Oliviero Toscani: “Dovevi farla più brutta”
Si è già detto tutto. Della sua grave malattia, della sua scomparsa di oggi, del suo genio di sempre. Talmente tutto che le parole sembrano scappare lontane dal rischio di trasformarsi in cose ovvie e patetiche. Mi aggiungo pertanto in punta di piedi al coro di commiato rivolto a Oliviero Toscani, cercando di fare solo un accenno ai miei incontri con lui, per dare un piccolo apporto al senso di perdita che invade la sua famiglia e tutto il mondo della fotografia e della pubblicità. Una delle volte che ci vedemmo, decisi di portargli qualche copia cartacea di EyesOpen! Magazine. La rivista era nata da un paio d’anni, ci tenevo a illustrargli il progetto, visto che dalla sua creatività era nato COLORS, il trimestrale che firmò nel 1991 a quattro mani con Tibor Kalman edito da Fabrica, il centro di ricerca e comunicazione che dirigeva con Luciano Benetton.
Per non dilungarmi, Toscani quella sera era a un evento con l’amico di sempre, Settimio Benedusi, che non ho sentito ma immagino quanto sia affranto dalla sua morte visto come erano legati. Ero invitata anche io, lo avvicinai, gli raccontai di quel magazine indipendente, gli dissi cose mi mosse a sfidare la crisi dell’editoria e della fotografia stessa (il bisogno di dare voce ai giovani talenti emergenti e di fare cultura in un Paese che la cultura della fotografia la vedeva da molto lontano). Lui si mise in braccio quelle copie, si sedette e le sfogliò, veloce ma in silenzio palesemente attento ai dettagli. I suoi occhi si muovevano sulle pagine in ogni direzione, le guardò anche in trasparenza per capire, immagino, lo spessore della carta. Poi alzo la testa e mi disse: “Dovevi farla più brutta”. Io: “In che senso, maestro?”. Mi incalzò, provocatorio come sempre, ma col tono di un papà che consiglia una figlia: “Nel senso che dovevi usare una carta da riciclo, renderla più rustica, questa è troppo bella”. Fu un complimento, oltre che un consiglio. Che al momento non potei ascoltare, perché la carta usomano ai tempi aveva costi anche maggiori della mia. Ci sorridemmo, e quello scambio ora mi resta tra i ricordi. Buon viaggio, maestro.
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Everything has already been said. About his serious illness, about his passing today, about his neverending genius. So much so that words seem to run away from the risk of turning into something obvious and pathetic. I therefore add myself on tiptoe to the chorus of farewells addressed to Oliviero Toscani, trying to make just a hint of my encounters with him, to make a small contribution to the sense of loss that invades his family and the entire world of photography and advertising. One of the times we met, I decided to bring him a few hard copies of EyesOpen! Magazine. The magazine had been out for a couple of years, and I wanted to illustrate the project to him, seeing that COLORS, the quarterly he co-wrote in 1991 with Tibor Kalman, published by Fabrica, the research and communication centre he ran with Luciano Benetton, was born out of his creativity.
Not to dwell, that evening Toscani was at an event with his lifelong friend, Settimio Benedusi, whom I did not hear but I can imagine how distressed he is by his death considering how close they were. I was also invited, I approached him, and told him about that small independent magazine, I told him what moved me to challenge the crisis of editorial and photography markets (the need to give voice to young emerging talents and to make culture in a country where the culture of photography was so negligible). He put those copies in his arms, sat down and leafed through them, quickly but silently paying attention to the details. His eyes moved over the pages in every direction, he even looked at them transparently to see, I imagine, the thickness of the paper. Then he raised his head and said: ‘You should have made it uglier’. Me: ‘What do you mean, maestro?’ He pressed me, provocative as always, but in the tone of a father advising a daughter: ‘In the sense that you should have used recycled paper, made it more rustic, this is too beautiful’. It was a compliment, as well as an advice. Which I could not listen to at the moment, because handmade paper at this time was even more expensive than mine. We smiled at each other, and that exchange now remains in my memory. Bon voyage, maestro.

 

 

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