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Mostra – Roberto Besana, I segni di Vaia

Dal 28 aprile al 29 ottobre, presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, si terranno due manifestazioni: “I suoni di Vaia” e “I segni di Vaia”, iniziativa di forte impatto emozionale, da un’idea di Claudio Lucchin.

Centinaia di migliaia di immagini hanno raccontato la devastazione di quella tragedia avvenuta a fine ottobre 2018. Ora, con “I suoni di Vaia“, sarà l’audio a stimolare alcune urgenti riflessioni necessarie per elaborare gli effetti devastanti di quel fenomeno meteorologico estremo. La sonorizzazione e le musiche sono di Elisa Pisetta e Claudio Lucchin. L’iniziativa, in tutte le sue parti, costituisce un’opportunità per ragionare insieme sul futuro del nostro Pianeta e di noi che siamo i suoi abitanti. Forse per la prima volta, sarà possibile assistere all’incredibile sovrapposizione di suoni, armonizzazioni, rumori e dissonanze che la tempesta si è portata dietro e ci ha fatto sentire in modo sfuggente. Ma un urlo così forte, il grido di dolore di una Terra sofferente, non poteva che essere introdotto, o meglio accompagnato, da questa misurata, attenta e affascinante selezione d’immagini, che rappresenta, in termini psicologici e cognitivi, esattamente l’opposto di quello che proverete dopo.

Il percorso sonoro sarà preceduto, nell’allestimento, da “I segni di Vaia”, una serie di potenti immagini invernali del  fotografo Roberto Besana, che illustrano il prima e il dopo della distruzione di migliaia di ettari di bosco. Un video sul rapporto uomo-natura, ideato da Davide Grecchi e Roberto Besana su testo di Mimmo Sorrentino, sarà un ulteriore stimolo all’approfondimento. Besana racconta gli alberi, i boschi, la natura e la stessa tempesta con un’educazione e un punto di vista così raffinati e delicati, merito anche del sapiente uso del bianco e nero, da evitare di annichilire la nostra fragile umanità e, di conseguenza, la nostra personale curiosità. Perché queste bellissime fotografie hanno lo scopo di riattivarla, per provare a comprendere la complessità di quanto accaduto e tornare a curiosare in quei luoghi, senza timori, paure o, una più che normale titubanza, in modo da comprendere finalmente che abitare significa ontologicamente prendersi cura, dell’ambiente che ci accoglie e di tutti i viventi presenti.

I singoli fotogrammi in mostra, raccontano di presenze forti, instabili, forse ingombranti, perché Vaia ha inciso pesantemente il territorio con i segni del suo passaggio. Queste immagini, in più, ci permettono di smontare la tragedia, ci consentono una possibile interpretazione dell’evento, codificandone caratteristiche e portata, avviandoci così, sempreché se ne abbia la capacità, a capire come sia possibile procedere oltre. Sapendo, fin d’ora, che per affrontare e metabolizzare un disastro così grande è necessario innanzitutto ricorrere alla parola, con la quale provare a esorcizzare l’angoscia sul futuro; recuperare una certa capacità d’ascolto, per risintonizzare il nostro “stile di vita” con le più naturali necessità del pianeta e, infine, tornare a una più efficace cooperazione tra tutti gli uomini, meglio sarebbe fra tutti gli esseri viventi, perché, se vogliamo affrontare i problemi difficili e complessi di questo nostro tempo, è necessario connettere tra loro tutti i cervelli possibili.

Un ciclo di incontri di carattere scientifico animerà tutto il periodo di allestimento.

Con inaudita intensità la tempesta nota con il nome di Vaia, si abbatté a fine ottobre 2018 su tutto il Nordest italiano, in particolar modo sul Trentino Alto Adige e su tutta l’area delle Dolomiti patrimonio dell’UNESCO. Venti fortissimi raggiunsero la velocità di 217,3 chilometri orari sul passo Rolle. Piogge torrenziali, che in soli tre giorni fecero registrare sulle montagne del Trentino e del Veneto fino a 715,8 mm caduti, superando di molto i dati dell’alluvione del 1966. Otto persone persero la vita, i danni furono elevatissimi, stimati in oltre tre miliardi di euro. Una ricchezza forestale di milioni di alberi venne schiantata al suolo dalle potentissime raffiche di vento, vennero distrutte decine di migliaia di ettari (41.000) di foreste alpine di conifere. Gli effetti della tempesta Vaia hanno posto, da subito, molti quesiti ad esperti di vari ambiti, a tutte le persone che vivono nei territori colpiti e ad un vastissimo pubblico attento alle problematiche del genere umano. Perché quella tragedia? Perché quella pioggia torrenziale così insolita per le latitudini dell’Italia settentrionale, perché quel vento di scirocco a velocità “uragano”, perché tutti quei danni da vento mai ricordati a memoria d’uomo? Che cosa ha provocato quel fortissimo vento che, secondo le stime ha abbattuto 42 milioni di alberi, un dato mai registrato in epoca recente in Italia? Al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina saranno diverse e in varie modalità le occasioni per riflettere insieme.

Testo di Roberto Besana

Silenziosa, consapevole tristezza

È nelle occasioni come questa che sento con certezza che la fotografia riesce a parlare alla nostra mente, a documentare, a tenere vivo il ricordo del passato e, in modo particolare, di quanto avvenuto nell’ottobre del 2018 sulle Dolomiti e le Prealpi Venete a causa dell’uragano Vaia.

Momenti e sensazioni che ho cercato di fissare indelebilmente con le mie immagini e di presentare in questa mostra, portandoli al vostro sguardo per non dimenticare.

Le parole, a mio avviso, non hanno altrettanta forza nel dare evidenza dell’accaduto.

Solo il suono, i rumori e le immagini possono raccontarci quanta distruzione si è abbattuta sulle montagne, quanti alberi si sono adagiati dopo essere stati estirpati con violenza.

Perché la vista e l’udito sono i sensi che più velocemente raggiungono la mente e il cuore, e che ancora meglio della parola rimangono impressi nella memoria.

Ecco, la fotografia scuote il cuore, l’anima di chiunque non ha potuto vedere né vagare per i versanti e le valli, ammutolito come me, incredulo e tristemente consapevole che siamo di fronte alla necessità di comprendere e condividere quanto la scienza ci dice da tempo: l’equilibrio ambientale si sta rompendo, si accelerano i fenomeni dirompenti per la nostra incuria di una vita dispendiosa di energia, di suolo, di risorse.

Nulla di male per la natura, lei è riuscita a sopravvivere nei milioni di anni passati a catastrofi ben più grandi e continuerà a farlo in un eterno infinito che viene prima degli uomini e continuerà dopo di loro.

Non è certo questo mammifero “Homo” che ne causerà la distruzione, ma dovrebbe essere lui ad agitarsi nel considerare l’avvenimento come presagio, avvertimento per la sua esistenza futura.

Rispettare la natura è portare rispetto a noi stessi, alla nostra qualità di vita sul Pianeta Terra, in cui siamo ospiti.

Solo così l’uragano Vaia, con il suo nome di donna madre, ci servirà per rigenerarci come gli alberi che via via ricresceranno, noi migliori di prima, più consapevoli, più umani.

Note biografiche

Roberto Besana nasce a Monza nel 1954 e risiede a La Spezia. È un uomo curioso e di talento con un lungo passato da manager editoriale che lo ha portato fino alla direzione generale della De Agostini Editore. Opera nella realizzazione di progetti culturali con mostre, convegni e pubblicazioni come i libri “Il paesaggio” del 2021 o “L’albero” del 2020. Le sue immagini sono principalmente “all’aria aperta”, quindi temi legati alla natura, all’ambiente e al paesaggio e, come tali, i suoi principali filoni di ricerca. Un continuo indagare verso questo nostro terribile e meraviglioso mondo, con una meraviglia trovata nella brina sui fili d’erba al mattino, nella pioggia, nei campi lavorati dall’uomo e, soprattutto, negli alberi. Alberi che affondano le radici nel terreno dei primordi, ma che dalle cui gemme fioriscono le stelle, il sole e l’universo.

MUSEO DEGLI USI E COSTUMI DELLA GENTE TRENTINA

Aperto da martedì a domenica, ore 9.00 – 12.30 / 14.30 – 18.00

tel. 0461 – 650314, fax 0461 – 650703

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info@museosanmichele.it

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Libri – Vaia, viaggio consapevole dentro un disastro

di Barbara Silbe

Ci sono stata, a vedere quello sfacelo. Venti fortissimi di scirocco, tra il 26 e il 30 ottobre del 2018, hanno sferzato le Dolomiti trasformando antiche foreste di conifere in un cumulo di macerie. Il colpo d’occhio era impressionante: milioni di alberi schiantati al suolo da un uragano, evento estremo che normalmente si verifica nelle zone tropicali del mondo. Solo a guardarle mancava il fiato, veniva da piangere. E’ colpa nostra, pensai subito. Per aver riscaldato il posto che ci ospita, sfruttato le sue risorse, comportandoci come il peggior predatore del pianeta Terra. Mi venne in mente che quelle piante accatastate erano esseri viventi e che quello era un immenso cimitero. Oggi,  sfogliando il libro di Manuel Cicchetti edito da The Music Company, scopro che lui quei pini spezzati, sradiacati, li ha chiamati per nome, uno ad uno, come si fa col gatto di casa, con ogni vecchio amico. Nomi, e peculiarità, caratteri, occupazioni, come se li avesse incontrati e ci avesse parlato davvero, lungo il suo girovagare nella desolazione. Le sue immagini in bianco e nero, le parole tra le pagine, cariche di implicazioni emotive ed estetiche, sembrano voler restituire memoria a quegli abeti, come a dirci di ascoltarli, rispettarli, riconnetterci con loro.

“Mi chiamo Fioretto, perché gli ultimi metri della mia cima sono esili e ondeggiano al vento come se fossi un tiratore di  scherma che combatte contro il vento. Quando si placa il soffio riposo, pronto per la prossima sfida. Quei fendenti leggeri ora non sono più, la mia lama è stata spezzata e nessuno potrà più forgiarla di nuovo. Non era lo stesso vento che giocava con me quel giorno, ma un turbine iroso, ho pensato, mentre cedevo di schianto”. 

Personificandoli, ce li rende amici, parenti e, come in una Spoon River dei boschi, li fa ritornare a noi. Le fotografie ritraggono gli alberi ormai caduti, ma quale grido avrebbero potuto lanciare, un attimo prima della fine? Se già la testimonianza fotografica dà voce a quelle piante, il lavoro va oltre, ed è affidato al giornalista Angelo Miotto il compito di immaginare l’ultimo pensiero di RadiceTorta, Fioretto, FustoDritto, Corteccia, TanaFelice e molti altri cui vuole conferire l’onore di un nome proprio, portando al lettore il loro ultimo messaggio.

L’intervento scritto dell’autore, a corredo delle immagini racchiuse in questo volume, si intitola “Dar voce a quella natura”: una raccolta di pensieri che raccontano le ragioni di questa indagine tra poesia e denuncia e suggeriscono molto riguardo al suo amore per l’ambiente. Cicchetti ricorda le parole pronunciate da Ansel Adams di fronte al Comitato Democratico il 24 agosto del 1968: “Il terribile problema che abbiamo ora di fronte a noi è come salvare questo pianeta perché sia un mondo in cui poter vivere. La tutela dell’ambiente è implicitamente più importante della guerra e della pace, della politica, del razzismo, dei problemi e delle gelosie nazionali e internazionali. Se i principi di base dell’ecologia, naturale e umana, non vengono ascoltati, l’uomo è sicuramente condannato”.  A decenni di distanza, ancora attuali e dannatamente inascoltate.

Vaia. Viaggio consapevole dentro un disastro

Formato: 30 x 24 cm Lingue: Ita, En, Es
Stampa: Offset Copertina: cartonata
Carte: multiple Fedrigoni Tatami e Materica
Rilegatura: Svizzera
Sestini: Si
Progetto grafico: Massimo Fiameni
Prefazione: Denis Curti
Stampa: Faenza Group
Prezzo di copertina: 40 euro
Patrocini: Comune di Belluno, Fondazione Teatri delle Dolomiti, Festival Oltre le Vette

Note biografiche

– Manuel Cicchetti – fotografo (1969)

Inizia a fotografare sin da ragazzo. Nei primi anni ’90 opera in ambito musicale realizzando copertine per la BMG, EMI e CNI. Lavora come fotografo di scena per importanti teatri, compagnie teatrali, orchestre e festival.

Nel 1999 Filippo Del Corno gli propone di realizzare per I Cantieri d’Arte Internazionali di Montepulciano la scenografia e la regia dell’opera Sulla Corda più Alta (“On the high wire”) di Philippe Petit. Sempre con Del Corno nel 2001 segue la regia dell’opera per il teatro “Orfeo a fumetti” (testo: Dino Buzzati da “Poema a fumetti”), in scena per il festival Suoni e Visioni. Fonda assieme a Lorenzo Ferrero e Angelo Miotto il gruppo di lavoro Hdemia per sviluppare la cultura giovanile in Italia.

Da questa esperienza nasce l’idea di Officium, società che si occupa di eventi come La Festa della Musica di Milano, il WOMAD festival itinerante ideato da Peter Gabriel, l’inaugurazione dei Mondiali di Sci del Sestriere ed altri. Lavora come creativo con J.Walter Thompson, Inferenzia, Fullsix, Reply, Weber Shandwinck, Hill+Knolton, Young & Rubicam.

Dal 2014 si dedica esclusivamente alla fotografia. Nel 2018 ha pubblicato con Touring Club il libro “Monocrome | Walking Through the Ampezzo Dolomites”.

– Angelo Miotto – giornalista (1969)

Giornalista per radio e stampa, cronista, ha realizzato documentari audio e video e webdocumentari, e scritto drammaturgie per teatro e opera. Per quindici anni a Radio Popolare Network, ha collaborato con Radio24 e Radio Svizzera Italiana, è stato caporedattore di Peacereporter.net / E-Il Mensile e ha fondato come direttore il magazine digitale Q Code Mag e la sua rivista cartacea Q CODE. È stato docente per quindici anni al Master di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano.

Ha fondato l’ensemble di musica contemporanea Sentieri selvaggi, con Filippo Del Corno e Carlo Boccadoro. Nel campo della Comunicazione ha lavorato nel settore corporate e nella politica. È responsabile della comunicazione del Festival dei Diritti Umani di Milano, della cooperativa energetica ènostra, per Avanzi – Sostenibilità per azioni e AlCube, incubatore e acceleratore di startup. Nel corso della sua attività ha ricevuto vari riconoscimenti, fra cuiil primo premio Enzo Baldoni per il documentario video Cronache Basche, l’Anello debole e il premio Bizzarri.

Con Altreconomia ha pubblicato “Il ritorno delle cose” e “Milano siamo Noi”, con Milieu Editore “Metromoebius”, con NdA il saggio “Storie basche”, con Verdenero “L’Italia chiamò”.