Come una collezionista di piccole storie, questa autrice si muove sul filo della memoria, raccogliendo interviste visive e reperti ambientali, o piccoli attimi che la riportano alle sue stesse radici. Con un atteggiamento delicato, sperimenta, ma risoluta su che vuole ottenere dal suo progetto, va casa per casa per un racconto lirico che mette a confronto l’eco del passato con un mondo contemporaneo fatto di minuzie, spensieratezze, volti e case accoglienti che non hanno perso quella stessa magia che le raccontava la nonna. Le soste che compie il suo sguardo ci riportano a una dignità antica, povera eppure pronta all’ospitalità, fatta di cose semplici e, per questo, a noi così familiari.
Amricord”, in dialetto parmense “mi ricordo”, rappresentava per me l’incipit di una delle tante storie che mia nonna mi raccontava.
Era un po’ il “c’era una volta” che spalancava davanti ai miei occhi di bambina, accudita da lei prima, e a quelli dell’adulta che se ne occupava poi, una serie di aneddoti che avevano come protagonisti personaggi variopinti, alcuni dei quali con soprannomi fantasiosi. Quando ha perso suo figlio, mio padre, nonna Gina ha gradualmente smarrito anche la memoria del tempo presente. Al contrario, i ricordi del passato, delle sue origini e della sua gente, sono rimasti ben saldi dentro di lei e ai suoi racconti, resistenti alle intemperie del tempo e ai dispiaceri, proprio come la casa in pietra del paesino dove è nata e vissuta prima di incontrare e sposarsi con mio nonno e trasferirsi a Genova.
Bore, in provincia di Parma, è una piccola realtà con pochi abitanti e con l’aria buona. In alcuni punti sembra che il tempo si sia fermato, le persone sono gentili e quando incroci qualcuno per strada ti saluta sempre. Sono tornata lì per raccontare con le immagini i suoi ricordi e rivederli alla luce del presente. Ho fotografato i posti di cui mi parlava, ho rintracciato le persone che conosceva direttamente o che sono radicalmente e visceralmente legate alla sua terra. Inevitabilmente le storie di nonna sono diventate un po’ anche le mie, gli sguardi delle persone e le loro vite mi sono entrati nel cuore, i posti nell’anima.
In una delle prime foto che ho fatto, c’è una sedia vuota che guarda sul panorama. Ho immaginato che lei fosse lì seduta a ricordare e a rivivere, attraverso i miei occhi, quella parte della sua vita da cui non si è mai distaccata del tutto, nonostante la distanza, gli anni e la malattia.
(Gabriella Vaghini)
Note biografiche
Mi chiamo Gabriella e vivo in provincia di Roma. Sono attratta fin da piccola dalla potenza delle immagini. Quando ho preso in mano la mia prima macchina fotografica, anni fa, è stata una scoperta bellissima, ma allo stesso tempo la cosa più naturale del mondo. La fotografia, oltre a essere il mio lavoro, è per me memoria e quindi conservazione e testimonianza, ma anche scoperta dell’altro e quindi inevitabilmente di se stessi. E’ catartica, il canale più immediato attraverso cui esprimere quello che ho dentro, le mie emozioni a cui spesso fatico a dare un nome. E’ libertà. Quando attraverso momenti difficili o di cambiamento profondo, monto la macchina fotografica sul cavalletto davanti a me, scatto e mi riconosco.
INSTAGRAM https://www.instagram.com/gabriellavaghini/
SITO https://portfolio.gabriellavaghini.it/