Ho realizzato questo reportage fotografico sulla Moschea El Fath di Roma, meglio nota come “Moschea della Magliana”, perché avevo saputo che è stato uno dei primi luoghi di culto musulmani ad essere stato fondato nella Capitale e che svolge attività sociali come la scuola di arabo, la donazione del sangue, la beneficenza, oltre a promuovere l’uguaglianza tra le persone. Ero molto interessato a fotografare i soggetti in una circostanza intima come quella della preghiera e a raccontare una storia che riguardasse un momento di introspezione e fede religiosa. Per questi fedeli, la religione, oltre ad essere una dottrina, è anche una guida, uno stile di vita, un rifugio dal dolore e un’occasione di meditazione. Ho raccontato la devozione, la spiritualità e la fede dei credenti musulmani che frequentano questo luogo di culto e ho cercato di dare un’immagine differente della comunità, lontana dai soliti luoghi comuni che dipingono i fedeli islamici soltanto come persone chiuse al dialogo, intolleranti e integraliste.
Ho scelto di usare il linguaggio del bianco e nero, per far concentrare l’osservatore sui soggetti delle fotografie, oltre che per rendere le immagini drammatiche ed estemporanee. Dopo aver avuto dall’imam il permesso di fotografare, ottenuto dopo una conversazione telefonica, sono riuscito a stabilire un rapporto con alcune persone che erano all’interno della moschea, credenti musulmani provenienti dall’Algeria e dalla Tunisia arrivati in Italia molti anni fa, in cerca di una vita migliore, con i quali ho avuto il piacere di parlare di religione e di Islam dopo l’ora della preghiera, in un bar, davanti a una tazza di caffè. Con loro ho cercato il contatto visivo, per avere il consenso a fotografarli e per instaurare un dialogo, volevo conoscerli e cercare di capire cosa li faceva sentire così vicini a Dio e per quali ragioni. Durante la realizzazione degli scatti, in alcuni casi ho cercato di non influenzare la scena, per riprendere le persone nel modo più naturale possibile e per non disturbarle durante la preghiera, rimanendo in silenzio e vicino a loro. Dal principio, ho trovato un po’ di scetticismo nei miei confronti, alcuni si sentivano a disagio nell’essere inquadrati mentre pregavano, altri mi chiedevano se avessi il permesso dell’imam, se ero un giornalista e dove sarebbero finite le fotografie. Presentandomi, mostrando il mio lavoro sul display della fotocamera e facendo vedere alcune fotografie di reportage che avevo memorizzate nel telefono, sono riuscito a conquistare la loro fiducia. Ho realizzato il portfolio in due differenti giorni, di domenica mattina e di venerdì durante la preghiera comunitaria, riprendendo i momenti principali della funzione religiosa.