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One Planet, One Future. La nostra intervista a Anne De Carbuccia

(uscita sul numero  Habitat #10/2017)

di Barbara Silbe

La sua organizzazione non profit si chiama Time Shrine Foundation: nasce nel 2015 con l’obiettivo di creare consapevolezza e proteggere gli ambienti e le culture vulnerabili. Lei, quando la incontri, ti domandi se sia vera o se provenga da un altro mondo, migliore di questo. Anne De Carbuccia si definisce environmental artist, la avvolge un’aura di semplicità e la muove un grande senso etico: indossa abiti realizzati con materiali recuperati, manda inviti su carta riciclata, gira con l’auto elettrica… Ha studiato antropologia e storia dell’arte alla Columbia University, i suoi principi l’hanno dirottata verso l’ecologia. Nelle installazioni che fotografa inserisce il teschio e la clessidra come classici simboli della vanità umana e del tempo che fugge. Questi oggetti, insieme a elementi organici trovati in loco, le danno la possibilità di creare santuari per richiamare attenzione sui problemi del luogo e onorarne la bellezza. L’autrice franco-americana, nel quartiere milanese di Lambrate ha aperto la sede italiana della sua fondazione. In aprile lì ha allestito la mostra “One – One Planet One Future” che ora sta girando il mondo.

“Dopo Milano è andata a New York – ci dice – ora è al Museo d’Arte Moderna di Mosca fino al 10 settembre. Negli Stati Uniti sono stata criticata per questa scelta di aprire alla Russia, ma mi interessa di più costruire ponti: non avremo mai futuro se non ci sarà unità politica tra le nazioni e una conseguente collaborazione. Senza accordi non c’è un altro modo”.

L’arte è un mezzo di denuncia?

“Io devo passare il messaggio, la sostenibilità è fondamentale e l’arte è un vettore potente. Il mio progetto è rivolto ai collezionisti, ma anche a programmi didattici di divulgazione etica. Vede, si fa presto a dire che la bellezza salverà il mondo, ma è la sostenibilità a dare anche ritorno, anche economico. Lo stesso riciclo è una opportunità. Cerco strumenti e linguaggio per creare consapevolezza in chi osserva”

Quanto è difficile?

“C’è tanto da fare per essere efficaci. Desidero attirare l’attenzione su alcuni urgenti problemi ambientali e sociali perché siano riflessi nella vita quotidiana, nel nostro modo di vivere, ispirando empatia nelle persone per motivarle a passare all’azione. Insieme possiamo fare la differenza per il nostro futuro. Il mio lavoro non vuole giudicare o accusare, ma mostrare cosa abbiamo, cosa potremmo perdere e cosa possiamo scegliere di preservare”.

La sua Fondazione supporta interventi ambientali in Africa, America, nel Sud Est Asiatico, in Himalaya e in Italia. I proventi delle vendite delle sue opere di grande formato servono o a finanziare le azioni di sensibilizzazione?

“Le mie mostre sono a ingresso gratuito, ma le opere sono messe in vendita ai grandi collezionisti. Ora cerco altri mezzi per portare i miei temi alla gente. Il mio sogno è coinvolgere qualche architetto per creare un museo nomade che giri il mondo. Poi vorrei collaborazioni sul territorio, con i quartieri vicini alla fondazione, per preparare mentalmente i giovani. Nel mondo ci sono 65 milioni di persone senza una casa. Se non cambia qualcosa, entro il 2050 saranno 700 milioni. La siccità e la fame producono rifugiati del clima che cambia e noi costruiamo muri invece di trovare soluzioni. Non esiste alcuna barriera per 700 milioni di individui che cercano una salvezza”.

Perché usa il teschio nelle sue installazioni “I miei studi di arte classica mi hanno fatto scoprire le nature morte antiche. Ero interessata al tema delle vanitas che utilizzano la clessidra e il teschio, due simboli importanti dell’arte occidentale. Chiamo queste composizioni time shrines, “sacrari del tempo”. Dall’inizio della storia gli esseri umani hanno creato sacrari in momenti e luoghi diversi per rappresentare ciò che temevano o che ammiravano. Sono convinta che gli uomini siano sognatori, non invasori. E l’arte sarà complice della nostra resilienza e di una nuova evoluzione”.