivorypress, Madrid, 2012; Landmark: the Fields of Photography, Somerset House, Londra, 2013; Mare Nostrum, Walter Keller Gallery, Zurigo, 2013; Museo della Merda, Piacenza, 2015; Industria, oggi, Fondazione MAST, Bologna, 2015; No Man Nature, Palazzo Da Mosto, Fotografia europea, Effetto Terra, Reggio Emilia, 2015; Fotografie dell’Emilia-Romagna al lavoro, Fondazione MAST, Bologna, 2016; Sviluppare il Futuro, Ex Ospedale dei Bastardini, Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, Bologna, 2017; Civilization: the way we live now, MMCA Seoul, Sud Corea, 2018; Gasometro M.A.N. n. 3, Salone degli Incamminati, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Bologna, 2019; Tamen Simul, The Open Box, Milano, 2019; Bellum, Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 2022; Atlante Sapienza22, Museo MAXXI, Roma, 2023; Human.Kind. A New Look at Humanitarian Photography Through 10 Editions of the Prix Pictet, Musée International del la Croix-Rouge et du Croissant-Rouge, Ginevra, 2023-2024.Nel 2010, il libro Lumen, Hatje Cantz, 2009, è stato premiato con l’argento al Deutscher Fotobuchpreis, il premio tedesco per i migliori libri di fotografia dell’anno.

 

Associazione Platea | Palazzo Galeano Platea | Palazzo Galeano è un’associazione culturale nata a Lodi nel 2020 con lo scopo di promuovere l’arte in tutte le sue forme sul territorio locale con una prospettiva internazionale, sviluppando forme inedite di mecenatismo rivolte ai giovani talenti creativi che prevedono il coinvolgimento di artisti affermati e gallerie d’arte di primaria importanza.I soci fondatori sono un gruppo di amici appassionati di arte contemporanea e architettura e amanti della propria città: Claudia Ferrari, Laura Ferrari, Carlo Orsini, Luca Bucci, Lorenzo Bucci, Gianluigi Corsi.L’attività dell’associazione prevede la presentazione di progetti d’arte e cultura contemporanea presso lo spazio espositivo ricavato nella facciata di Palazzo Galeano, nel centro storico di Lodi: Platea. Una vetrina sempre illuminata, visibile di giorno come di notte, inaccessibile dall’esterno. Platea deve il suo nome – che contiene un preciso intento programmatico – a una generosa concessione dell’artista Marcello Maloberti, lodigiano di nascita, che, nel fare dono all’Associazione di quello che avrebbe dovuto essere il titolo di una sua nuova performance, ha detto: “Platea è l’omaggio alla città. Il nome dello spazio sottolinea l’importanza del pubblico, disposto in una grande ‘platea’, che poi è la città di Lodi, ma anche, citando Harald Szeemann, la ‘platea’ dell’umanitàE per me, il pubblico è il mio corpo.”Da questo gesto si è sviluppato il progetto culturale votato al sostegno delle più giovani generazioni creative, attraverso la costruzione di collaborazioni con artisti affermati, chiamati in veste di “numi tutelari”, e con il coinvolgimento di gallerie d’arte contemporanea d’eccellenza. Il progetto si basa sul concetto di “platea”, intesa anche come modalità molto attuale di esporre, di organizzare il display, in cui l’opera si offre allo sguardo del passante che inconsapevolmente la incrocia sul suo cammino. Per questo motivo, le opere che comporranno i cicli espositivi protagonisti di Platea saranno selezionate per la loro capacità di suscitare “un incidente di sguardo”, come annunciato nel Manifesto composto dall’associazione. GovernanceClaudia Ferrari, PresidenteLaura Ferrari, VicepresidenteCarlo Orsini, Direttore ArtisticoLuca Bucci, ProgettistaLorenzo Bucci, Social Media ManagerGianluigi Corsi, Tesoriere Con la preziosa assistenza delle volontarieRebecca Chiusa e Silvia Sanpellegrini Main partner: Ferrari Giovanni Industria Casearia Spa; Consorzio Tutela Grana PadanoIn-kind partner: Solux Led Lighting Technology; Verspieren Broker di Assicurazione. Platea | Palazzo GaleanoCorso Umberto I, 5026900, LodiWebsitewww.platea.gallery | Instagram: platea_palazzogaleano | Contattiinfo@platea.gallery

 

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Mostre – Marina Alessi, Ridere sul serio

Zelig, il cabaret di viale Monza, viaggia velocemente verso i 40 anni, ne ha 37. La trasmissione ne ha compiuti 25 l’anno scorso, è il varietà televisivo più longevo della tv italiana. Anteo Palazzo del Cinema ospita, attraverso le foto dei comici di Zelig – alcuni di loro hanno contribuito in modo determinante anche alla storia del cinema italiano – questa realtà milanese che ha saputo raccontare l’Italia. La fotografa che le ha realizzate è Marina Alessi, ritrattista di grande forza e sensibilità che ama descrivere il mondo dello spettacolo. Marina segue Zelig praticamente dalle sue origini. La mostra, voluta da Anteo e presentata da Gino & Michele e Giancarlo Bozzo, sarà visitabile per un mese – dal 6 novembre al 6 dicembre – all’interno di Anteo Palazzo del Cinema, presso lo spazio espositivo al piano terra.

Le foto di Marina Alessi

di Gino, Michele, Giancarlo Bozzo

Marina Alessi, fotografa. Giovane abbastanza per innamorarsi della vita e “grande” abbastanza per aver affinato le qualità e le tecniche che le permettano di raccontare ciò di cui la vita l’ha fatta innamorare.

L’arte del saper comunicare la interessa assai, a partire dalla scrittura e dal segno. Il teatro soprattutto. Ma anche la televisione, il cinema.

Poi il cabaret, che del teatro è la forma più diretta, lineare e sfaccettata, per non dire sfacciata. Non c’è la quarta parete, al cabaret, per questo non ci può essere un tipo di obiettivo che freni.

C’è il corpo, sì. Ci sono la parola, il gesto, la provocazione complice. Finiscono dentro l’obiettivo che obiettivo non è mai del tutto, in mano a un bravo fotografo. Davanti alla macchina fotografica, nell’occhio di Marina, c’è gente che non recita, o se recita lo fa capire, di modo che il salto verso la finzione, diventi un gioioso balzo mortale complice, che riporti al reale. Le foto, fatte da Marina, dei comici e del loro mondo sono morbide, fresche anche quando raccontano percorsi magari complessi. Ma sono vere, credibili, quasi sempre serene e coinvolgenti. I comici sanno raccontare perché sanno raccontarsi. Soprattutto Marina Alessi sa raccontarli perché ha imparato a conoscere i comici e a coglierne gli stimoli.

La storia professionale di Marina Alessi non è per nulla banale. Ha pubblicato diversi libri, gli ultimi soprattutto sul comico in tv e in cabaret.

Sono artistiche, le foto di Marina, ma mai sofisticate inutilmente. Sono vere. Dirette, raccontano la realtà, quasi accarezzandola. Garbate e credibili.

Con Marina Alessi, fotografa, il gioco è scoperto: mettersi a nudo come si fosse vestiti. E magari in abito da sera come si fosse nudi. Un gioco, come sempre quando ti propone di raccontarti e di raccontare qualcosa. Poi, a lavoro terminato, quel qualcosa sai già che ti aiuterà a capirti di più

 

Cosa ha fatto – tra l’altro – fin qui Marina Alessi: libri soprattutto. Ne citiamo tre:

  • Zelig – 25 anni di risate (Mondadori), documenta la più che ventennale collaborazione di Marina con il cuore vivo del cabaret italiano.
  • Facce da leggere (Rizzoli, in collaborazione con la rivista Vanity Fair). Contiene i ritratti di scrittori, giornalisti e intellettuali, realizzati nell’arco di sei anni, durante il Festivaletteratura di Mantova. Un libro unico e irripetibile, con 282 ritratti di scrittori, scattati con Polaroid Giant Camera 50×60 dell’Agenzia Photomovie (ce ne sono 5 al mondo e permette di fare ritratti in formato 50×60, veri e propri scatti unici).
  • 44+1 AutoRitratti (Vallecchi), una pubblicazione in cui fotografia e street art si fondono in un unico linguaggio artistico attraverso i ritratti “streettati” di alcuni fra i più affermati writers italiani.

 

 

Noi, i comici.

di Gino, Michele, Giancarlo Bozzo

Siamo quelli che hanno scelto la strada più difficile, far ridere il mondo.

D’altra parte “i comici sono comici perché qualcosa nella loro vita è andata storta”, dice La fantastica signora Maisel dell’omonimo tv-movie.

Abbiamo un’anima, noi comici. Come tutti e più di molti. Una vastità interiore fatta di emozioni, ansie, speranze, incazzature, qualche volta raziocinio.

Persino noi autori di comici e di comico inteso come genere, noi che ci lasciamo chiamare, catalogare così, non sappiamo sottrarci all’ essere vivi, in fondo credibili. Non si può fare il comico senza aver dentro un fuoco.

Hanno detto in tanti, del nostro mondo, che “a far piangere son buoni tutti, o molti; a far ridere pochi, pochissimi”.

Zelig doveva essere un locale dalle mille vite, all’inizio. Per questo lo si chiamò così: come il Leonard Zelig, protagonista dell’omonimo film capolavoro di Woody Allen (si vede che amiamo il cinema?), quel locale da novantanove posti doveva cambiare sembianze in continuazione: una sera jazz, un’altra rock, un’altra ancora comicità.

Ma molto presto capimmo, noi tre, che la città aveva bisogno di un luogo votato quasi esclusivamente alla lettura divertita del mondo circostante. Così la parola Zelig rimase a segnare i vari aspetti del Comico, che forse sono i molti aspetti della realtà che viviamo.

Per questo, pensiamo, Marina Alessi – fotografa ritrattista – ha scelto di raccontare Zelig. Perché non ha mai amato annoiarsi. Cercare, rubare l’anima ai comici con una fotografia, è un gran bel mestiere, e una gran bella scommessa. Ci vuole tanta curiosità, aspetto principe dell’intelligenza, e una buona dose di sensibilità. La prima ti deve spingere a capire, l’altra ti dà il dono della delicatezza senza la quale non entri nei cuori e nello stomaco di chi è sul palco.

Guardate le foto, in fondo siamo quasi dei libri aperti: è una gran dote, lo scegliere di donarsi al mondo.

Due cose ancora:

Anteo è un cinema. Per noi è un po’ la celebrazione del cinema a Milano.

Qualcuno ha mai pensato a quanti comici di Zelig, alcuni nati proprio a Zelig, hanno contribuito a fare la storia del cinema italiano degli ultimi venti, trent’anni? Basterebbero per tutti Aldo Giovanni e Giacomo e Checco Zalone. Ma potremmo aggiungerne tanti davvero, da Antonio Albanese, a Paola Cortellesi, Ficarra e Picone, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Vanessa Incontrada, Angela Finocchiaro, e via così.

 

Il 12 maggio del 2023 il Cabaret Zelig in viale Monza compie 37 anni.

Il cinema Anteo è nato il Primo Maggio del 1979. Ha 44 anni.

Zelig, la trasmissione tv è nata nel novembre del 1996. Ne ha 27.

A Milano succedono cose…

Info:

Ridere sul serio – Le foto a Zelig di Marina Alessi, presentate da Gino, Michele e Giancarlo Bozzo

Dal 6 novembre al 6 dicembre 2023 presso Anteo Palazzo del Cinema (via Milazzo, 9 – Milano).

Inaugurazione 6 novembre ore 18, ingresso gratuito.

Anteo Spa, http://www.spaziocinema.info tel. (+39) 02 43912769

Facebook: spazioCinema
Instagram: spaziocinema

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Mostra – Linda Vukaj, Immagini di Confine

La Galerie Jammin di Berlino ospita il 27 ottobre 2023 la mostra fotografica di Linda Vukaj “Immagini di Confine”: 36 scatti realizzati dall’artista in Terra Santa fra Israele e Palestina per una narrazione composta da volti, emozioni e storie che arrivano dalle terre di conflitto. Con le sue immagini Linda Vukaj, artista di origine albanese e parmigiana d’adozione, pone domande, offre dubbi, approfondimenti, voglia di sapere, testimonianze e desiderio di una vita libera e normale in terre di conflitto, fra Israele e Palestina. Il progetto Immagini di Confine”, composto da 36 stampe fotografiche in bianco e nero, è stato realizzato nel 2016, durante il suo primo viaggio nella città di Gerusalemme, a Betlemme e nei luoghi vicini: scatti di drammatica attualità alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente, che saranno in mostra a Berlino alla Galerie Jammin nell’ambito della serie di eventi “Erkenntnis/Empörung/Engagement – Realizzazione/Indignazione/Impegno”. Oltre a Linda Vukaj, saranno presenti Philipp Sonntag, autore di libri e sopravvissuto all’Olocausto e il sassofonista danese Benjamin Madsen. Nel suo lavoro Linda Vukaj ha catturato le complesse realtà e le profonde emozioni di zone di conflitto come Israele e Palestina, dove il dolore è profondamente radicato da decenni. Immagini che scuotono e servono a ricordare le storie umane e le dinamiche che si sviluppano nel mezzo di questa guerra in corso. Attraverso la sua arte, l’artista riesce a trasmettere le toccanti emozioni che si intrecciano in questi territori.

«Immagini quotidiane, profonde, vere se questo termine ha ancora un senso nel nostro faketime – scrive Antonio Mascolo nella prefazione del catalogo di Immagini di Confine – Rispetto è la tinta più forte per raccontare gli spostamenti progressivi di un territorio. Ascolto è la sfumatura dello scoprire un territorio fatto di paura e normalità, fedi e laicismo, silenzio e caos, movide e messe, processioni e ambulanze, attentati e attesa degli attentati, esercito e povertà, umiliazioni e bellezze». «Un territorio -aggiunge- che è mistero, labirinto, che ti fa girare la testa, che ti cambia. Un territorio dove entri con una idea e puoi uscirne con una assolutamente opposta. Scatta Linda nella complessità e trova con occhi giusti sguardi giusti, timori e tremori. Le religioni delle speranze e la realtà vergognosa di un Muro lager fatto da un popolo che è stato vittima dei lager».

Note biografiche

Nata a Durazzo (Albania) Linda Vukaj interrompe gli studi a Facoltà di Fisica a Tirana durante la caduta del regime comunista nel 1991 in Albania e si trasferisce in Italia. A Parma, completa il percorso universitario in Metodologie Fisiche, presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali all’Università di Parma. Dal 2000 si dedica alla fotografia. Viaggi, storie di vita e di tutti i giorni dei luoghi e delle persone che la circondano, sono i suoi soggetti preferiti. Specializzata in reportage e fotografia di ritratto, con un particolare interesse ai temi sociali, ha esposto le sue fotografie a New York, Berlino, Pristina, Belo Horizzonte (Brasile) oltre che in Italia – a Roma, Bologna, Parma, Reggio Emilia, Cesena, Modena e Piacenza. Ha vinto premi nazionali e internazionali e realizzato diverse pubblicazioni.

https://www.lindavukaj.com/
Progetto Immagini di Confine

https://www.lindavukaj.com/portfolios/gerusalemme/

contatti: linda.vukaj@gmail.com

GALERIE JAMMIN

Alt-Köpenick 18, 12555 Berlin

27 ottobre 2023, ore 18, ingresso libero

È richiesta la registrazione. Si prega di inviare una breve e-mail a: mail@jammin.gallery

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Mostre – Romanzo Italiano

Un affresco a quattro mani sul tema del matrimonio che si fa specchio della società italiana, è questo il senso della mostra che vede protagonisti i fotografi Franco Carlisi e Francesco Cito. Un corpus di 120 fotografie in bianco e nero dei due autori saranno in mostra dal 12 al 29 ottobre presso lo Spazio Field di Palazzo Brancaccio a Roma, a cura di Giusy Tigano. Organizzato dall’agenzia fotografica milanese GT Art Photo Agency in collaborazione con SMI Technologies & Consulting Srl, con il patrocinio del Municipio I Roma Centro il confronto tra loro consente un dialogo tra stili per comporre insieme una narrazione a due voci su un tema comune, quello del matrimonio. Osservando le fotografie di Carlisi e Cito ci si trova di fronte a un romanzo per immagini intenso, incalzante e sorprendente, che esce completamente dagli schemi e rimane impermeabile alle convenzioni classiche della più comune fotografia di settore, ancorata a stereotipi di stile e di linguaggio, per lasciare spazio a un’esplorazione del tema defilata, spiazzante e in controtendenza. Le immagini in mostra si susseguono e si intrecciano come elementi armonici di una partitura che si ripete quasi immutata da secoli, per raccontare – con sguardo a volte poetico e a volte ironico e disincantato – le sorprese emotive e i molteplici risvolti relazionali e sociali di uno dei riti di passaggio fondamentali della nostra società e della nostra cultura.

Le opere di Franco Carlisi sono una selezione del più ampio progetto “Il Valzer di un giorno”, il cui libro è stato vincitore del Premio Bastianelli nel 2011 e del Premio Pisa nel 2013. Il giorno è  quello delle nozze, in una Sicilia nascosta, periferica, esplorata oltre il recinto delle codificazioni e delle convenzioni entro cui i protagonisti del rito matrimoniale costruiscono la loro recita. Nel sontuoso bianco/nero delle stampe, di suggestione quasi barocca, le fotografie accettano la sfida del tempo, per sorprendere nel suo flusso caotico l’attimo in cui il senso si rapprende, in un abbraccio, in una movenza, nella lacrima di una sposa, in una coppia che si invola in una giostra, dispiegandosi in una spazialità ricca di sinuosità e di anfratti, di tonalità intermedie fra lo scuro denso delle ombre e i bianchi accesi di una luce che non si arrende.

“L’occhio di Franco Carlisi coglie continuamente dei “fuori campo” e ce li restituisce, direi proprio da narratore, con straordinaria vivezza e intensità. Le foto matrimoniali di solito anelano all’evanescenza, alla leggerezza, alla purezza, alla solennità. Invece, attraverso lo sguardo  di Carlisi, tutto diventa carnale, vissuto forte, reale, senza mezze tinte” (Andrea Camilleri, introduzione al libro fotografico “Il Valzer di un giorno” di Franco Carlisi).

La selezione fotografica del maestro Francesco Cito è invece parte della sua più vasta indagine dal titolo Matrimoni Napoletani” (o “Neapolitan Wedding”), vincitrice del prestigioso World Press Photo nel 1995 (categoria “Day in the life”, 3° premio). Anche in questo caso, non si rinviene traccia della staticità e della monotona ripetitività della classica fotografia matrimonialista “di mestiere”, spesso assoggettata per necessità alle specifiche richieste degli sposi; si delinea piuttosto una cifra espressiva fortemente autoriale e slegata dai dettami della fotografia di genere convenzionale e stereotipata.

“Napoli, perché sposarsi qui non è solo folclore ed esibizione. Non è solo un giorno speciale nella vita, intesa come la vita vera. Tutto il contrario è la sospensione dell’ordinario, il trasferimento momentaneo ma radicale di un’intera comunità parentale, amicale, sociale in un’altra dimensione, senza più alcun rapporto con l’esistenza ordinaria di tutti. Cito affronta una ‘struttura’ possente, coerente, collaudata, funzionante: il moderno matrimonio foto-genico nella sua fenomenologia più completa e pura. E la de-struttura per comprenderla e smontarla con cura, con i guanti e il monocolo all’occhio, come si fa con il meccanismo di un orologio di cui, da fuori, si vedrebbe solo l’ostentato ticchettio e il circuito delle lancette” Michele Smargiassi, introduzione al libro fotografico “Neapolitan Weddings” di Francesco Cito).

La mostra evento “Romanzo italiano” si sviluppa all’interno dello Spazio Field accompagnata da un’installazione artistica di particolare impatto, curata dallo studio di Architettura luoghiCOMUNI, che esalta l’intensità evocativa delle immagini e ne rafforza la potenza comunicativa. Studiata per creare suggestioni e facilitare visioni personali, l’installazione si sviluppa attraverso le diverse sale espositive in modo silenzioso e acromatico, stimolando un continuo rimando tra le immagini e la storia personale di chi visita la mostra. Accompagnando nel visitatore un crescendo emotivo e avvolgente, nell’ultima sala di questo percorso immersivo l’installazione ricrea la giusta distanza per lasciare spazio alla visione soggettiva e ad una riflessione più riservata su tutto ciò che è “il prima” ed “il poi” di  questo giorno speciale tanto atteso e carico di significati. Si tratta quindi di un progetto a tutto tondo in grado di esprimere la carica visionaria dei due fotografi che, pur differenziandosi tra loro, lavorando in geografie differenti e mantenendo intatta la propria identità autoriale distinta e singolare, sono in grado di rappresentare un tema tutto italiano in maniera congiunta e coerente, quasi simbiotica, dimostrando un’originalità inedita e sorprendente, una profonda e amabile leggerezza, e una rara e commovente sensibilità.

Come scrive Gianmaria Testa commentando il lavoro di Carlisi, “Non l’urgenza di un attimo da conservare a futura e immobile memoria. Queste fotografie sanno frugare fra le pieghe, rubano tempo al tempo, lasciano indovinare un prima e anche intravedere un poi; misurano a scatti la distanza fra il guardare e il vedere”.

Precedentemente esposti più volte – singolarmente – in altre città (sia italiane che estere) con una selezione fotografica spesso più ridotta, i due fortunati progetti di Carlisi e di Cito si coniugano per la prima volta insieme in un duetto inedito, toccante e convincente, in una location d’eccezione della nostra prima città italiana, componendo in ambienti scenografici memorabili una esposizione raffinata, intensa e indimenticabile che si fa vetrina di costume, storia sociale, emozione condivisa.

Info:

Franco Carlisi, Francesco Cito. Romanzo Italiano

SPAZIO FIELD, Palazzo Brancaccio,Via Merulana 248, Roma

Ingresso libero. Inaugurazione giovedì 12 ottobre dalle ore 18.30

Informazioni al pubblico info@spaziofield.com; GT Art Photo Agency| 02.36551643