Portfolio – Emanuela Colombo, C’era una volta il Nagorno Karabakh
Mileta Haynepetyan ha 56 anni e 6 figli. Con loro e il marito è partita da Martakert in Nagorno Karabakh il 25 settembre 2023 sotto i bombardamenti azeri coi soli vestiti che aveva addosso. Ora vive con la famiglia a Hrazdan dove erano già stati sfollati durante la guerra dei 44 giorni nel 2020. Fortunatamente avevano comprato una casa qui e ci si sono potuti trasferire senza dover pagare nuovi affitti. La figlia Rita lavora nel centro di accoglienza della città come facilitatrice. Al centro sono registrate in totale 1700 famiglie di esodati dal Nagorno Karabakh. Mileta Haynepetyan is 56 years old and has six children. With them and her husband, she left Martakert in Nagorno Karabakh on 25 September 2023 under Azerbaijani bombardment with only the clothes on her back. She now lives with her family in Hrazdan where they had already been displaced during the 44-day war in 2020. Fortunately, they had bought a house here and were able to move in without having to pay new rents. Their daughter Rita works in the city's reception centre as a facilitator. A total of 1,700 displaced families from Nagorno Karabakh are registered at the centre.

Il Nagorno Karabakh era una piccola enclave armena in Azerbaijan, autonoma sin dal 1921 e diventata repubblica presidenziale indipendente dopo il referendum interno del 1991.

Gli armeni hanno sempre percepito il Karabakh come il loro luogo di origine, il posto dove tutto ha avuto inizio, la culla della loro cultura, baluardo della religione cristiana in una zona di totale appartenenza mussulmana, con le sue mille chiese e i suoi monasteri fortificati.

Oggi il Nagorno Karabakh non esiste più.

Dopo 9 mesi di isolamento forzato dell’enclave da parte dell’Azerbaijan che ha provocato una crisi umanitaria devastante, il 25 settembre 2023 la popolazione residente in Karabakh ha dovuto abbandonare la propria casa sotto i bombardamenti azeri e rifugiarsi in Armenia. La regione è stata svuotata, le chiese rase al suolo, i cimiteri distrutti, le case saccheggiate. Di quello che è stato il Nagorno Karabakh è stata cancellata ogni traccia. Il 31 dicembre 2023 la nazione è ufficialmente scomparsa dal panorama internazionale. La sua esistenza è stata cancellata addirittura dai libri di storia locale.

Su Google maps del Nagorno Karabakh non esiste più traccia. Abbiamo assistito alla totale cancellazione di una nazione, della sua storia, della popolazione, e non ce ne siamo quasi neanche accorti.

Fino alla dissoluzione dell’Unione sovietica il Nagorno Karabakh (Artsakh in Armeno) è stato per volere di Stalin un oblast (una regione) autonomo armeno con capitale Stepanakert facente però parte dell’Azerbaigian. Azeri e armeni vi convivevano in pace.

La complicata mappa delle enclavi autonome nel Caucaso è un eredità del sistema sovietico di cui si è servita per decenni Mosca per dividere e governare meglio il suo impero. Gli armeni del Karabakh, dunque, avevano raggiunto una loro autonomia già dal 1921, ma Stalin non volle ai tempi concedere loro l’indipendenza. Con la dissoluzione dell’Unione sovietica una buona parte delle repubbliche socialiste che la componevano però si dichiararono indipendenti e così avvenne anche per la Repubblica dell’Artsakh, cioè il Nagorno Karabakh. Da quel momento scoppiarono molte guerre per la disputa sui confini e per la sicurezza e i diritti della minoranza armena.

Venendo ai giorni nostri, la Russia (fino a poca tempo fa stretta alleata dell’Armenia), si trova sempre più impantanata nella guerra di invasione in Ucraina e non intende lasciarsi coinvolgere in una guerra al fianco di Yerevan. L’Azerbaigian, dunque, ha visto aperta per sé una grande opportunità per chiudere una volta per tutta la questione Karabakh e riannettersi definitivamente territori interni ai suoi confini.  Non dimentichiamo tra l’altro che gli Armeni sono tradizionalmente cristiano ortodossi e gli azeri mussulmani.

L’atteggiamento di passività della Russia è legato anche all’attuale dipendenza di Mosca dall’Azerbaigian, attraverso il quale la Russia venderebbe il suo petrolio all’Europa confezionato come azerbaigiano. In più gli azeri hanno costruito nel tempo forti legami militari con Israele e Turchia. L’Azerbaigian è cresciuto mentre l’Armenia si è isolata sempre più.

Nel frattempo, le relazioni dell’Armenia con il suo tradizionale benefattore, la Russia, si sono deteriorate e ora la Russia minaccia il leader armeno per la “direzione occidentale” verso cui sta indirizzando il suo paese. Mosca vede tra l’altro in questa crisi un’opportunità per sbarazzarsi di una Armenia che guarda sempre più all’Occidente e per questo cerca di provocare un cambio di regime nel governo di Yerevan.

Ed ecco a inizio 2023 il colpo di mano dell’Azerbaijan che ha creato una crisi umanitaria spaventosa sottoponendo la popolazione del Karabakh a nove mesi di isolamento con il blocco del corridoio di Lachin, unica via di approvvigionamento per gli armeni della regione. Bloccato il corridoio di Lachin, Aliyev (presidente azero) ha trasformato il Nagorno Karabakh in un vasto campo di concentramento per 120 mila armeni rimasti di fatto imprigionati.

Ha ignorato gli appelli di Bruxelles e di Washington, ha ignorato le esortazioni delle istituzioni internazionali che chiedevano la fine del blocco, facendo carta straccia del diritto internazionale; ha distrutto i monumenti cristiani, ha isolato la popolazione armena, non ne rispetta i diritti fondamentali di autonomia culturale e politica, non è disposto a concedere nemmeno il diritto ad avere una amministrazione locale e ha bloccato le forniture energetiche e le vie di accesso privando la popolazione della possibilità di ogni approvvigionamento di generi di prima necessità come il cibo, le medicine e il carburante, provocando una crisi umanitaria, sfiancando la popolazione e fiaccando ogni capacità di resistenza delle forze armate separatiste.

Poi ha iniziato a bombardare i villaggi, da nord a sud, con studiata efficienza, costringendo la una popolazione già allo stremo ad abbandonare case, terre, fattoria e villaggi per salvarsi la vita.

In Nagorno Karabakh ha smesso così di esistere.

Guerre d’indipendenza

1991 Il 2 settembre la regione del Nagorno Karabakh, un’enclave a maggioranza armena in territorioazero, annuncia la secessione dall’Azerbaigian. Comincia la prima guerra.

1994 Con il cessate il fuoco gli armeni prendo- no il controllo dell’enclave. Il bilancio della guerra è di trentamila morti e centinaia di migliaia di profughi, in maggioranza azeri.

1995-2015 Lungo la linea di contatto ci sono al- cune sporadiche violazioni del cessate il fuoco.

2016 Tra il 2 e il 5 aprile scoppia la cosiddetta guerra dei quattro giorni. Un nuovo cessate il fuoco è negoziato con la mediazione di Mosca.

2020 Il 27 settembre un’offensiva azera dà il via alla seconda guerra del Nagorno Karabakh. L’Azerbaigian riconquista i terrori persi nel 1994 e diverse aree dell’Artsakh (come gli indipendentisti armeni chiamano il Nagorno Karabakh).

2023 A luglio l’Azerbaigian blocca il corridoio di Laçın, l’unica strada che collega l’enclave con l’Armenia. A settembre lo riapre. Il 19 settembre l’Azerbaigian attacca l’enclave. Il 20 settembre si raggiunge una tregua. L’Azerbaigian riprende il controllo di tutto il Nagorno Karabakh.

2024 La repubblica armena dell’Artsakh smette di esistere. Continuano i negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian.

 

Note biografiche

Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione allo IULM di Milano, Emanuela Colombo ha lavorato per quasi 10 anni nell’ufficio acquisti di grandi realtà aziendali lombarde.

Nel 2007 frequenta il Master in “Photography and Visual design” presso Naba in collaborazione con lo spazio Forma di Milano e Contrasto e inizia a collaborare con alcune grandi ONG (come Cesvi, ActionAid, Save the Children, Fondazione Somaschi…) per la produzione di reportage/storie riguardanti le loro attività in Italia e all’estero. Pubblica i suoi lavori su importanti testate italiane ed estere come Panorama, Sette, DdiRepubblica, IoDonna, Stern, DieZeit e altre.

Vincitrice del premio TheFence2016 col lavoro “Chickens” espone a New York nel parco sottostanete il ponte di Brooklyn e in tutto il Nord America.

Vincitrice del premio Tabò 2017 col lavoro “The 2/th generation’s prophecy”, espone al Macro Testaccio a Roma. Dopo una residenza in Lituania espone il lavoro “Brazilka” al festival di Kaunas nel 2019. Nel 2023 espone a Phest – festival internazionale di fotografia di Monopoli – il lavoro “Beatles in the box”…etc,etc..

I suoi lavori sono pubblicati in molti libri di fotografia tra cui citiamo: “Gallo canente spes redit” a cura di Vinicio Riganti pubblicato da Hopli, “Stiamo scomparendo, viaggio nell’Italia in minoranza” pubblicato da CTRL books, “The Village” pubblicato da Quirici Edizioni.

www.emanuelacolombo.com

https://www.instagram.com/emanuelacolombo_photofolio/

Lascia un commento