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Tra poco la sesta edizione del Colline Cultura Photo Festival

L’autunno in Piemonte torna all’insegna della fotografia d’autore. Il 7 ottobre inaugurerà la sesta edizione del festival fotografico che anima per un’intera settimana le colline intorno a Torino. Organizzato e ideato dal suo presidente Mario Sabatino e dall’associazione culturale Arketipo, vanta il patrocinio della Regione Piemonte Consiglio Regionale del Piemonte, Città Metropolitana di Torino, Fondazione ECM, i Comuni di Gassino Torinese, San Raffaele, Rivalba, Cinzano, Sciolze e Castiglione, ed è in media partnership con EyesOpen! Magazine. Il tema scelto per fare da filo conduttore nel 2023 è “Indagare la bellezza“, intorno ad esso si svilupperanno diverse mostre ed eventi per una proposta culturale diffusa su tutto il territorio. Epicentro sarà il bellissimo borgo di San Raffaele Alto: i suoi spazi istituzionali messi a disposizione dal Comune, da Pro Loco e Palazzo Atelié, sono coinvolti per ospitare le esposizioni personali dei fotografi coinvolti dal curatore, Barbara Silbe, che così ne parla nel testo introduttivo del catalogo:

Lo stupore di un paesaggio, l’unicità di un volto, la contemplazione di una farfalla. Sono infinite le declinazioni della bellezza, si spingono ben oltre il visibile, nella dolcezza di un sentimento o nello struggimento di un ricordo, e sono tutte soggettive, influenzate dal nostro personale giudizio. Non dobbiamo mai dimenticare che
il fattore estetico, filo conduttore di questa edizione del festival, è una componente opinabile regolata da diverse variabili: le nostre esperienze passate, l’educazione ricevuta, l’alchimia, i neuroni, i bisogni, la nostra stessa identità. “Non è bello ciò che è bello…”, diceva il proverbio sottolineando la relatività del verdetto finale. La bellezza è dunque individuale, pare regolata da un mistero, da quella questione chimica che fa emozionare ciascuno di noi di fronte a ciò che riconosciamo. Gli esseri umani cercano se stessi nell’arte come nella natura, ciascuno a proprio modo, e lo sanno bene i fotografi, che per mestiere tendono a indagare la complessità dell’esistenza per trovare l’incanto dentro a ogni cosa e riportarlo fino a noi  riletto dal loro sguardo.
Abbiamo invitato alcuni di loro a parlarcene attraverso le loro immagini, per aiutarci a compiere un viaggio nell’ignoto, alla fine del quale saremo più consapevoli. Le immagini esposte ci condurranno a scovare la meraviglia dove non l’aspettavamo, nelle cose ordinarie, in una nostalgia o negli abbracci, come fosse qualcosa che si possa toccare, annusare, assaggiare. Bellezza sono due sposi circondati da chi è intervenuto alla cerimonia per testimoniare il loro eterno amore, come racconta Max Allegritti nei suoi reportage di matrimonio dove sono protagonisti i gesti e le piccole cose; o una coppia di anziani ancora mossi da reciproca tenerezza dopo tanti anni insieme, immortalati dagli scatti di Jordan Angelo Cozzi. Il bello può celarsi in uno scenario evanescente, quasi un sogno, e nei ricordi che porta a galla il solo osservarlo, lo sa bene Antonio Verrascina che va infinitamente lontano trasponendo nei luoghi la vita che ha vissuto e il suo stesso sentire; o viene minacciato dalla violenza e dall’omertà nei ritratti in bianco e nero di Mjriam Bon che interroga personaggi famosi e persone comuni per porre l’attenzione sulle vittime di abusi; o dall’inquinamento che ha straziato il luogo natale di Antonello Ferrara, che lo interpreta stendendo un metaforico velo rosso-rabbia su ogni fotogramma realizzato in situ, intercalando rovine contemporanee a ricordi del suo passato felice. C’è, infine, la selezione elegante e preziosa di Giancarlo Vaiarelli, rinomato stampatore fine art che lavora con il platino palladio e fotografo di lungo corso, che abbiamo coinvolto per la sua capacità di indagare il fascino del mondo facendoci scoprire la ricchezza delle sue stampe vintage.

Altre mostre a cura dell’associazione Arketipo sono di Mario Sabatino, Sergio Bittoto,, Angelo Girardi, Francesco Maneo e Gian Luca Partengo. Giornate imperdibili della kermesse saranno naturalmente i due weekend 7-8 e 14-15 ottobre, arricchiti da incontri, workshop, talk, presentazioni, aperitivi e sessioni fotografiche di ritratti stampati aperte a tutti i visitatori. L’inaugurazione è fissata per il 7 alle ore 16 presso il cortile di Palazzo Ateliè, nel quale alle ore 19.30 saranno proposte degustazioni delle eccellenze del territorio.

Ulteriori informazioni: archetipo.to@libero.it

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Portfolio – Giacomo Bruno, Más campero que el mate

Di Barbara Silbe

Lo stile di Giacomo Bruno è un misto di semplicità ed evanescenza, di concretezza e realismo magico, di opposti insomma, che sono poi quelle spiazzanti caratteristiche che fanno restare in mente il suo lavoro. Mi ha scritto qualche tempo fa, e lo pubblico con colpevole ritardo, ma per contro ho avuto settimane per lasciare sedimentare il suo progetto e comprenderlo come merita. L’autore ci racconta una storia lontana, che però appartiene a tutti noi più di quanto crediamo. Parla di un contadino tenace, orgoglioso, che ci accoglie nella sua umile casa posta in un luogo complicato, duro, impregnato di forze naturali e soprannaturali. Da queste parti, venire al mondo è già un miracolo. La sua vita è svelata da rughe, espressioni o piccoli dettagli, da inquadrature dove gli occhi dei soggetti ci accompagnano silenziosi nel mondo che li circonda, come ci si aspetterebbe da un libro di Isabella Allende o Gabriel Garcia Marquez. Veniamo condotti uno scatto dopo l’altro in un posto dove sembra sempre che debba accadere qualcosa e, nell’immobilità apparente, persone e animali convivono in simbiosi. Gli uni servono agli altri, senza parole superflue, come in qualunque cultura contadina. Poche cose costruiscono una giornata, un’esistenza senza fronzoli, sospesa in una dimensione onirica accentuata da paesaggi dai colori desaturati, o dalle pose dei soggetti che sembrano in attesa rivelati da interessanti giochi di luci ed ombre. I giorni e le notti seguono il ciclo perpetuo di una poetica narrazione, che il fotografo stesso spiega con queste parole:

Credo che ad ogni area geografica, nelle sue connotazioni e conformazioni distintive, corrisponda un archetipo di uomo che la abita. Se esiste un luogo in cui questo è particolarmente vero , ho scoperto, è la Pampa Argentina. Luoghi di immensità, di sconfinata estensione. I suoi abitanti, in certa misura, coincidono in queste caratteristiche. Uomini lineari, semplici, dallo stoicismo e pragmatismo assoluto. Una serie di “investigazioni”, più simili a un dito puntato alla cieca sulla mappa, mi hanno portato a scegliere un luogo piuttosto sconosciuto anche nella stessa Argentina: Las Islas de Las Lechiguanas, provincia di Entre Ríos. Questa aleatorietà, forse volontariamente, si applica anche alla storia, che potrebbe coincidere per similitudine con mille altre nel Paese.

¡Soy más campero que el mate!, letteralmente “Sono più campagnolo dell’erba mate!” (erba della rituale omonima bevanda, diffusissima in tutta l’Argentina), è un’espressione che ho sentito più volte ripetere, in tono fiero e pieno di orgoglio, come a descrivere la dimensione di vita tradizionale più nobile e degna possibile. Il protagonista della serie è un autentico gaucho, Buenaventura Piquet, detto Grucho. Nato nel 1958, come lui stesso ama recitare in una tradizionale Payada (versi rimati e cantati), “en la orilla del Rio del Paranà y del Rio del Ibicuy”.  È infatti la diramazione di questi due fiumi che delinea e origina l’isola de Las Lechiguanas. Il Paranà è un fiume antico. Nasce in Brasile al confine fra i tre stati brasiliani di Minas Gerais, São Paulo e Mato Grosso do Sul. Percorre oltre 4000 chilometri prima di arrivare in Argentina e incontrare l’Ibicuy. 

L’acqua porta con sé tutta la magia e il misticismo antico delle popolazioni native e delle terre da cui origina. Rimescola, deposita e impregna le rive con tutta l’energia del fiume, della sua forza vitale, naturale, soprannaturale. La vita sull’isola è solitaria, spartana, senza comfort. Sono in pochissimi ormai quelli che continuano ad abitarci. Ancora meno sono quelli che lì sono nati, sopra la nuda terra, quando ancora si raggiungeva la terraferma attraversando il fiume in canoa, trascinando il cavallo a nuoto per poi fare rientro allo stesso modo con una levatrice, che potesse assistere le donne nel parto e nei primi giorni di vita del neonato.

Così è nato Grucho, sull’isola della Lechiguanas. Nell’esatto luogo della sua nascita ora rimangono solo alcune pietre fondali dell’antica casa e la tomba dei suoi genitori che riposano proprio lì dove ebbe inizio la sua vita. Grucho questa terra la conosce palmo per palmo, letteralmente. Il suo legame ad essa è profondo e viscerale, al punto che è così scontato per lui come per noi lo è avere sensibilità nelle estremità del corpo, nelle dita dei piedi o nei capelli. Può sentire ciò che succede sulla sua terra. Sa sempre dove si trovano le sue greggi di bestiame, quando qualche animale è ammalato, o esausto per la fatica dopo aver provato fino allo strenuo delle forze a liberare le zampe dal pantano, chino per bere dal fiume. Lui li raggiunge, a volte trascorre giorni insieme agli animali, ne ha cura, li cura,  finché non ritornano in forze.

Richiama a sé i cavalli che vagano liberi in un terreno sconfinato, spesso a svariati chilometri di distanza. Usa un fischio e qualche verso incomprensibile, ma la maggior parte delle volte sono troppo lontani perché possano rispondere al solo udito. Eppure, assertivi, fanno ritorno. Tutto sull’isola esiste sopra un confine labile tra reale e surreale. Come il “ceibo magico”, un enorme albero del corallo dotato di attributi legnosi dalle sembianze umane. Considerato sacro e magico da tutte le generazioni di cui si ha memoria. Capace di miracoli benevoli e di perfette maledizioni, secondo le circostanze e le intenzioni degli avventori.

Attraverso questa serie di fotografie Grucho ci presenta il suo mondo. Ci accoglie dentro casa, nel suo quotidiano. Ci accompagna nei luoghi dove lavora, che frequenta. Ci presenta gli amici e le persone che incontra. Un po’ attraverso la sua figura, un po’ attraverso i suoi occhi. E un po’ attraverso le sue parole.

 

Aqui nacì compañero,

acqui, ché, me reì.

A la orilla del Paranà y del Río

del Ibicuy.

Crecieron todas mis ansias

de campero y islero.

Soy el gaucho màs certero

que hubo en este lugar.

Recorriendo los parajes

que usted los ve,

por aquì.

En la orilla del Paranà

y del Rio del Ibicuy.

(Grucho Piquet)

 

Note biografiche

Giacomo Bruno è un fotografo italiano nato nel 1991 e residente a Reggio Emilia. Realizza progetti personali sulla vita, l’artigianato e l’agricoltura, fornendo approfondimenti su come le aree rurali si sviluppano e sopravvivono in tutto il mondo. Ha iniziato la sua carriera come assistente fotografo subito dopo la scuola superiore, lavorando in due studi di fotografia pubblicitaria e di prodotto fino al 2013, poi ha deciso di prendere la sua strada seguendo la passione per i viaggi e la sua vera vocazione: la fotografia di ritratto e il reportage. Ha lavorato a numerosi reportage in America Latina, Cina, Giappone, Sri Lanka, Sudafrica e i suoi progetti sono stati pubblicati sulle principali riviste internazionali, come il Corriere della Sera e Le Monde.fr, ma anche su editoriali e riviste come Perimetro, C41 Magazine, Mia Le Journal, SlackTide Mag, Zeitjung, Gräfe e Unzer, The post internazionale, Erodoto108 e altri. Ha collaborato con importanti agenzie pubblicitarie internazionali, come McCann Worldgroup, Merchant Cantos, Brunswick Group, Esse House e K48 e con importanti aziende locali come VENTIE30 e The Block MultiVisual.

 

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Portfolio – Margherita Nardi, Il respiro delle emozioni

Di Barbara Silbe

Respirare è un’azione che ha a che fare con la nostra stessa sopravvivenza. Senza aria, non c’è vita. E’ un dentro connesso con il fuori, contrazione e rilassamento continuo del nostro corpo in armonia. Lo sa bene Margherita Nardi, che su questo concetto ci ha costruito un progetto fotografico intimo ed emozionante. Nascondendo dietro allle immagini una serie di simbologie, alcune esplicitamente esternate, altre no. Per scelta, per indole, l’autrice preferisce lasciare spiragli aperti alle interpretazioni, lancia messaggi che non è indispensabile noi tutti comprendiamo, quasi che la fotografia fosse più un dialogare con se stessa per raggiungere la consapevolezza alla quale accenna nel suo testo qui sotto. E’ un fatto che quando non siamo sereni o ci sentiamo in pericolo, il respiro cambia, viene trattenuto, accelera. E’ correlato alle tensioni, all’ansia che ci attraversa per varie ragioni. Si fanno corsi per respirare e liberarsi dallo stress, quasi che questa azione ci riportasse al ritmo ancestrale che ci appartiene: nascita, esistenza, morte, e innumerevoli sfaccettature nel mezzo che Margherita Nardi prova a raccontare: c’è l’aria pura intorno a un albero, o un brivido sulla pelle, un vetro che si appanna, l’insonnia su un cuscino carezzato da una mano, la serenità di un sorriso che si affaccia al sole della finestra. Affidando la sua idea a gesti di altri protagonisti, lei, autrice-soggetto, per riprende fiato e respirare la sua stessa libertà ha dovuto infilarsi dentro a diversi passaggi, usare i polmoni, lo sterno, il cuore e il cervello tutti legati da un filo stretto.

Queste le sue stesse parole:

Il respiro è un atto inconsapevole e spontaneo. Un meccanismo insito nella nostra esistenza, a cui non serve un input di azionamento, e a cui non diamo troppo peso. Respirare è un concetto chiaro e definito per chiunque, ma quante e quali accezioni può assumere nel corso di una vita? Alle mie fotografie ho affidato il compito di proporre una risposta a questa ricerca di senso e significatività.

Ho iniziato con una profonda introspezione: ancora fresche sono risultate per me, nel cuore e nella mente, le ferite di quel “mio” momento storico, in cui avevo un respiro corto, affannoso e pesante. Un costante senso di oppressione ha precluso ogni mia libera scelta per un paio di anni. Quasi apnea. La consapevolezza delle difficoltà e un crescente grado di accettazione del mio dolore, sono state bolle d’ossigeno che mi hanno riportata in superficie. Riemergendo, il mio primo respiro è stato energia pura. Bocca aperta, aria limpida.

Ho proseguito la ricerca porgendo ad alcune persone il mio dubbio di significato. Ho raccolto le loro testimonianze. Sentivo l’esigenza di capire se anche per gli altri esistesse una stretta connessione tra il respiro e le emozioni. Ho chiesto loro di fermarsi, in questo mondo sempre più frenetico, per ascoltarsi, e di tradurre in parole un concetto tanto facile da comprendere, quanto personale.

Ho capito che ognuno recupera il respiro secondo la propria spiritualità e necessità, proprio come potenzialmente diverse possono essere le strade che portano noi, singole entità del mondo, ad uno stesso obiettivo.

Ho capito che il respiro può rivelarsi come una preziosa chiave enterocettiva: aumentando il grado di consapevolezza e di ascolto del nostro intimo, possiamo, forse, percorrere la nostra strada più serenamente.

Ho capito che il respiro ha una propria frequenza e intensità, ovvero una forza diversa in ognuno di noi.

Capisco, ogni giorno, che il respiro è un’intima connessione tra mente e cuore. Un legame tra conscio e inconscio che ci attraversa tutti e che ci accompagna nel nostro quotidiano, e a cui, purtroppo, non sempre riconosciamo la giusta importanza. Il respiro non è solo un susseguirsi di attimi, ma porta la nostra presenza nella storia del tempo, senza esserne mai stanco.

Note biografiche

Mi chiamo Margherita, sono di Monza ma vivo e lavoro a Milano.

Conseguita la laurea in economia e commercio, ho deciso di fidarmi dell’istinto e di perseguire la mia passione per la fotografia. Dopo aver frequentato i corsi presso l’Istituto Italiano di Fotografia, ho iniziato a lavorare come assistente e poi come fotografa professionista. Sono specializzata in fotografia commerciale e industriale, reportage aziendale e ritratto.

Mi ritengo una persona inguaribilmente precisa, fortemente riolutiva e determinata. La mia ambizione mi spinge a continuare a studiare e sperimentare, anche nella ricerca introspettiva e artistica, per portare la mia fotografia a un maggior livello di espressività.

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Mostra – Livio Senigalliesi racconta il suo “Diario dal Fronte”

Intervista di Marta Calcagno Baldini

“ ‘Livio, voglio la copertina!’ mi dicevano i direttori prima che partissi. E io andavo: non si può essere un testimone senza partecipare”. Livio Senigalliesi, 25 conflitti in 30 anni di lavoro. Classe 1956, milanese, il Museo Diocesano gli dedica, fino all’8 gennaio 2023, una mostra personale a cura di Barbara Silbe (giornalista e direttore di EyesOpen! Magazine): “Bisogna che finalmente Senigalliesi sia conosciuto anche in Italia” spiega, svelando una caratteristica fondamentale del fotografo milanese: i suoi reportage sono stati pubblicati più spesso sui più importanti giornali stranieri (El Mundo, El Pais, The Guardian, The Indipendent, Le Monde, Le Nouvel Observateur, Die Welt, Der Spiegel, fino al Los Angeles Times o Time Magazine). In italia soprattutto “Epoca” e “L’Europeo”.
In mostra si trova una selezione di 50 fotografie, raccolte in numerosi scenari di guerra dal Medio Oriente al Kurdistan, dal Kuwait all’Unione Sovietica fino all’Africa: “Non ho staccato mai per 40 anni – dice Senigalliesi – e sono andato avanti come attratto da un file rouge che sta più nel valore storico della documentazione che dalla fotografia stessa”. E rivela, a sorpresa: “Io non sono un appassionato di fotografia: uso la macchina come uno strumento. Mi interessa vivere la storia mentre accade. Attraversando le sue contraddizioni le prime linee, andando da una parte e dall’altra”.

Ogni sua parola, davanti a immagini di soldati, di carri armati, di funerali di bambini, di palazzi distrutti, o l’approfondimento sul Vietnam sugli effetti sulle popolazioni locali dell’Agent Orange, il defoliante alla diossina nebulizzato dagli americani sulle zone di foresta dove i vietcong si annidavano, conferma che sono fotografie che vengono anzitutto dal rispetto della situazione in cui si trova. Non c’è un giudizio e non c’è gusto sadico per l’orrore e la sofferenza. Durante l’assedio di Sarajevo, dal 1992 al 1996, i giornalisti stavano nell’Holiday Inn, l’hotel diventato rifugio di -quasi- tutti gli inviati. “Io arrivavo lì ogni tanto, schivando le pallottole, perché c’era l’unico telefono satellitare. Erano tutti in quell’albergo perché c’erano i generatori di corrente che andavano a benzina. Avevano il caldo e la luce. Quando arrivavano quelli come me in albergo venivano a farmi le domande. A volte raccontavo ciò che vivevo e vedevo, altre no. Nel 1991 sono partito commissionato dal settimanale Europeo per la ex Jugoslavia e tornai a casa nel 2000. Mi muovevo come si muoveva il fronte e imparavo dalla gente, vivendoci insieme”.

Racconta, con la erre moscia, e ascoltandolo si ha conferma di ciò che le sue immagini dicono chiaramente: ogni situazione è colta con una sensibilità data dall’approfondimento. “La complessità di una guerra o di un assedio come quello, ad esempio, di Sarajevo si può capire vivendolo da parte dell’assediato e dell’assediante – spiega ancora Senigalliesi -.  Spesso anche l’assediante vive le stesse tragedie dell’assediato”. E bisogna sapersi muovere: “La prima cosa da imparare è la lingua, è determinante per capire cosa ti accade intorno, o trattare con i soldati che ti vogliono uccidere. Sono stato anche davanti a un plotone di esecuzione, dovevo essere fucilato. Poi, solo per il fatto che parlavo il serbo, li ho convinti a chiamare via radio il loro capo, che gli ha intimato di lasciarmi andare, dato che avevo tutti gli accrediti previsti per un reporter in zona di guerra. I miei lanzichenecchi mi avevano già detto ‘togliti le scarpe che non ti servono più’. Io stavo già con le gambe dentro un fiume. Eravamo in undici in fila e alla fine nel fango ho raccattato soldi e le macchine fotografiche che mi volevano rubare e mi sono salvato”.  E conclude “Gli altri 10 però li hanno fucilati. Capisci che poi torni a casa con un dolore e un senso di colpa che ti perseguitano, ti chiedi “perché io no?”. Mi hanno messo tante volte il coltello alla gola. Mi hanno rubato tutto, i rullini: un mese di lavoro. Li buttavano nel fuoco. Io non mollavo. Ero una lastra di acciaio. Solo facendolo ho scoperto che ero fatto per questo mestiere. Tanti miei colleghi hanno mollato, o hanno iniziato a drogarsi, o bere. Bere è istintivo. Io sempre tutti sotto controllo, ma poi esplodi”. Questo è il momento della rielaborazione. Oltre alla mostra le esperienze di foto-giornalismo di Senigalliesi sono raccolte nel libro “Diario dal fronte”, acquistabile su www.it.blurb.com (33,53 euro): un importante punto di arrivo nella sua carriera. Il suo sistema di lavoro va aldilà del reportage: “gli antropologi l’hanno chiamata ‘documentazione partecipata’ ”.

 

Livio Senigallliesi, “Diario dal fronte”, aperta fino all’8 gennaio 2023

Museo Diocesano Carlo Maria Martini, piazza Sant’Eustorgio 3, Milano

Orari: martedì- domenica, 10-18; chiuso lunedì

Tel. +39 02 89420019; www.chiostrisanteustorgio.it 

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Libri – Il mondo dei videogiochi nell’indagine di Jacopo Scarabelli

Ancora pochi giorni per aggiudicarsi il primo libro fotografico del reporter milanese Jacopo Scarabelli. Si intitola“Play the Game Over”, raccoglie e sintetizza la sua lunga indagine, intrapresa nel 2017, quando gli Esports vennero dichiarati disciplina olimpica. Il suo sguardo si concentra sulle squadre, sulle dinamiche, sui molti appuntamenti e i suoi protagonisti, ed evidenzia le influenze che il fenomeno ludico ha sulla società contemporanea. Affidato alla casa editrice SelfSelf Books, ideata e nata a febbraio 2021 per supportare autori giovani o più affermati nell’ambito dell’editoria fotografica, il volume è in prevendita sulla loro piattaforma crowdfunding fino a fine ottobre.Il fotografo, talento emergente noto anche per la sua serie diritratti RGB che attingono allo stesso linguaggio e il cui lavoro è già stato ampiamente riconosciuto da premi e pubblicazioni a livello italiano e internazionale, ha affidato la curatela del progetto a Barbara Silbe, giornalista che da molti anni si occupa di fotografia: insieme hanno compiuto un attento lavoro di editing sul vasto archivio di Scarabelli, per affidare alle pagine del libro la sintesi di quanto realizzato fin qui. La pubblicazione, di interesse sia per gli appassionati del tema, che per i collezionisti di fotografia, sarà acquistabile esclusivamente in questa prevendita e non è prevista ristampa. Permetterà di comprendere come il videogioco sia diventato il media contemporaneo di intrattenimento più rilevante, sia per l’economia che muove sia per l’influenza che esercita sulle nostre vite, anche quelle di chi non se ne rende conto o li considera marginali. Questo fenomeno soffre infatti di un forte pregiudizio e di disinformazione, lo si considera una subcultura come i fumetti o la streetart, eppure è oggi un’industria fiorente, che genera più profitti di quella musicale o cinematografica e finisce per permeare le nostre esistenze più di quanto ce ne rendiamo conto. Le pagine di quello che sarà il futuro libro dell’autore conterranno il lungo reportage (iniziato nel 2017), oltre a testi curatoriali e giornalistici e a dati preziosi raccolti da Scarabelli durante il suo approfondimento. Sono molti i protagonisti: le squadre Esports, i cosplayer, il ragazzo che gioca tra le quattro mura di casa e mal visto dai genitori, questi ultimi che diventano tifosi delle squadre e sostengono i figli durante le competizioni, i cosplayers e i nuovi professionisti del settore come gli streamer e i caster, nuovi lavori ancora incompresi eppure sempre più proficui. E molti altri. Come già accennato, “Play The Game Over” è rivolto agli appassionati di gaming e ai fotografi, ma vuole anche raggiungere un pubblico generalista, con l’intento di informare chi non lo comprende e diffondere conoscenza. Il videogioco è diventato il media contemporaneo di intrattenimento più rilevante, sia per l’economia che muove sia per l’influenza che ha sulla società. Allo stesso tempo, soffre di un forte pregiudizio e di disinformazione. Attraverso questo suo articolato reportage, ricerca visiva di grande valore che vanta una specifica, originale forma espressiva, l’autore scava nei suoi stessi ricordi di fruitore di video giochi e finisce per farci comprendere meglio il media e, di conseguenza, la società che si muove ed evolve parallela a noi. MSI Italia, marchio leader nella produzione di software e hardware gaming a livello mondiale, si è impegnata a sostenere il progetto editoriale “Play the Game Over”. Un riconoscimento importante per la ricerca dell’autore che così approfonditamente ha indagato questo mondo digitale in continua evoluzione.
 
CAMPAGNA DI PREORDER ATTIVA fino al 31.10.2022 sul sito di Self Self Books
Soglia minima necessaria: 4000€
Rewards disponibili: 40€, 60€, 90€, 120€
 
Per maggiori informazioni o per interviste:
Jacopo Scarabelli 3497216024
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Arriva Colline Cultura Photo Festival

L’autunno in Piemonte sarà all’insegna della fotografia d’autore: dal 1° al 9 ottobre si terrà infatti Colline Cultura Photo Festival, evento organizzato dall’Associazione Culturale ARKETIPO, in media partnership con EyesOpen! Magazine, con il patrocinio dei Comuni di Gassino, San Raffaele, Castiglione, Sciolze, Rivalba, Cinzano e Settimo Torinese, oltre che di Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino e Fondazione ECM. La direzione artistica è affidata Mario Sabatino, anima e cuore della manifestazione, e a Barbara Silbe, giornalista, curatrice, direttore responsabile di EyesOpen!.

Il ricco programma di questa quinta edizione prevede incontri, laboratori, workshop, talk e presentazioni di libri, proiezioni, musica, aperitivi fotografici, oltre a sette mostre ospitate nei comuni coinvolti. I fotografi italiani invitati a esporre, sono stati selezionati tra i professionisti e i giovani talenti italiani della fotografia sulla base di progetti che rispondessero al tema trattato dalla kermesse “Paesaggio, Uomo, Natura”, declinato attraverso i diversi sguardi, che toccano temi estetici, ambientali, umanisti. Questi i loro nomi: Roberto Besana, con la sua indagine su “I segni di Vaia”; Marta Bignone “Penso per immagini”; Pierfranco Fornasieri “Lo spazio incerto”, Alan Gallo “Giappone selvaggio, Mattia Marzorati “La terra dei buchi”.

Da segnalare il workshop di Mario Sabatino sulla smartphoneography, un incontro di Barbara Silbe dedicato allo storytelling e a una lezione di Pietro Plaia sulla fotografia time-lapse. Una piccola rassegna di documentari naturalisti animerà San Raffaele Alto, a cura di Bruno Rizzato e Pietro Plaia.

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Wadi AlFann, la Valle dell’Arte

Barbara Silbe

Esiste un luogo misterioso, pieno di suggestioni, dove il passato si mescola con il presente e con il futuro; dove natura, cultura e storia coesistono all’interno di un paesaggio monumentale che incanta gli occhi di ogni viaggiatore. Si tratta di AlUla, regione desertica dell’Arabia Saudita nord-occidentale, a circa 325 chilometri a nord di Medina e a 1.100 da Riyadh, che ora è pronta ad aprirsi ai viaggi internazionali e aspira a diventare iconica destinazione turistica e culturale mondiale. L’annuncio più recente viene dalla Royal Commission for AlUla, che ha rivelato i progetti per Wadi AlFann, ovvero la “Valle dell’Arte”, un nuovo contenitore per l’arte contemporanea, dove opere epocali di alcuni degli artisti più interessanti di tutto il mondo saranno collocate in modo permanente tra i canyon magici di AlUla pronte ad accogliere chi andrà laggiù. Le nuove grandi opere site-specific, ideate e create per questo spazio, sono di Manal AlDowayan (nata nel 1973, Arabia Saudita), Agnes Denes (nata nel 1931, Ungheria), Michael Heizer (nato nel 1944, Stati Uniti), Ahmed Mater (nato nel 1979, Arabia Saudita) e James Turrell (nato nel 1943, Stati Uniti), e saranno le prime cinque concepite per Wadi AlFann, una spettacolare valle di circa 65 chilometri quadrati. Queste prime cinque opere saranno completate e inaugurate entro il 2024, segnando l’inizio di un programma di commissioni ad altri artisti e di attività che saranno annunciati in futuro.

Creati da alcuni dei più celebri pionieri della land art e da artisti all’avanguardia nell’arte contemporanea, i concetti, la visione e la dimensione storica delle commissioni intergenerazionali di Wadi AlFann segnano un nuovo capitolo nella storia dell’arte. Accostata alle tracce storiche delle antiche comunità del deserto, questa vetrina senza precedenti, contemporanea, ambiziosa e visionaria di opere d’arte, continuerà a crescere negli anni a venire, aggiungendosi all’eredità di questo luogo millenario. Wadi AlFann offrirà una profonda opportunità di sperimentare l’arte in dialogo con la natura. Imparando dal deserto, gli artisti rispondono al paesaggio di AlUla, traendo ispirazione dalla sua topografia scenografica, dai panorami ondulati, dalle notevoli strutture geologiche e dal complesso ecosistema naturale. Le opere saranno realizzate nel rispetto del paesaggio, sullo sfondo delle stupefacenti formazioni di arenaria e dei canyon di questo vasto territorio.

Wadi AlFann offrirà alle comunità locali opportunità senza precedenti di sperimentare l’arte come fonte di educazione, arricchimento, dialogo. Attraverso la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo di competenze e l’impegno dei creativi locali, Wadi AlFann rafforzerà l’economia culturale di AlUla, ispirando una nuova generazione di artisti e incrementando la qualità della vita dei suoi residenti. Questa nuova destinazione epica accoglierà anche gli amanti dell’arte, gli avventurieri e gli esploratori di tutto il mondo in un viaggio culturale trasformativo in un luogo unico, contraddistinto dalla meraviglia creativa e geografica, dando seguito alla storia della regione con il suo ruolo di luogo di scambio interculturale.

Testimone attenta e sensibile delle metamorfosi culturali, la pratica dell’artista saudita Manal AlDowayan ruota attorno ai temi dell’invisibilità, della memoria collettiva e dello status e della rappresentazione della donna. La sua installazione labirintica The Oasis of Stories si ispira ai muri di fango della città vecchia di AlUla, invitando gli spettatori a camminare e a perdersi in una scultura architettonica che riproduce gli antichi spazi degli insediamenti arabi. Sulle pareti dei passaggi labirintici di AlDowayan saranno incise le storie personali e il folklore raccolti dall’artista nelle comunità di AlUla.

Figura di spicco tra gli artisti concettuali degli anni ’60 e ’70 e pioniera dell’arte ambientale, Agnes Denes con la sua opera artistica si distingue per la notevole estetica e per l’impegno con la scienza, la filosofia, la psicologia, la linguistica, la poesia, la storia, la musica e le idee sociopolitiche. Il suo nuovo lavoro continuerà la serie di piramidi monumentali: attraverso un attento esame delle caratteristiche delle rocce, queste nuove piramidi risveglieranno i canyon silenziosi in cui si trovano, rappresentando il passato, il presente e il futuro dell’umanità, esplorando la civiltà, l’avanzamento e la realizzazione, per creare un ambiente mozzafiato.

Influente nella seconda metà del XX secolo e nel XXI, Michael Heizer è noto per la produzione di grandi sculture di terra all’aperto e per il suo lavoro con la roccia, il cemento e l’acciaio presente sia all’esterno che all’interno di musei e gallerie. Le opere di terra, essendo all’aperto nell’ambiente, sono note per suscitare risposte non comuni alle opere d’arte architettoniche. A Wadi AlFann, l’artista introduce incisioni lineari nella roccia arenaria del tutto nuove, che si riferiscono direttamente alla straordinaria geologia della zona e alla varietà di dettagli dell’arenaria di Quweira. Visibili da lontano, la maggior parte di queste opere di grandi dimensioni cambierà aspetto man mano che gli spettatori si sposteranno nell’area. Heizer aprirà presto al pubblico, su base limitata, la sua scultura monumentale “City”, lunga un miglio e mezzo, realizzata a Garden Valley, in Nevada, nel corso di oltre cinquant’anni.

Il medico-artista Ahmed Mater, una voce culturale importante che documenta e analizza la realtà dell’Arabia Saudita contemporanea, crea la sua nuova opera Ashab Al-Lal che esplorerà lo spazio mitico tra l’immaginazione soggettiva e la realtà oggettiva generando un miraggio all’interno delle dune di sabbia. L’artista sfida l’idea del punto di riferimento come simbolo di status e autorità, considerandolo invece un luogo di trasmissione della conoscenza. Creando un’esperienza spirituale e trascendentale per lo spettatore, Mater ha tratto ispirazione dai grandi pensatori scientifici e filosofici dell’età dell’oro islamica. Una mostra di maquette e disegni che illustrano la visione di Mater per quest’opera ha aperto l’8 giugno 2022 ad AlJadidah Village, il quartiere artistico e culturale di AlUla.

Per oltre mezzo secolo James Turrell, figura di spicco del movimento Light and Space degli anni ‘60, ha dedicato la sua pratica all’arte percettiva, indagando la materialità della luce e i limiti della percezione umana. A Wadi AlFann, Turrell si baserà sull’esperienza sensoriale dello spazio, del colore e della percezione, creando una serie di spazi sul suolo del canyon. Sperimentando la consistenza della luce e gli elementi del cielo e del terreno, lo spettatore esplorerà questi spazi attraverso una serie di tunnel e scale.  L’opera esamina la natura stessa del vedere, creando un’esperienza di pensiero senza parole.

La presentazione delle prime cinque opere d’arte sarà accompagnata da un programma pubblico, dinamico e coinvolgente, che includerà spettacoli e visite guidate nella valle. In collaborazione con Madrasat AdDeera, le commissioni di Wadi AlFann offriranno opportunità educative alle comunità locali, tra cui un impegno pratico e basato sulle competenze nel processo di ideazione e installazione delle opere d’arte, sessioni con professionisti dell’arte per sviluppare le competenze e masterclass per i creativi locali con gli artisti incaricati da Wadi AlFann. Alla fine del 2022 è previsto un programma di mostre temporanee, residenze d’artista e simposi pubblici che riuniranno artisti, architetti, ambientalisti, archeologi, agricoltori e comunità locali.

Considerando la conservazione della valle come obiettivo principale, Wadi AlFann è sviluppato in linea con l’impegno della Royal Commission for AlUla nei confronti della biodiversità e il patrimonio naturale della regione, che comprende la reintroduzione di specie selvatiche e la protezione della flora e della fauna autoctone. I padiglioni, le passerelle e i punti panoramici del sito saranno realizzati utilizzando materiali di provenienza locale e saranno posizionati in modo da consentire il libero movimento delle mandrie di cammelli e di altre specie autoctone. Wadi AlFann collegherà anche le due capitali storiche di AlUla: Qurh, una delle sette grandi piazze di mercato dell’Arabia ed Hegra, costruita dai Nabatei oltre 2.000 anni fa, aggiungendo una nuova e ricca dimensione al viaggio attraverso AlUla che collega il suo passato con il suo futuro.

L’arte e la creatività sono una componente importante della Vision 2030 del Regno dell’Arabia Saudita e una parte fondamentale dell’esperienza di AlUla. Il progetto estende l’eredità del sito dalle antiche civiltà al presente, posizionando AlUla come crocevia culturale contemporaneo e destinazione forgiata da artisti. Parte di un nuovo polo di esplorazione, espressione e produzione artistica, Wadi AlFann è uno dei vari nuovi punti di riferimento creativi previsti per AlUla nell’ambito del Masterplan Journey Through Time, insieme alle Perspectives Galleries, all’Arts District e ai Water Pavilions. Il Masterplan Journey Through Time, presentato da Sua Altezza Reale il Principe Ereditario, prevede l’apertura di 15 nuove destinazioni per la cultura, il patrimonio e la creatività entro il 2035.

AlUla è una regione maestosa, ricca di patrimonio naturale e creativo, che vanta una grande eredità di scambi interculturali. Sede dell’antica città nabatea di Hegra, il primo patrimonio mondiale dell’UNESCO in Arabia Saudita, la regione è stata il crocevia degli scambi culturali per millenni, storicamente sulla via del commercio dell’incenso e un tempo capitale dell’antico Regno di Dadan. Oggi è un museo vivente DI arte e natura, che sta riaccendendo la sua eredità come destinazione culturale vitale. La vasta area, che copre 22.561km², include una valle ricca di oasi lussureggianti, imponenti montagne di arenaria e antichi siti culturali risalenti a migliaia di anni fa, ai regni di Lihyan e dei Nabatei. Il più importante sito di AlUla è Hegra, primo sito UNESCO Patrimonio dell’Umanità dell’Arabia Saudita. Distesa su un’area di 52 ettari, Hegra era la principale città della parte meridionale del Regno dei Nabatei; attualmente conta oltre 100 monumenti funerari in ottimo stato di conservazione con facciate scolpite finemente negli affioramenti di arenaria che circondano l’insediamento urbano fortificato. Le ultime ricerche effettuate suggeriscono inoltre che Hegra fosse l’avamposto più a sud dell’Impero-Romano dopo la conquista dei Nabatei avvenuta nel 106. Oltre a Hegra, AlUla è sede di affascinanti siti archeologici come l’antica Dadan, capitale dei regni di Dadan e Lihyan, considerata una delle città più sviluppate della penisola arabica nel corso del primo millennio a.C. Si trovano inoltre migliaia di rocce in siti di arte rupestre tra incisioni e petroglifi a Jabal Ikmah. Altri siti di grande interesse sono la Old Town di AlUla, un dedalo di oltre 900 case costruite con mattoni di fango a partire da almeno il XII Secolo, la ferrovia di Hijaz e il forte di Hegra, luoghi fondamentali nella storia e nelle conquiste di Lawrence d’Arabia.

Per ulteriori informazioni visitare: www.livingmuseum.com

@artsalula

#wadialfann

 

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Portfolio – Monica Testa, Habito

Un lavoro poetico e documentario, quello di Monica Testa, un viaggio segreto all’interno di un mondo – quello di un convento – quasi inaccessibile a molti di noi. Il suo osservare è stato discreto, eppure partecipe, quasi come se lei fosse parte di questo gruppo di suore che vivono nella semplicità del quotidiano. Ben reso, dal punto di vista fotografico. Ben raccontata la storia. Fatta di similitudini, confronti, assonanze, dettagli. Un approfondimento concepito nell’alternanza tra bianchi e nero e colore, visioni d’insieme e ritratti, che va ben al di là dell’esercizio ed è degno di sostenere l’accostamento con progetti di indagine dei più grandi nomi della fotografia. Come scrive l’autrice nella sua introduzione, la sua primaria volontà era quella di preservare la memoria di questa piccola comunità religiosa che sta scomparendo. Lo ha fatto mettendo a loro disposizione il suo tempo e il suo sguardo, per una lettura raffinata, delicata, premurosa su ciascuno dei soggetti.

(Barbara Silbe)

 

HABITO

Dal latino : abitare, portare abitualmente, essere solito tenere, ma anche stare, trovarsi, trattenersi, fermarsi…

Il progetto è nato con l’intento di tenere viva la memoria di una piccola congregazione religiosa: le “Ancelle della Provvidenza per la salvezza del Fanciullo” della quale sono ormai rimaste le ultime sei suore.

Ho voluto onorare le loro vite fatte di dedizione al bene, rendendole, al contempo, protagoniste attive.

Questa Congregazione religiosa ebbe umili origini e un graduale sviluppo a Milano, nell’ultimo decennio del secolo XIX, per opera del sacerdote milanese Don Carlo San Martino; nel piccolo gruppo veniva coltivato lo spirito di pietà, umiltà e obbedienza, non disgiunto da una grande abnegazione a servizio dei fanciulli poveri e abbandonati.

Le Zie, come le chiamavano le numerose piccole vite fragili che da loro hanno ricevuto accoglienza, cura, educazione, oggi, sono tutte a un bel traguardo di vita e ancora vivono umilmente per insegnare a tutti noi il profondo senso di devozione e di disponibilità verso gli altri.

Ho scattato fotografie che diventano momenti preziosi, intimi, soprattutto veri, in un mondo che sempre più tende a dimenticare chi ha dato la vita per gli altri: pregando, insegnando, costruendo.

HABITO è un omaggio a delle persone meravigliose che possono solo essere l’esempio da imitare e da seguire; è il luogo dei ricordi di chi ha fatto della Fede la propria vita e diventa anche il luogo dove trasmettere questi ricordi, un testimone da passare alle generazioni future, per non dimenticare e per continuare a coltivare l’amore verso il prossimo e l’amore per la vita.

 

Note biografiche

Mi chiamo Monica Testa e sono nata a Bergamo.

Dopo gli studi artistici ho iniziato a lavorare come fashion designer per una grossa azienda che mi ha permesso di approfondire e lavorare nel mondo grafico e stilistico. Un lavoro impegnativo e gratificante, grazie al quale ho avuto la possibilità di viaggiare tantissimo per il mondo, conoscendo gente multietnica, arricchendomi enormemente dal punto di vista culturale e personale.

Nel 2000 sono diventata brand manager di un noto marchio di abbigliamento tecnico e collaboro con persone incredibili che compiono eventi straordinari e che non si pongono limiti a nulla. Da allora cambia anche la mia visione della vita e dopo pochi anni lascio tutto per lavorare come freelance per i miei progetti personali.

La fotografia mi appassiona da sempre e a tal punto che non posso più farne a meno, dopo diversi corsi e lo studio dei più grandi fotografi della storia, qualche tempo fa mi sono decisa a iscrivermi all’Istituto Italiano di Fotografia di Milano: un’esperienza costruttiva che mi ha fatto crescere tantissimo a livello tecnico e creativo.

Amo scattare ritratti, osservare tutto ciò che mi circonda e raccontare storie attraverso l’occhio del mio obiettivo.

Mostre personali:

“Presenza nell’assenza” Hotel Art Margutta, Roma 2016.

“Once upon a time” Caffè letterario Indisparte, Bergamo 2018.

“I mille di Sgarbi” Magazzini del sale , Cervia 2020.

In my town (mostra collettiva ) CFC centro fotografico, Cagliari 2020.

Pubblicazioni:

Rapporto Italia 2015

Nell’attesa del tuo prossimo respiro (2016)

Rapporto Italia 2017

Nei tuoi occhi (2018)

HABITO (2021)

 

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Festival – Live. Living Inside Various Experiences

Il prossimo weekend si terrà a Milano il primo festival organizzato da Selfselfbooks, piattaforma nata poco più di un anno fa legata all’editoria giovane e indipendente che utilizza il metodo del crowdfunding per produrre libri fotografici. Nato a inizio 2021, il loro prolifico progetto ha dato vita a ventitre pubblicazioni in dieci mesi.

LIVE è pensato per essere un momento d’incontro, che durerà da vernerdì 10 a domenica 12 giugno: tre giorni di fotografia e cultura, in cui vivere diversi progetti, diversi racconti, diverse esperienze all’interno dello spazio Pergola15, nel contesto della Design Week, nel quartiere più futuristico di Milano. Cinquantuno autori in mostra presenteranno i loro lavori in conversazione con fotografi inseriti nel settore di competenza, curatori e photo editor, per raccontare come la fotografia si stia muovendo al giorno d’oggi, in quali canali si inserisce e come si evolve all’interno dell’ambito artistico ed editoriale.

Le esperienze che permeeranno il festival sono frutto dello studio dei curatori e allestitori Laura Tota e Andrea Isola, che appositamente hanno studiato un allestimento fluido legato non solo al design, ma all’abitare, al vivere e convivere con le immagini, in un mondo che costantemente ce ne mette a disposizione migliaia.

Durante le giornate della kermesse sarà possibile fare esperienza del know how di diversi professionisti del settore (tra cui Francesco Merlini, Barbara Silbe e Claudio Composti per citarne alcuni) grazie a talk e letture portfolio, presenti nel palinsesto insieme a incontri con autori già pubblicati dalla piattaforma Selfself, tra i quali Francesco Sambati, Lorena Florio, Luca Meola e Federica Cocciro, cui si uniranno i nuovi autori 2022, tra i quali spiccano protagonisti Alessandra Canteri, Giulia Degasperi, Marco Barbieri, Jacopo Scarabelli.

Una talk sull’imprenditorialità nel mondo dell’immagine aprirà le porte del Festival il 10 giugno alle 18.30 insieme al team Selfself, cui si uniranno le realtà di Gogol&Company, Frab’s Magazine e Chippendale Studio per fornire al pubblico una risposta concreta sul tema in questo periodo storico.

La giornata di sabato 11 vedrà invece protagoniste le trentaquattro autrici internazionali che hanno partecipato alla campagna collettiva Selfself A Soft Gaze At Intimacy, lanciata a fine marzo e conclusasi con successo a inizio maggio. Il libro, realizzato grazie all’aiuto dei sostenitori, verrà infatti presentato durante la serata in dialogo con alcune delle autrici tra le quali Giulia Gatti, Maya Francis, Serena Salerno e Jasmine Bannister. Sarà un momento per raccontare com’è nata l’idea della campagna, con un focus sul concreto supporto fornito all’associazione ucraina ЦВІТ (fondata da una delle autrici incluse nella pubblicazione, Kris Voitkiv), e un’occasione per raccontare i lavori intimi e carnali delle autrici coinvolte, raccontate anche attraverso lo sguardo analitico di quattro curatrici italiane attive sul panorama fotografico e artistico: Benedetta Donato, Laura Davì, Alessia Locatellli e Laura Tota.

La collaborazione con il nuovo festival di fotografia torinese Liquida Photofestival, vedrà inoltre parte integrante dell’allestimento anche i lavori dei vincitori del Grant 2022 che racconteranno in prima persona le loro esperienze attraverso l’immagine, per dialogare infine insieme ai dieci autori menzioni speciali selezionati per una pubblicazione collettiva Selfself nell’inverno 2023.

Il direttore di EyesOpen! Magazine, Barbara Silbe, sabato mattina 11 giugno a partire dalle 11.30 dialogherà con Jacopo Scarabelli per presentare il libro al quale stanno lavorando insieme e che sarà affidato a SelfSelfBooks per la campagna di crowdfounding e per essere pubblicato.

 

 

LIVE – Living Inside Various Experiences

10,11,12 Giugno

Inaugurazione Venerdì 10/06 ore 17.30

Sab-Dom 11.30-23

Spazio Pergola15

Via Della Pergola 11/4

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Portfolio – Sara Peccianti, Dal mio cuore

Il progetto di Sara Peccianti, giovane fotografa il cui nome d’arte è La Sullivan, nasce di certo da un dolore. Forse più di uno. Approccio molto femminile alla fotografia, il suo, che viene utilizzata come mezzo di indagine interiore e ponte per attraversare qualche ostacolo. L’autoritratto è per lei il corrispettivo di un’esplorazione, indagine oggettiva del suo sentire, di cose subite o vissute in un recente passato. Il linguaggio che usa è persuasivo, immaginifico, materico: il cuore d’animale sanguina tra le sue mani, ce lo mette di fronte e ci costringe a restarle di fronte. Procede per metafore, allusioni e rimandi di grande impatto visivo, che le servono per analizzare i suoi stessi pensieri e inscatolare quella remota sofferenza. La vicenda che si srotola un fotogramma dopo l’altro è quella di un amore finito. Ogni tassello è il frammento di un vetro che è andato in pezzi ed è rimasto sul pavimento. L’autrice finisce quasi per calpestarlo: nel suo intervento riportato qui sotto dice “ora è tempo di andare”. Come in un processo di purificazione, fa un salto ed è oltre. E’ l’allegoria della vita stessa, dove emozioni di gioia, rabbia, turbamento, mancanza, liberazione sono tappe di una storia narrata per immagini che dicono la verità e, proprio per questo, sono efficaci.

 

“Questa è la mia storia, il mio naufragare

Ogni notte il mio cuore sboccia e fiorisce, lo sento pulsare sulla dolente canzone dell’amor perduto.

Tutto fluisce e scorre. Sangue, lacrime, tempo.

Fiumi di sogni sgorgano, sono viva eppure annego, mentre la primavera stenta ad arrivare.

 Un fiocco di neve si arena, danza l’inverno piangendo su petali secchi, sullo spettro di un tuo sorriso.

Amare e lasciare che tutto accada, ora è tempo di andare. Il mio cuore è qui, esposto.

 Te lo mostro, lo tengo tra le mani, chiuso in questo cerchio, senza rimpianto, senza rimorsi.

Trovando in me, finalmente, un porto dove approdare”

Note biografiche

Sara Peccianti, in arte “LaSullivan”, nasce a Milano nel 1992 (c’è chi giura di averla vista nascere già con i capelli blu). Da sempre amante dell’ arte intraprende gli studi di Beni Culturali all’Accademia di Brera. Conseguito il diploma capisce che una delle sue più grandi passioni è la fotografia e per alcuni anni affianca il lavoro nel settore retail con corsi riguardanti il campo fotografico. Da qui Inizia a produrre i suoi primi autoritratti perchè sente l’esigenza di raccontare se stessa nella sua continua evoluzione tramite diverse tecniche sperimentando digitale, analogico e polaroid. Nel 2019 frequenta il biennio presso l’Istituto Italiano di Fotografia, vincendo anche una borsa di studio. Finiti gli studi inizia a lavorare come fotografa professionista condividendo uno studio fotografico e si specializza nella ritrattistica.

Chi la conosce sa che due delle sue paure più grandi sono la monotonia e la banalità ed è per questo che decide di ritrarre principalmente persone che non hanno paura di mostrare se stesse per quello che sono nella loro unicità.

LaSullivan (Sara Peccianti) –  lasullivan.ph@gmail.com

Sito: https://www.lasullivanph.it

IG: https://www.instagram.com/lasullivan.ph