Parte il 15 marzo e durerà fino al 27 aprile il bel festival organizzato dall’Archivio Fotografico Italiano a cura di Claudio Argentiero, con il patrocinio della Commissione Europea, il contributo e il patrocinio di Regione Lombardia, delle Amministrazioni comunali di Legnano, Busto Arsizio, Castellanza e Olgiate Olona. in partnership con: Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, Archivio Tiziano Terzani, Centro Studi di Civiltà e Spiritualità Comparate, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Rivista Africa, Istituto Italiano di Fotografia, 29Art Gallery Milano, Istituto Superiore “Giovanni Falcone” – Gallarate, gallerie e realtà private tra cui: Galleria Boragno Busto A., Albè&Associati Studio Legale Busto A. e Milano, Spazio Immagine Busto Arsizio, Andreella Photo si pone l’obiettivo di promuovere la fotografia d’autore e il linguaggio espressivo, attraverso percorsi visivi articolati, aperti alle più svariate esperienze autoriali e professionali. Un progetto culturale e artistico ormai consolidaro, dedicato alla fotografia storica, moderna e contemporanea, con un approccio interdisciplinare che vede importanti autori a confronto con fotografi emergenti, italiani e provenienti da diversi Paesi del mondo.
Il programma è arricchito da conferenze, proiezioni, presentazione di libri, workshop e iniziative site specific, il cui obiettivo è approfondire l’evoluzione del linguaggio fotografico e visivo.
Un crocevia di esperienze dove esperti del settore, studenti, appassionati, ricercatori e professionisti potranno confrontarsi per una crescita collettiva.
Il Festival ha tra le finalità anche quella della valorizzazione del territorio, da far conoscere e scoprire mediante una comunicazione mirata, immagini d’archivio e campagne contemporanee.
Una sorta di laboratorio culturale, che si apre all’Europa, che dialoga con la gente attraverso l’arte dello sguardo e mette a fuoco le aspirazioni, i linguaggi e l’inventiva di artisti con differenti peculiarità stilistiche.
Un progetto che intende rafforzare la centralità della cultura come potente strumento in grado di stimolare il confronto tra popoli e generazioni, promuovendo sviluppo, riflessione e dialogo. Un percorso che, grazie all’impegno comune, diventa veicolo di cambiamento, inclusione e progresso, favorendo la costruzione di legami duraturi.
23 mostre, conferenze, proiezioni, presentazione di libri.
Un programma espositivo articolato che muove dalla fotografia storica al reportage d’autore, dalla fotografia d’arte all’architettura, dalle ricerche creative alla documentazione del territorio.
EVENTI CORRELATI
UN PROGRAMMA DI EVENTI E INIZIATIVE ANIMERANNO IL FESTIVAL E I VARI SPAZI:
Conferenze / Proiezioni / Presentazione di libri / Workshop / Visite guidate
CITTA’ DI BUSTO ARSIZIO – VA – Varie sedi
PALAZZO MARLIANI CICOGNA – Piazza Vittorio Emanuele II – Busto Arsizio (Va)
17 marzo-27 aprile 2025
Orari visita: martedì, mercoledì e giovedì 14.30/18.00 – venerdì 9.30/13 e 14.30/18 – sabato 14.30/18,30- domenica 15-18 – Lunedi chiuso
Il 16/3/2025, giornata inaugurale, apertura dalle ore 18 alle 21 ca.
Il giorno 20/04/2025 chiuso Pasqua
Ingresso libero
PORTRAITS
LEE JEFFRIES
A cura di Barbara Silbe
In collaborazione con il Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano
Un gioco di specchi, di sguardi, di anime che si toccano. È questo il senso più intimo racchiuso nel sorprendente lavoro di Lee Jeffries, proteso verso il prossimo che incontra per strada al solo scopo di farcelo conoscere. I suoi ritratti ai senzatetto del mondo, iniziati nel 2008 dopo un episodio che lo cambiò per sempre, sono un susseguirsi di volti fieri, talvolta irriverenti, dalle espressioni composte per sostenere il milione di universi che questi individui hanno attraversato. I soggetti emergono dal buio profondo, inondati da una luce caravaggesca che restituisce ogni segno sulla loro pelle, ogni dolore incarnito proprio sotto. Tanti, nelle sue opere, sono i rimandi alla pittura antica: Tiziano, Rembrandt, il Merisi sembrano aver guidato una ricerca fatta di inquadrature ravvicinate e pennellate forti. Un linguaggio di contrasti, non nuovo nella fotografia, intriso però di un paio di ingredienti che sono la sua cifra autografa: la vicinanza con i soggetti e la compassione per loro. I tagli che l’autore sceglie immediatamente spiegano quale sia l’approccio solitario con il quale si presenta agli esseri umani. Nulla di superficiale, di rubato restando a distanza come è consuetudine nella street photography figlia di un tempo – quello dei social network – che corre veloce, ma lo studio di un’interazione volta a stabilire fiducia negli emarginati, prevedendo con pazienza quell’istante eterno che trasforma tutto in una faccenda estremamente personale. Luci e ombre comunicano speranza e sconforto: da un lato il senso del Paradiso, di Dio ritrovato sulla faccia degli altri, dall’altro l’inferno, il loro, il suo, il nostro. l filo che guida l’intera narrazione e che trabocca di numerosi riferimenti religiosi cristiani, è, appunto, lo sguardo. Atteso e fermato come quel punto di contatto che Michelangelo Buonarroti bramava nella “Creazione di Adamo”, come se il suo cinquecentesco Giudizio Universale si fosse materializzato sui nostri marciapiedi per ricondurci nuovamente al vero senso dell’umanità.
Nato nel 1971 e contabile di professione, Lee Jeffries ha iniziato a fotografare coprendo eventi sportivi. Un incontro casuale con una senzatetto a Londra ha cambiato tutto per sempre. Il suo portfolio ora rappresenta un viaggio personale attraverso alcune delle strade più difficili del mondo. Documenta la solitudine, l’ingiustizia, la fede, la generosità e la speranza. Il suo scopo è restituire una dignità ai senzatetto – qualcosa con uno stile cinematografico che serva a definire l’intera comunità pur riconoscendo l’individuo. Ha prodotto una serie di immagini che ritraggono persone comuni, provenienti da percorsi di vita diversi, che hanno qualcosa in comune. Sono i suoi homeless. L’onestà con cui queste persone hanno messo a nudo le loro anime è una testimonianza della loro umanità.
FARNAZ DAMNABI
UNVEILED
Courtesy 29 Art Gallery
Tra le protagoniste assolute dei suoi scatti, le donne: Damnabi racconta e insieme omaggia l’identità femminile iraniana, qui mostrata nella routine di donne, madri e lavoratrici ignorate da una società prettamente patriarcale, che tarda a riconoscerne l’uguaglianza, il valore, la libertà. Gli scatti in mostra evidenziano temi come la discriminazione delle donne nel mercato del lavoro, il gap di genere nei salari e il mancato riconoscimento del loro silenzioso contributo in settori portanti dell’economia e dell’artigianato iraniano (come la raccolta dello zafferano nei campi di Torbat Heydarieh o la produzione dei tappeti). Nella serie Lost Paradise le figure femminili, ritratte di spalle di fronte ad un tradizionale tappeto persiano, sembrano mimetizzarsi – e quasi fondersi – con lo sfondo, metafora di una invisibilità tanto ottica quanto sociale.
Tra i suoi reportage più celebri, poetici nella loro drammaticità, ci sono quelli dedicati ai bambini il cui duplice fine è non solo quello di mostrare le difficoltà di un’infanzia trascorsa in questo paese, quanto la capacità – tipica della giovinezza – di trovare la magia anche nei contesti più avversi perché, come ci ricorda l’emblematico titolo di uno dei suoi progetti, Playing is my right (Giocare è un mio diritto). Donne, bambini e giovani adolescenti affollano anche gli scatti della serie Metamorphosis, vera e propria raccolta di momenti sospesi, di scene di vita quotidiana, di rituali, abiti e tradizioni emblematiche dell’Iran mentre con il recente progetto Be like a Butterfly, l’Artista documenta il tentativo delle nuove generazioni di donne di migliorare la propria condizione, registrandone cambiamenti tanto lenti e tardivi da sembrare impercettibili, ricollegandosi a quella stessa metamorfosi che compiono le crisalidi diventando farfalle.
Nel personale e toccante racconto che fa della sua terra, Damnabi documenta anche l’esperimento della nuova città sorta a pochi chilometri da Teheran. Denominata, con triste ironia, Pardis (Paradiso), era stata pensata con l’intenzione di invertire la migrazione delle città più densamente popolate; la costruzione massiva di nuove palazzine ha portato tuttavia alla devastazione dell’ecosistema montano e alla distruzione del suo habitat naturale, accrescendo ulteriormente le difficoltà dei collegamenti con la capitale. Le immagini esposte, parte dell’omonima serie Pardis, sembrano sospese tra realtà e sogno e mostrano il desolante panorama di un ‘paesaggio lunare’ – come definito dall’Artista stessa – di un Paradiso negato e che è di fatto un quartiere dormitorio dove sopravvivono, ghettizzati e privati dei più basilari servizi, moltissimi lavoratori e gran parte delle famiglie più povere.
Le fotografie di Damnabi trasformano in immagini le voci degli inascoltati dell’Iran: sono le storie delle donne, emarginate da tutti gli aspetti della società in cui vivono; le storie dei bambini, privati del diritto inalienabile di un’infanzia spensierata; sono le storie, in fondo, di tutti gli invisibili che sono da sempre relegati ai più lontani confini, geografici e sociali. I suoi ritratti non vogliono essere polemici ma rappresentativi, mostrandoci con i suoi occhi un mondo di cui siamo certamente a conoscenza ma che ci arriva, adesso, con una maggiore e feroce intensità.
Tra questi racconti di isolamento, di perdita e di esclusione, la giovane voce di Farnaz Damnabi si alza con raffinata eleganza come un grido insieme di indignazione e di fiducia. Le sue foto, delicate e potentissime insieme, ci colpiscono e soprattutto ci obbligano a vedere, a riflettere e a sperare insieme a lei.
L’Artista è rappresentata in esclusiva da 29 Arts In Progress, importante galleria d’arte fotografica milanese. La galleria rappresenta il lavoro di fotografi riconosciuti a livello internazionale e dedica particolare attenzione al ritratto e alla fotografia di moda. Sin dalla sua apertura la galleria ha curato esposizioni in partnership con musei pubblici e privati, tra i quali: V&A Museum, Londra; Hong Kong Arts Centre; Palazzo Reale e Triennale di Milano; Museo delle Culture di Lugano e Nicola Erni Collection in Svizzera.
Farnaz Damnabi è nata a Teheran, Iran nel 1994. Dopo la laurea in Graphic Design e un Master in Fotografia presso la University of Art di Teheran, diventa fotografa freelance e Main Member della National Iranian Photographers’ Society (NIPS). Espone in mostre internazionali e riceve numerosi premi e riconoscimenti tra cui, nel 2017, la menzione d’onore del Golden Orchid International Photo Festival (USA). Nello stesso anno vince la prima edizione del PABA International Photo Competition (Washington DC, USA) e nel 2018 si classifica prima alla 10ª edizione del Global Photography Contest in Cina. Nel 2019 riceve una menzione d’onore all’ Hahnemühle Student Photo Contest in Germania ed è tra i vincitori del contest fotografico UNPUBLISHED PHOTO; dal 2020 alcuni scatti della serie ‘Playing is my right’ entrano a far parte della collezione permanente del MUSEC, Museo delle Culture a Lugano, Svizzera. Attualmente vive e lavora a Teheran. La fotografia è per lei un’occasione per guardarsi intorno e prestare attenzione a ciò che gli altri potrebbero non notare.
FULVIO ROITER
PRIMI SGUARDI
Courtesy Fiaf
Fulvio Roiter è nato a Meolo (VE) nel 1926 e ha vissuto a Venezia fino al 2016, anno della sua scomparsa.
E’ uno dei fotografi italiani più noti a livello internazionale.
Si è formato fotograficamente nel circolo fotografico “La Gondola”, fondato a Venezia nel 1948, dove ebbe come maestri Paolo Monti e Gino Bolognini. Dopo gli studi in chimica, decide di trasformare la sua passione per la fotografia in un mestiere e nel 1953, con pochi soldi in tasca e due macchine fotografiche Rollei (di cui una in prestito) parte in treno per la Sicilia, deciso a documentare la realtà di quell’isola.
Affitta una bicicletta a motore e realizza una serie di fotografie indimenticabili, entrando anche in una miniera di zolfo, a 400 metri sotto terra, dove gli operai, a causa della temperatura e dell’umidità lavoravano nudi. Propone il suo lavoro all’editore “Guilde du Livre” di Losanna che lo apprezza molto ma si limita ad acquistargli qualche foto di bambini. Ma già l’anno dopo gli pubblica il suo primo successo “Venise à fleur d’eau”, cui segue “Ombrie, terre de Saint François” libro che nel 1957 gli vale il“Premio Nadar” per il miglior libro fotografico dell’anno, corredato anche dall’omaggio, da parte della Leitz, di un apparecchio Leica M2 del giubileo, cosa che lo mise sullo stesso piano della regina Elisabetta e del presidente Eisenhower.
Segue ancora, per lo stesso editore: “Andalousie” (1957) e poi una lunga serie di libri realizzati in giro per il mondo: Mexico (1962), Brasile (1910), Spagna (1912), Turchia (1973).
Nel 1977 “Essere Venezia” raggiunge un successo di vendita che non ha pari nel mondo. Fanno ancora seguito: “Laguna” (1978), l’Oriente di Venezia (1982), “Centesimi di secondo” (1984), “Firenze e la Toscana” (1987), “L’Egitto” (1988), “L’albero” (1989), “Visibilia” (1982), “Milano in Liberty” (1933) “Terra di Dio” (1994), “Vaticano” (1997), “Tunisia “(2005), “Un uomo senza desideri” (2005), “Una vita per Venezia” (2006).
Roiter nella sua professione ha sempre conservato lo spirito amatoriale che animò gli anni della sua frequentazione della“Gondola”, ed un entusiasmo per il suo lavoro che coinvolge chi lo frequenta e lo ascolta.
Ha ricevuto anche molti riconoscimenti. La Federazione internazionale FIAP gli ha concesso l’onorificenza di AFIAP (Artiste de la Fédération Internationale de l’Art Photographique. La FIAF lo ha nominato Maestro della Fotografia Italiana e gli ha dedicato nel 2008 un libro monografico nella collana “Grandi Autori”.
EMIL GATAULLIN
MOSCOW 2017-2024
Il lavoro di Emil Gataullin riesce a raccontare una città che non è mai statica, ma in continuo movimento, riflettendo una capitale che si trova spesso in uno stato di transizione. Il suo sguardo svela un luogo vivo, ricco di contrasti, in cui le architetture storiche convivono con quelle moderne, creando un mix di identità che si fondono alla vita delle persone.
Il suo skyline, con le torri avveniristiche accanto a monumenti storici come la Piazza Rossa e il Cremlino, è un simbolo tangibile di questi passaggi. Le cicatrici della Seconda Guerra Mondiale sono visibili in alcuni dei suoi edifici e monumenti, mentre il periodo sovietico ha lasciato il segno con le grandiose strutture e le linee di design tipiche dell’architettura socialista.
Nel corso dei secoli, Mosca è stata testimone di eventi epocali: dalla fondazione e crescita come centro di potere del Principato di Mosca, alla sua ascesa a capitale dell’Impero Russo sotto il regno di Pietro il Grande, fino a diventare simbolo della rivoluzione bolscevica e del potere sovietico, segnando un’epoca di lotte ideologiche e conflitti internazionali. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mosca ha affrontato una fase di trasformazione radicale, attraversando crisi economiche e politiche, ma rimanendo comunque al centro dell’attualità mondiale.
Nel periodo post-sovietico, la città si è evoluta in un centro economico dinamico, una metropoli globale che attrae investimenti, talenti e cultura da tutto il mondo, ma che deve ancora fare i conti con le sfide interne legate alla disuguaglianza economica, alla libertà politica e alla modernizzazione delle sue infrastrutture.
Le fotografie di Gatullin riescono a catturare proprio questa dualità: la Mosca che guarda al suo passato doloroso e conflittuale, ma anche la città che non smette di guardare al futuro con una certa speranza, pur con il peso di tutto ciò che ha attraversato.
Le immagini di Emil Gatullin sanno cogliere quel momento sospeso in cui la città si trova “in attesa” – come se fosse sempre sul punto di prendere una nuova direzione, di affrontare una trasformazione, o di riscoprire qualcosa di antico ma sempre rilevante. La sua fotografia non si limita solo a immortalare la città nei suoi aspetti più concreti, ma trasmette anche un senso di aspettativa, di potenzialità mai completamente realizzate.
Ogni angolo che Gatullin fotografa, ogni volto che ritrae, può essere visto come un frammento di “attesa” – di un futuro che si costruisce giorno per giorno, tra il rumore delle costruzioni e il silenzio dei vecchi quartieri. La sua Mosca è una città che respira, pronta a scrivere un nuovo capitolo, ma sempre con un occhio al passato, afferrando un senso di intimità, anche quando ritrae scene quotidiane di vita urbana, offrendo al pubblico uno spunto di riflessione su come i cambiamenti sociali e architettonici influenzino le persone e le loro abitudini.
Emil Gataullin nasce nel 1972. Suo padre era un cantante. Sua madre, un’insegnante di musica. La famiglia si trasferisce nella grande città di Kazan, ma Emil si sente legato al villaggio natale, dove trascorre le vacanze con sua nonna e uno zio. Diplomatosi in pittura monumentale presso l’Istituto d’Arte Surikov di Mosca, studia successivamente fotografia con uno dei principali autori russi, Alexander Lapin, dal 2003 al 2004.
Dalla fine degli anni ’90, Emil lavora per molte riviste come GEO magazine, LFI, Black + White Photography, Schwarzweiss, Russian Reporter. Il suo lavoro fotografico è stato esposto in mostre personali in Germania, Francia, Italia e Russia. Ha vinto numerosi premi tra cui il Monovisions Photography Awards 2017, PhotoVisa 2015, The Alfred Fried Photography Award 2014.
Vive attualmente a Korolëv, una cittadina nell’oblast’ di Mosca, a poca distanza dalla capitale.
MUSEO DEL TESSILE – SALA RICAMO – Ingresso da via Galvani – Busto Arsizio (Va)
5-27 aprile 2025
Orari visita: sabato e domenica 15/18
Da martedì a venerdì visitabile su richiesta in orari di apertura del Museo, rivolgendosi al personale di custodia.
Il giorno 20/04/2025 chiuso – S. Pasqua
Ingresso libero
ORIELLA MONTIN
RICAMARE IL TEMPO
Oriella Montin è nata a Rovigo il 7 marzo 1978, vive e lavora a Milano. Dopo il Liceo Artistico Bruno Munari di Castelmassa (Rovigo) si è diplomata in pittura presso (NABA), Nuova Accademia di Belle Arti di Milano con Lode.
Seguendo un indirizzo concettuale la sua ricerca è in bilico tra linguaggio fotografico e pittorico. Attratta dal valore simbolico degli oggetti di recupero, l’artista lavora sull’effetto straniante, enigmatico e surreale della rappresentazione. Nelle sue opere indaga le complesse relazioni che si istaurano tra psiche e l’immagine fotografica, attraverso l’uso di fotografie d’epoca che raccoglie e archivia e sulle quali realizza interventi di cucito a mano direttamente sulla riproduzione fotografica. Nel 2021 è tra gli artisti selezionati per il premio New Post Photography Award, mostra curata da Gigliola Foschi per Mia Photo Fair Milano 2021, dove l’artista realizza una poetica installazione “Viaggiare”, composta da 14 cartoline postali – postcards, che raffigurano paesaggi in bianco e nero, luoghi o mete turistiche che sono la documentazione di un viaggio realmente avvenuto con tanto di francobollo e saluti sul retro. L’intervento dell’artista è quello di trascrivere su ogni carto-lina, con filo rosso di cotone, i versi della nota e tanto amata poesia “Viaggiare” di Gabriel Garcia Marquez, universalmente riconosciuta come uno dei massimi tributi al tema del Viaggio.
“Ho iniziato questo lavoro perché non avevo più il tempo per recarmi ogni giorno in studio a dipingere e rispettare così i tempi di asciugatura dell’olio su tela. Volevo disegnare e dipingere ma senza usare la pittura, pennelli, tavolozza e diluente! Utilizzando invece ago e filo, rievocando una tecnica chiaramente “femminile” come quella del cucito, per trasformare l’atto del cucire in gesto concettuale.
La volontà di trasformare la fotografia d’epoca, cucendovi sopra altre immagini, mi sembrava ottima per sperimentare le stratificazioni famigliari con tutte le implicazioni del cucito, per una ricostruzione genealogica nuova.
Usando ritagli di fotografie di famiglia recuperate nei mercatini delle pulci ed incollandole su altre foto per poterle cucire insieme ho elaborato una tecnica del tutto nuova, che sta diventando la mia personale cifra stilistica.”
I temi trattati dall’Artista sono: la maternità, la famiglia, il ruolo della donna all’interno della famiglia e il corpo come oggetto del desiderio, il femminicidio e la violenza sulle donne, il mondo dell’infanzia e l’essere umano con le sue contraddizioni.
I soggetti privilegiati sono infatti le donne, gli uomini e i bambini con i loro volti, analizzati nei loro ruoli e decontestualizzati.
Dal 2005 ad oggi le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive a livello nazionale.
CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE – Piazza Santa Maria – Busto Arsizio (Va)
15 – 30 marzo 2025
Orari visita: sabato 15/18,30 – domenica 10/12 – 15/18,30
Il giorno 20/04/2025 chiuso – S. Pasqua
Ingresso libero
CLAUDIO ARGENTIERO
LUOGHI DELLA FEDE
Cammini di Luce: I Sacri Monti Unesco
I Sacri Monti sono davvero luoghi affascinanti, non solo per la loro importanza religiosa e culturale, ma anche per il loro impatto paesaggistico. La loro creazione risale a un’epoca in cui i pellegrini cercavano alternative più sicure per il loro viaggio verso la Terra Santa, e questi percorsi devozionali sono stati pensati come rifugi spirituali che replicano simbolicamente i luoghi santi.
Ogni Sacro Monte è una piccola perla architettonica, con cappelle e statue che raccontano episodi sacri, immersi in un contesto naturale che esalta ancora di più la loro solennità. Le strutture, che spaziano dalle chiese agli edicole votive, sono strettamente integrate con l’ambiente circostante, spesso situate su alture che offrono panorami mozzafiato. In questo senso, il paesaggio non è solo un contesto, ma parte integrante dell’esperienza devozionale.
Oltre alla loro funzione religiosa, i Sacri Monti sono anche delle mete che permettono ai visitatori di immergersi nella storia e nella spiritualità, ma anche di godere di camminate tra colline e boschi, attraversando paesaggi unici che variano da valle a valle. La loro inclusione nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco sottolinea il loro valore universale, sia dal punto di vista religioso che culturale.
L’autore ha immortalato questi luoghi sacri attraverso l’inquadratura di architetture intime, paesaggi incantevoli e atmosfere avvolgenti, raccontando il dialogo tra la bellezza della natura e la sacralità degli spazi. Le statue seicentesche, che rappresentano scene di vita e sofferenza, emergono dalle immagini come testimonianze di un passato che ancora vive nel presente, trasmettendo un’intensa riflessione sulla fede e sull’esperienza umana.
L’autore, muovendosi nel silenzio lungo viali e scenari ampi, ha catturato la maestosità di questi luoghi attraverso le stagioni, immortalando l’architettura, i paesaggi e le atmosfere che respirano di storia
L’approccio dell’autore nel raccontare i Sacri Monti attraverso la fotografia sembra davvero toccante e profondamente rispettoso della spiritualità e della storia di questi luoghi. L’idea di immortalare non solo l’architettura ma anche l’interazione tra l’ambiente naturale e la sacralità degli spazi fa emergere un legame intimo e quasi mistico che caratterizza questi percorsi devozionali.
Le statue plasmate da mani sapienti, con la loro potenza espressiva, sembrano davvero testimoniare un’epoca passata, ma allo stesso tempo, attraverso la maestria degli artisti riescono a trasmettere emozioni e riflessioni sul senso della fede e della sofferenza che rimangono rilevanti oggi.
Opere che non solo raccontano storie sacre, ma catturano anche l’essenza della vita quotidiana, con la sua durezza e la sua bellezza, infondendo un’intensità straordinaria, riuscendo a rendere tangibile il dolore, la speranza e la spiritualità delle persone del tempo.
Un’arte che non si limita a rappresentare eventi biblici o visioni religiose; piuttosto, trae ispirazione da un contesto sociale e umano molto vicino alla realtà quotidiana della gente che abitava quelle valli.
Rappresentazioni straordinarie per la loro capacità di raccontare storie di sofferenza e redenzione, ma anche per il loro realismo, che emerge nei dettagli e nelle espressioni dei volti. Le sculture, con le loro posture e i tratti intensi, sembrano quasi voler trasmettere il peso di un’esistenza segnata dalla lotta e dalla speranza, ma sempre con uno sguardo rivolto verso una dimensione spirituale più alta.
Il fatto che l’autore abbia scelto di cogliere la bellezza di questi luoghi attraverso le stagioni è un altro aspetto che aggiunge profondità e significato alla narrazione: ogni cambiamento stagionale può essere visto come una metafora della vita umana e spirituale, con le sue fasi di crescita, decadenza, e rinascita.
Il silenzio che accompagna queste immagini sembra essere un altro elemento che arricchisce il messaggio: la serenità e il raccoglimento che si trovano nei viali solitari e nei paesaggi aperti parlano di un’esperienza intima, in cui l’anima può connettersi con la bellezza del creato e con la dimensione spirituale.
GALLERIA BORAGNO – Via Milano, 4 – centro storico – Busto Arsizio (Va)
23 marzo – 30 marzo 2025
Orari visita: sabato e domenica 10-13/15,30-18,30 /giovedì e venerdì 15,30-18,30
Ingresso libero
ELISA MERCADANTE
MI DISPIACE DEVO ANDARE
A cura di Valeria Valli
Ho pensato molte volte di rompere la relazione con la città in cui ho vissuto, ma non
basta voler andarsene da un luogo per lasciarlo, lasciare porta sempre alla morte di
qualcosa, lasciare fa paura.
Ti proietta in uno stato di sospensione, un alternarsi di stati d’animo in cui a volte
prevalgono le ragioni per restare ed altre i motivi per andarsene.
Ho iniziato a fotografare Milano con queste sensazioni, piena di domande, sperando
di trovare le risposte in lei e nelle persone che incontravo.
E così, come una moderna Fanciulla di Corinto, la futura assenza è stata la
condizione per ritrarne la presenza.
Elisa Mercadante è una fotografa milanese, da poco trasferitasi in Toscana.
Profondamente interessata all’umano e al rapporto con lo spazio che abita, esplora
temi quali le relazioni, l’impermanenza, la perdita, il quotidiano.
Sviluppa negli anni un’interiorità poliedrica, impara attraverso l’esperienza.
Frequenta studi tecnici turistici, impara le lingue per amore della comunicazione con
l’altro. E’ affascinata dall’arte, attratta irrimediabilmente dal ballo di coppia che studia
per diversi anni. Da sempre amante della parola, frequenta corsi di scrittura e
sceneggiatura.
Recente il suo interesse per la poesia, nato dopo l’esperienza durata cinque anni
all’interno della Casa di Reclusione di Opera, nella quale ha documentato
fotograficamente alcuni laboratori, tra i quali quello poetico.
La relazione con la città di Milano, il ritrovato amore per la madre e la paura della
perdita sono l’oggetto delle sue ultime ricerche fotografiche.
Collabora dal 2019 come assistente ai corsi e tutor degli studenti con la fotografa
Nausicaa Giulia Bianchi all’interno del percorso The Soul and The Machine.
Sempre nello stesso anno ha collaborato con lo Studio Tupac alla realizzazione di un
progetto collettivo su via Padova, a cura di Giulia Bianchi, avviando una ricerca
fotografica sulla biblioteca di zona e i libri in prestito.
Ha frequentato seminari con Lorenzo Castore, Davide Monteleone e Giulia Bianchi.
Crede nel Genius loci, è in cerca della grazia ed è convinta di essere stata albero.
Oggi è un albero con i piedi danzanti.
GALLERIA BORAGNO – Via Milano, 4 – centro storico – Busto Arsizio (Va)
6 aprile – 13 aprile 2025
Orari visita: sabato e domenica 10-13/15,30-18,30 /giovedì e venerdì 15,30-18,30
Ingresso libero
LAURA GIORGIA BORACCHI
IL MONDO NELLA MENTE
A cura di Valeria Valli
Siamo tutti un’unica intelligenza, divisa in coscienze, in un mondo creato dalla nostra mente e percepito in una densità inesistente.
Attraversare connessioni tra passi e mente.
Tutti cercano la luce; io cerco l’ombra nel nero, essa rappresenta la verità prima della raffigurazione della mente, parte dentro di noi e crea quel che appare; ostinatamente chiamiamo realtà una proiezione dello spazio tempo dettata dal nostro pensiero.
Percorriamo il viaggio di conoscenza all’interno di noi stessi, comprendendo che l’esistenza è solo un riflesso del nostro IO.
Ero bambina e già mi domandavo se esistevo, avevo la sensazione di essere pensiero racchiuso in una scatola.
Avverto la complessità, dove la mente viaggia più del movimento e il pensiero è l’unica forma tangibile di energia.
Il cuore trasporta quello che la mente non vede.
Tu e il nulla cosmico, lì mi sento divenire, in ogni passo senza agire.
“Nasco a Merate.
Inizio a fotografare negli anni dell’Accademia di Belle Arti di Brera mentre studio scultura.
Nel corso degli anni, per le mie opere, ho utilizzato differenti materiali e tecniche di espressione, dalla scultura agli abiti ai gioielli.
Oggi, attraverso l’uso esclusivo del linguaggio fotografico posso maggiormente concentrarmi sugli elementi che più mi interessano: il pensiero nell’ombra.
Lavoro con un’idea continua di autoanalisi e ricerca.
Nei neri delle mie immagini ritrovo il nostro Io che crea il mondo circostante in chiave metafisica.
Collaboro con diversi studi d’arte e fotografi; i miei lavori sono stati oggetto di differenti esposizioni.
Molte delle mie fotografie risiedono nelle dimore di alcuni collezionisti”.
A&A – ALBE’&ASSOCIATI STUDIO LEGALE – Via Cellini, 22 – Busto Arsizio (Va)
18 marzo – 15 aprile 2025
Orari visita: domeniche 23/3 – 30/3 – 6/4 – 13/ 4 ore 15-18.
Dal lunedì al venerdì su appuntamento telefonando al n. 0331 639176
Ingresso libero
SGUARDI PER BENE
SILENZI DI TERRA, CELEBRANDO LA BELLEZZA
AA.VV. opere per un’asta di beneficenza
Il titolo suona come una mostra affascinante, che esplora la ricchezza paesaggistica del Paese, mediante il linguaggio della fotografia per documentare i diversi scenari.
La varietà del paesaggio italiano, con le sue montagne, coste, città storiche e piccoli borghi, è sicuramente un soggetto straordinario per una collettiva, perché ogni fotografo può portare una prospettiva unica.
La locuzione “raccontarlo attraverso gli occhi di fotografi con esperienze e stili diversi”, suggerisce che l’esposizione non si limita a una rappresentazione uniforme del territorio, ma piuttosto esplora la diversità delle interpretazioni personali degli autori.
Ciò crea un’opportunità per i visitatori di vedere i luoghi sotto molteplici aspetti, da punti di vista che potrebbero essere altrimenti impercettibili e celati.
Un’Italia meno conosciuta, dove il tempo sembra essersi fermato, è certamente un’impresa piacevolmente suggestiva. Questi angoli più silenziosi del paese raccontano storie di autenticità e bellezza che spesso sfuggono all’occhio del turista, ma che racchiudono l’essenza di spazi più intimi e lontani dai grandi flussi turistici.
La luce, le atmosfere, i punti di vista e la forma sono elementi chiave per esplorare e comunicare il carattere di un luogo in modo viscerale.
Ogni angolo ha una sua energia, una sua vibrazione, e il fotografo diventa un mediatore tra questa forza e l’osservatore.
Non si tratta solo di scattare una foto, ma di creare una storia visiva, un racconto che è fatto di dettagli, di colori e di forme che, a volte, si rivelano solo se si ha la pazienza di scrutare con la giusta calma.
Questo approccio documentario offre una visione polifonica e invita chi osserva a partecipare alla riflessione. Non ci sono risposte preconfezionate o spiegazioni univoche nelle immagini, ma uno spazio aperto per l’interpretazione e la contemplazione.
Le fotografie raccontano dei luoghi, degli spazi, delle persone che li abitano, ma anche delle storie che si intrecciano con questi territori, Ogni immagine diventa una sorta di invito a esplorare il pensiero e la memoria collettiva.
La storia che scorre tra le strade di un borgo, la tradizione che si respira nelle campagne, il dinamismo di una periferia urbana, le prospettive infinite del mare, le forme mutevoli della montagna.
SPAZIO IMMAGINE – Via Silvio Pellico, 15 – Busto Arsizio (Va)
29 marzo – 27 aprile 2025
Orari visita: sabato e domenica 15/18,30
Ingresso libero
Chiuso il 19 e 20 aprile 2025 Pasqua
ISTITUTO ITALIANO DI FOTOGRAFIA
PAESAGGI COME STATI DELL’ANIMA
Progetto degli studenti dell’Istituto Italiano di Fotografia
A cura di erminio Annunzi
“PAESAGGIO NON COME LUOGO MA COME RIFLESSONE INTERIORE”.
Questa frase, scritta con un pennarello verde su una tavola di legno chiara, si trova nello studio/camera oscura di Mario Giacomelli.
La sua camera oscura/studio era un luogo dove la riflessione interiore era una condizione necessaria per “l’atto creativo”. Attraverso questo pensiero, Giacomelli ci guida tenendoci per mano, all’interno del suo mondo, fornendo a tutti noi la possibilità di comprendere appieno, l’essenza del suo lavoro e, contemporaneamente, ci suggerisce la strada verso la comprensione di sé stessi.
Con il progetto “PAESAGGI COME STATI DELL’ANIMA” si è voluto stimolare gli studenti ad indagare ed approfondire, attraverso e per mezzo della fotografia di paesaggio, il loro profondo intimo, alla ricerca di quella riflessione interiore che portasse alla luce il loro “IO” esistenziale.
Il viaggio intrapreso durante questo lungo percorso di ricerca, li ha portati a indagare i luoghi della loro infanzia, quelli del quotidiano, quelli della loro immaginazione.
Ne è venuto fuori uno spaccato fotografico di vite ed esperienze, articolato e complesso, e spesso contraddittorio: tipico delle ancora acerbe vite non completamente comprese.
Melanconia, sfiducia, distacco, speranza, sono solo alcune delle sensazioni che si possono leggere tra le righe di queste fotografie, e rappresentano l’anima di questa generazione di giovani donne e uomini.
Un’anima pervasa di aspettative a cui viene contrapposto il germe del dubbio, non quello filosofico che è il motore per la crescita e l’evoluzione personale, bensì, il dubbio che rode l’anima e che ti consuma da dentro.
Il lavoro esposto, richiede all’osservatore lo sforzo di osservarlo con uno sguardo e con un animo profondo, in modo da cogliere tutte le sottili sfumature che le fotografie possiedono, immagini che sono il frutto maturo di questi giovani autori.
Le fotografie esposte, mostrano luoghi che non brillano per la bellezza che appaga gli occhi, contrariamente ti invitano a vedere dentro alle cose, e per fare questo, ci vuole un animo aperto alla scoperta.
AEROPORTO MILANO-MALPENSA / Terminal 1
ArtHUB
26 marzo – 30 giugno 2025
Ingresso libero
MARCO GAROFALO
EnergETICA
Raccontare con le immagini storie di Watt e di persone. La fotografia per entrare nella sfida dell’accesso universale a forme moderne e sostenibili di energia che è diventata dal 2015 uno dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite.
La fotografia di Marco Garofalo entra nelle case di un centinaio di famiglie in tre continenti, Africa, Sud America e India, per raccontare con uno stesso formato, l’energy portrait, cosa sia l’accesso all’energia.
Una porta di ingresso per avvicinare problemi spinosi dell’attualità: la povertà e la disuguaglianza, di cui il mancato accesso all’energia è causa e conseguenza, e la questione ambientale, il cambiamento climatico innescato proprio dalle emissioni di CO2 dei sistemi energetici ed il cui impatto è estremo su chi di energia non ne ha.
Nel nostro immaginario avere l’elettricità è un interruttore acceso o spento. Nel mondo è
un’infinità di situazioni intermedie. Lo sviluppo delle tecnologie ha permesso di affiancare alla rete nazionale nuove e avanzate soluzioni. Innumerevoli impianti decentrati, prevalentemente solari, e mini-reti innovative offrono un servizio alternativo: a volte più economico, efficiente e affidabile della rete nazionale, a volte insufficiente, dispendioso e non in grado di attivare lo sviluppo economico.
Negli scorsi anni la comunità internazionale con le sue organizzazioni, gli stati nazionali, il mondo della cooperazione e delle imprese hanno messo in campo piani e strategie per
raggiungere il settimo Sustainable Development Goal. Tante sono oggi le possibili soluzioni tecnologiche in campo e altrettanto diversi i bisogni dei consumatori.
Le fotografie della mostra, raccolte in tre anni di lavoro in tre continenti, sono un viaggio: dai villaggi Maasai sulle pendici del Kilimanjaro agli altipiani andini, dalle baraccopoli di Nairobi alle discariche di Accra, dalla notte affollata delle città indiane a quella silente nel centro dei laghi africani, dai vorticosi fiumi dell’Amazzonia al placido delta del Gange. Un viaggio per capire come l’energia non è solo un interruttore, un contatore, fili e tralicci ma sono le persone, negli infiniti contesti del mondo e nell’infinita complessità delle loro vite.
Il coinvolgimento nel lavoro sul campo, la frequentazione e l’ascolto delle persone a cui è destinato il settimo dei Sustainable Development Goals, hanno fatto nascere l’idea di rappresentare la sfida dell’accesso all’energia attraverso la fotografia.
Rappresentare nel senso di dare voce ai bisogni dei destinatari dei programmi di sviluppo e nel senso di raffigurare una vita quotidiana in cui l’energia è presente ovunque, ma in modi tanto diversi. (Matteo Leonardi)
Marco Garofalo (Milano, 1976) è un fotografo noto per il suo approccio documentaristico e il suo impegno sociale.
Dopo una formazione nell’ambito della fotografia tradizionale in camera oscura e sui set di moda e pubblicità, oggi lavora come fotoreporter, concentrandosi su temi sociali e culturali, diritti umani e sulle condizioni di vita delle persone che vivono ai margini della società principalmente nella città di Milano e nel continente africano, oltre che su progetti architettonici e di ricerca personale pubblicati in diversi libri ed esposti in mostre personali e collettive evidenziando sempre il valore umano dietro ogni storia raccontata.
È stato il fotografo di scena per il film documentario Io sto con la sposa, un inaspettato successo cinematografico del 2014 che racconta la storia di cinque rifugiati siriani in viaggio verso Stoccolma, proiettato alla 71ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il reportage The Last Chance, racconto delle periferie dove il suono della Trap è potente e la legalità fatica a farsi sentire, è stato ufficialmente invitato dal Consiglio d’Europa di Strasburgo presso la decima edizione del World Democracy Forum (novembre 2022)
Dal 2017 lavora a un reportage intitolato Energy Portraits, progetto a lungo termine sull’accesso all’energia e sui contesti significativi a livello mondiale dove questa sfida si concretizza nel solco del SDG n.7 delle Nazioni Unite. Energy portraits è stato esposto in diverse cornici prestigiose, tra cui il festival internazionale di fotografia Cortona on the move e la COP26, conferenza mondiale sui cambiamenti climatici indetta dalle Nazioni Unite che nel 2021 si è tenuta a Glasgow, Scozia.
Marco Garofalo collabora con organizzazioni non governative, istituzioni culturali ed enti privati italiani e internazionali, ricevendo riconoscimenti per la sua capacità di utilizzare l’immagine come strumento di riflessione e cambiamento sociale.
CITTA’ DI LEGNANO – MI
PALAZZO LEONE DA PEREGO – Via Gilardelli, 10 – Legnano (MI)
16 marzo – 27 aprile 2025
Orari visita: sabato, domenica e festivi: 10/12,30 – 15/19
Chiuso il 20/04/2025 Pasqua
Visite guidate gratuite su prenotazione ai seguenti recapiti:
T 0331-471575/471578 – e-mail: ufficio.cultura@comune.legnano.mi
Ingresso libero
MASSIMO SIRAGUSA
TEATRO ITALIA
Massimo Siragusa ha viaggiato a lungo in Italia osservando e fotografando luoghi più e meno famosi, piazze antiche e nuove, scorci del nostro paese. Il risultato è una serie di immagini che raccontano una Italia sconosciuta e insieme nota che rivela, nella sua diversità strutturale, una coerenza di visione, di luce e di spazio. Teatro d’Italia fotografa un paese di una bellezza straordinaria a volte esibita spudoratamente, altre volte nascosta, capace sempre di un grande equilibrio visivo e di spazi scenici spesso sontuosi, pronti per uno spettacolo pubblico e collettivo.
Nel testo critico contenuto nel volume, Massimo Doninelli scrive: “Raccontare, con le parole o con le immagini, la terra in cui si è nati, la terra da cui è sorta la lingua che parliamo e che ha dato la prima forma ai pensieri che pensiamo, costituisce uno snodo fondamentale nell’esperienza di qualunque artista. Che un simile racconto implichi o meno un certo numero di risvolti strettamente autobiografici (il proprio borgo, la propria casa, certi colori legati alla memoria individuale) è questione secondaria. Ciò che è inevitabile è che i termini oggettivi delle proprie biografia restino per così dire impigliati nelle difficoltà che l’artista deve affrontare in un caso particolarissimo com’è questo: che, cioè, non sia possibile ridurre il paese d’origine (qui, l’Italia) alla stregua di un oggetto come potrebbe essere una galleria di volti, una serie di nature morte, una città o una regione lontana interessanti per la loro bellezza, o per i loro aspetti sociali o antropici”.
Massimo Siragusa, docente allo IED di Roma e all’Accademia Abadir di Catania, è fotografo e direttore editoriale della Phaos Edizioni. Ha diretto per vari anni la Plenum Gallery e, dal 2024, è direttore artistico del Ragusa Foto Festival.
Le sue fotografie si trovano nelle collezioni permanenti dei Musei Vaticani, della Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Roma, del Mart di Rovereto, del Museo di Roma in Trastevere e sono state pubblicate sulle più autorevoli riviste internazionali. Ha collaborato con numerose Istituzioni Pubbliche e Fondazioni private: Provincia di Milano, Comune di Roma, Museo di Villa Carlotta, Aeroporto di Napoli, Aeroporti di Milano, Autostrada Pedemontana, Auditorium di Roma, Fondazione Seragnoli, Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Istituto Centrale Catalogo e Documentazione, FAI.
Con i suoi lavori di corporate ha raccontato l’identità di molte delle più prestigiose aziende internazionali: Lavazza, My Chef, IGP, ENI, A2A, Bosch, Boscolo Hotels, F2i, Versace, Conad, Bisazza, Kartel, Agusta Westland, Ambrosi, Moak, Coca Cola, Unipol Banca, TIM, Università Cattolica, Antinori, Solmielato, Restivo Wine, Argital, Ferrari, Bocconi, EDF, Leonardo.
Vive tra Roma e Catania.
GIOVANNI HÄNNINEN
LAYERED MUMBAI
Mumbai è la dodicesima città più ricca al mondo per il PIL. Al tempo stesso è luogo di disparità estreme. Solo negli ultimi anni, gli abitanti sono passati da 16 milioni a oltre 22 milioni di cui oltre il 55% vive in slum. Nel frattempo Mumbai, in una corsa all’inseguimento di una delle crescite più repentine della storia, sta cercando nuove aree in cui costruire nuovi grattacieli e infrastrutture.
I grattacieli si fanno spazio recuperando – riabilitando, dicono – le aree occupate dagli slum. Poco importa che parte della storia recente della città e gran parte dell’economia risieda ancora lì, in quegli slum, dove non vivono soltanto disperati, ma anche operai, medici, avvocati e tutte quelle figure alla base di ogni sistema sociale ed economico.
La ricerca fotografica condotta da Giovanni Hänninen nasce da una collaborazione con Studio Mumbai Architects e mette in luce la stratificazione urbana della città di Mumbai.
Il lavoro fotografico in mostra è l’inizio di una ricerca che vuole creare un atlante che usi la fotografia come strumento per l’analisi delle dinamiche della città.
Giovanni Hänninen è nato a Helsinki nel 1976. Vive e lavora a Milano, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Ingegneria aerospaziale e insegna Fotografia per l’architettura presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano. Dal 2009 fotografa per la Filarmonica della Scala. Nel 2012 viene presentato da Gabriele Basilico nella mostra 20X20 dove propone il progetto cittàinattesa.
Nel 2015 partecipa alla Triennale Off di Milano con MI-BG 49km, un lavoro dedicato all’autostrada Milano-Bergamo. Invitato da The Josef and Anni Albers Foundation a fotografare la propria residenza d’artista in Senegal, le sue immagini vengono scelte per la mostra Thread (2017) da David Zwirner, New York.
Nel 2018 viene chiamato da Bijoy Jain per documentare i progetti realizzati da Studio Mumbai in India. Nello stesso anno presenta il progetto People of Tamba a Dak’Art 2018 – Biennale d’Arte di Dakar che verrà poi portato nel 2019, insieme al progetto di documentari Senegal/Sicily di cui è autore insieme a Alberto Amoretti, a Marrakech come progetto speciale di MACAAL (Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden) per 1-54 Contemporary Art Fair, a Firenze alla Fondazione Marangoni, a Milano alla Fondazione Sozzani, a Parigi all’interno di AKAA (Also Known As Africa) e infine a Palermo durante la BAM (Biennale Arcipelago Mediterraneo). Nel 2019 sviluppa due importarti progetti museali: una campagna fotografica per la valorizzazione del Complesso Museale della Pilotta in vista di Parma capitale della cultura 2020; il progetto fotografico della mostra curata da Pierluigi Pizzi Nei Palchi della Scala – Storie milanesi per il Museo Teatrale alla Scala.
Nel 2020 il progetto The Missing Piece, realizzato durante il primo lockdown a Milano, viene esposto all’interno della manifestazione PhotoBrussels Festival 05 ad Hangar Photo Center. Nel 2021 partecipa alla XVII Biennale Architettura 2021 di Venezia con il progetto After/Dopo, realizzato con Arte Sella a seguito della tragedia della tempesta Vaia.
Dal 2021 al 2023 realizza una grande campagna fotografica sull’autostrada del Brennero, esposta a Le Gallerie a Trento. I suoi lavori fanno parte di numerose collezioni, private ed istituzionali, tra cui The Josef and Anni Albers Foundation, the Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden (MACAAL) di Marrakech e il Museo di Fotografia Contemporanea (MUFOCO) in Italia.
HASHEM SHAKERI
CAST OUT OF HEAVEN / CACCIATO DA PARADISO
La serie Cast Out of Heaven del fotografo iraniano Hashem Shakeri esamina gli sviluppi urbani che esistono come una rete di città satellite che circondano la capitale iraniana Teheran. C’è chi potrebbe riferirsi a queste aree come città fantasma, altri che le considerano esempi di una promessa di paradiso non mantenuta. I residenti di questi luoghi vivono in uno stato di quasi esilio a causa della mancanza di infrastrutture necessarie per dare vita a una città.
In Cast Out of Heaven, Shakeri descrive questi luoghi come inquietanti, vuoti e tuttavia stranamente belli. Le sue fotografie di torri residenziali e strade deserte sono incorniciate dal vasto vuoto del paesaggio desertico dell’Iran. Per varie ragioni che hanno contribuito a stimolare una crisi economica nel paese, gli abitanti di queste città lottano con spostamenti lunghi ore, una mancanza di risorse educative e sanitarie e vite che hanno poche prospettive di miglioramento. Quello che è iniziato come un enorme progetto nazionale di edilizia popolare ha finora portato a un ulteriore peggioramento della qualità della vita per coloro che non hanno altra scelta che vivere in queste città.
Il lavoro di Hashem Shakeri esplora l’intersezione tra identità, esilio e sfide sociali. Attraverso la fotografia e il video, Shakeri cerca di scoprire storie interpersonali nascoste e mettere in discussione le narrazioni per attirare l’attenzione sulle complessità e le sfumature dell’esperienza umana. Una delle preoccupazioni principali di Shakeri è l’impatto della crisi climatica, dei sommovimenti politici e sociali sugli individui e sulle comunità in Iran e Afghanistan. Il suo lavoro esplora spesso le conseguenze dello sfollamento e dell’alienazione, illuminando le esperienze di coloro che sono stati emarginati o dimenticati.
Hashem Shakeri è un artista, fotografo e regista che lavora in Iran e Afghanistan. Scoprendo la fotografia durante l’adolescenza, ha iniziato a sviluppare le sue capacità attraverso tentativi ed errori persistenti e dopo molti anni da autodidatta, ha deciso di dedicarsi alla fotografia professionalmente. Da quegli anni, ha lavorato come fotografo documentarista e narratore visivo. Ha lavorato a diversi progetti personali a lungo termine e a commissioni di importanti media internazionali.
Ha esposto a livello internazionale in numerosi musei, festival e biennali, tra cui al Leica Museum, al Foam Museum, all’Arp Museum, all’ICP Museum, al Maxxi Museum, al Värmlands Museum, allo Smithsonian Museum, ai Rencontres d’Arles, alla Paris Photo art fair, al Visa pour l’image e molti altri.
I lavori di Shakeri sono stati ampiamente pubblicati su riviste come The New Yorker, National Geographic, The New York Times, D la Repubblica, Internazionale, Le Monde, Aperture, The Guardian, Der Spiegel, Die Zeit, British Journal of Photography e molte altre.
Ha ricevuto numerosi premi, sovvenzioni e borse di studio, tra cui Foam Talent, Magnum Foundation Fund, Getty Images Reportage Grant.
MARIE DORIGNY
DES VIES TRAVERSÉES
“Le fotografie qui presentate sono tutte tratte da reportage, prodotti tra il 2000 e il 2019. Non sono immagini realizzate per la stampa, ma nascono dal mio desiderio personale di indagare argomenti che all’epoca interessavano poco i media internazionali. India, Pakistan e Nepal, Mongolia, Guatemala, Bolivia, Perù e Mozambico fanno da sfondo a queste storie umane.
Attraverso queste immagini vengono rivelate le crude realtà della guerra, dell’esilio e della violenza, fatte alle donne, o l’espropriazione delle terre ai piccoli contadini, tante tragedie che plasmano le nostre società e segnano le nostre coscienze.
Eppure, ogni volta, da queste vite incrociate, persiste il ricordo di un incontro più speciale, uno sguardo pieno di speranza, un gesto di tenerezza, una luce inaspettata che attenua le ombre della quotidianità.
Dietro ogni scena di dolore, ogni testimonianza di lotta, rimane un barlume di umanità.
Queste immagini non sono solo una documentazione del passato: sono custodi della memoria, un ricordo vivo e vibrante. Ci ricordano che, anche nei contesti più oscuri, l’umanità continua a esprimersi attraverso la bellezza, la poesia e la resilienza.
Fotoreporter da oltre 25 anni, Marie Dorigny ha lavorato inizialmente come scrittrice. Si è unita al mondo della fotografia nel dicembre 1989 durante la rivoluzione rumena e ha prodotto reportage impegnati sul lavoro minorile, la condizione delle donne e le forme contemporanee di schiavitù.
Il suo lavoro, pubblicato sulla stampa nazionale e internazionale, è stato anche ripetutamente esposto nelle gallerie fotografiche della FNAC (schiavitù domestica), al festival di fotogiornalismo Visa pour l’Image di Perpignan (lavoro minorile e accaparramento di terre), alla Bibliothèque Nationale de France (prostituzione e immigrazione illegale) e al Museo di Lione (Kashmir).
Il suo lavoro è stato premiato più volte:
– 1991: World Press per il suo reportage sulle devastazioni dell’Agente Orange in Vietnam
– 1998: Kodak Award of the young photojournalist per il suo lavoro sulla schiavitù domestica
– 2013: vincitrice di una borsa di studio del Photoreporter Festival di St Brieuc Bay per un progetto di reportage sulla violenza contro le donne in Nepal
– 2014: vincitrice della borsa di studio fotografica AFD/Polka per il suo progetto “Main basse sur la terre” sull’accaparramento di terre in Mozambico. Questo lavoro è stato poi esposto al MEP di Parigi.
Tre monografie presentano anche il suo lavoro fotografico:
“Enfants de l’ombre” (Marval Editions, 1993), “Cachemire, le paradis oublié” (Editions du Chêne, 2004) e infine, “L’inde invisible” (CDP Publishing, 2008).
Il suo ultimo lavoro, “Displaced, femmes en exil”, è stato commissionato nel 2016 dal Parlamento europeo. È stato esposto (per tre mesi) dal Parlamento di Bruxelles e da Visa pour l’Image.
TIZIANO TERZANI
SU QUALE SPONDA LA FELICITA’?
Modernità e nostalgia nell’Asia di Tiziano Terzani
A cura Nicole Pecoitz
Courtesy: Archivio Tiziano Terzani, Centro Studi di Civiltà e Spiritualità Comparate, Fondazione Giorgio Cini, Venezia.
In mostra le immagini del grande giornalista e scrittore Tiziano Terzani, che ancora pochi conoscono come fotografo. Al cuore della narrazione di Terzani c’è una contraddizione insanabile: da un lato l’elogio della bellezza di un continente ancora antico, l’Asia, dall’altro il lamento per la sua progressiva dissoluzione nella folle corsa verso l’appiattimento occidentale.
In mezzo a questo processo che ormai appare irreversibile Terzani cerca le radici che resistono; quelle che non si arrendono a un futuro che avanza fagocitante e indifferente alla sorte di paesaggi e culture; quelle che ancora sono in grado di portare linfa ai popoli che racconta e che ritrae. Le sue fotografie, infatti, rispecchiano armonicamente il suo occhio di scrittore, raccontano la sua ricerca assetata – a tratti opprimente e scoraggiante ma pur sempre entusiasta – di quelle fonti della vita per cui sente una forte nostalgia. L’obiettivo è quindi tramandare non solo l’eredità testuale e fotografica di uno dei più fini osservatori del nostro tempo ma anche il messaggio all’umanità che traspare continuamente nei fili della sua vita; se non vogliamo soccombere a un futuro materialista, cieco e fanatico dobbiamo rivolgere la direzione della nostra ricerca verso noi stessi, consapevoli che solo dall’Uomo può arrivare una speranza di redenzione salvifica. Si tratta in fondo di trovare le “isole dei poeti” dentro ognuno di noi.
Questa mostra ha lo scopo di portare alla luce le fotografie di Tiziano Terzani, conservate presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Dopo il successo della prima edizione a Milano Photofestival nel 2022, la mostra si ripresenta al pubblico con un allestimento inedito. In questi due anni e mezzo il mondo è stato segnato da profonde trasformazioni: guerre, genocidi, la distruzione della natura e delle culture, spazzate via da armi e capitalismo, rendono il messaggio di Terzani sempre più urgente. Per questo il nucleo della narrazione permaneimmutato: a cambiare è la selezione di fotografie, stampate in formato più intimo, che invitano lo spettatore a un’esperienza più raccolta e meditativa.
Questa versione rinnovata, pensata appositamente per il Festival Fotografico Europeo, intende quindi aprirsi a una dimensione europea nella speranza di dialogare con pubblico sempre più globale. Per questo motivo, le didascalie che accompagnano le fotografie non possono non riecheggiare, a vent’anni dalla sua scomparsa, la voce del grande giornalista e scrittore.
Si ringrazia la Fondazione Giorgio Cini di Venezia e il Centro Digitale ARCHiVe per il progetto di digitalizzazione dell’intero archivio.
STEFANO MIRABELLA
DOM
L’abbaiare dei cani in lontananza, lo strano verso delle cicogne al sicuro nei loro grandissimi nidi, l’odore pungente dei campi e il rumore lontano di qualche vecchio trattore che fa ancora il proprio dovere, poi l’inconfondibile e rassicurante sibilo del vento che si fa strada tra le foglie degli alberi.
È una giornata qualunque qui a Cieszęta, un remoto e minuscolo paesino nel nord della Polonia, da queste parti il tempo scorre lento, con un ritmo dettato esclusivamente dalla natura e dal lavoro dell’uomo, poi ci sono loro, i bambini, che crescono con le cose semplici di tutti i giorni, in un rapporto stretto e indissolubile con l’ambiente che li circonda. Un ambiente forte, genuino, sincero.
L’ ultima fattoria del paesino, in fondo alla strada, è quella dove è nata e ha trascorso l’infanzia la mia compagna e dove torniamo insieme a nostra figlia una volta l’anno. Per noi tutti un luogo magico, quasi onirico, dove rifugiarsi e dove veder crescere e rafforzarsi legami di famiglia destinati alla lontananza per tutto il resto del tempo. Da queste parti le giornate si susseguono le une uguali alle altre, il tempo sembra essersi fermato e sarebbe davvero difficile percepirne i minimi cambiamenti se non vivessi con loro solo per un breve periodo dell’anno. Durante questo breve arco di tempo mi è naturale raccogliere frammenti, attimi e situazioni nel tentativo di scrivere un personalissimo diario di famiglia. (Stefano Mirabella)
Stefano Mirabella è nato e vive a Roma dal 1973, nel 2003 muove i primi passi nel mondo della fotografia frequentando alcuni corsi nelle migliori scuole di Roma. Subito dopo inizia un percorso fotografico personale, che lo vede impegnato nel reportage sociale, numerosi i viaggi fotografici all’estero: Thailandia, Cambogia, Laos, Birmania, India, Siria e territori occupati palestinesi. Queste esperienze danno vita ad alcune mostre personali e pubblicazioni varie. La passione per la fotografia lo porta a intraprendere la strada dell’insegnamento, tiene costantemente corsi di fotografia avanzati e di base, individualmente o per conto di associazioni e scuole.
Dal 2012 pratica la Street Photography. Entra subito a far parte del collettivo italiano Spontanea. Vive la fotografia di strada come un’opportunità per stare tra la gente e riscoprire la sua città. Predilige quel tipo di fotografia che è in bilico tra la voglia di rappresentare la realtà e il desiderio di trascenderla.
Ama profondamente il genere e cerca di condividerlo tramite l’insegnamento, è docente presso Officine Fotografiche. Vincitore del Leica Talent 2014 è stato Leica Ambassador e docente Leica Akademie dal 2015 al 2018.
ILARIA SAGARIA
CRISALIDI
Cosa conserviamo della nostra infanzia? Cosa resta della sua magia e di quella fragilità esistenziale che sembra impossibile trattenere?
Da quando ho iniziato a lavorare come insegnante mi sono trovata catapultata in un mondo inaspettato. Giorno dopo giorno ho iniziato a guardare l’infanzia con occhi diversi: vedevo in queste donnine creature tenere e oscure allo stesso tempo, come crisalidi dirette verso qualcosa di sconosciuto. Fin dall’antichità, l’essere umano è stato affascinato dal mistero della metamorfosi, come un messaggio mai decifrato. Questo lavoro è un tentativo di indagare l’adolescenza come una storia dell’essere e del suo cambiamento su più livelli sovrapposti.
Nel mondo degli insetti, la crisalide rappresenta lo stadio ninfale delle farfalle che si preparano a subire una metamorfosi; in psicologia, invece, implica l’infinito potenziale dell’essere nelle fasi delle sue trasformazioni: così come la farfalla emerge al termine di un misterioso processo di cambiamento, allo stesso modo la coscienza umana attraversa varie fasi, racchiudendo un processo e una storia.
In una dimensione poetica e psicologica del cambiamento, l’intimità diventa sconfinamento sensoriale: la nostra mente, fotogramma dopo fotogramma, si ritrova coinvolta in una dimensione pseudoscientifica dove incanto e realtà si sovrappongono.
Figure oniriche di bambine dal corpo di porcellana sembrano abbandonarsi a un meccanismo di perpetua dilatazione temporale capace di addolcire il loro ingresso nella vita adulta. Sguardi sognanti dal sapore ermetico e intimo, gesti interrotti che danno vita a quelle inquietudini sentimentali insite nella crescita.
Emergono sontuose allegorie sentimentali che ci riportano al mondo esterno attraverso immagini di insetti, brandelli anatomici, pagine sbiadite e parole che sottolineano il concetto di impermanenza nella difficile costruzione del sé. In questa odissea dell’umanità, mondo interiore ed esteriore si mescolano nel tentativo di decifrare il misterioso enigma dell’adolescenza.
Ilaria Sagaria nasce a Palomonte (SA) nel 1989. Trasferitasi a Napoli, si iscrive all’’Accademia di Belle Arti dove si diploma prima in pittura e poi in fotografia. Nel 2016 è tra le vincitrici ed i vincitori del premio Sette Opere di Misericordia bandito dal Museo del Pio Monte della Misericordia a Napoli. Alcune sue opere sono esposte nella collezione permanente del Museo d’Arte Moderna dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia, nell’area dedicata all’Archivio Italiano dell’Autoritratto Fotografico. Nel 2018 è tra le finaliste ed i finalisti della Biennale dei Giovani Fotografi Italiani e del Premio Portfolio Italia con il lavoro fotografico Il dolore non è un privilegio. Sempre nello stesso anno viene selezionata per la terza edizione del Laboratorio Irregolare a cura di Antonio Biasiucci. Nel 2021 espone Il dolore non è un privilegio presso le Gallerie degli Uffizi e vince il Primo Premio del XVIII Portfolio Italia 2021 con il lavoro Piena di grazia. Ha lavorato come fotografa tra Napoli e Monaco di Baviera e attualmente anche come docente di grafica e fotografia in Italia. La sua ricerca fotografica mira a restituire un immaginario complesso e stratificato del femminino, denso di simboli culturali, di rimandi e dettagli artistici, con particolare attenzione ai significati sociali, politici e psicologici. La fotografia la rende felice.
FRANCESCA CHIACCHIO
NAPOLISM
Quando ho iniziato a fotografare per strada era molto difficile per me fotografare Napoli, la mia città natale. Preferivo fotografare città e luoghi che non mi erano familiari, e ho sempre pensato che il motivo risiedesse nel desiderio di imprevisto e di novità che solo i posti che non conosci possono darti. La verità è che avevo paura, paura di essere giudicata dalla mia stessa gente, e prima ancora da me stessa. Napoli è probabilmente una delle città più fotografate al mondo, con i suoi vicoli, la sua gente rumorosa, il Vesuvio che fa da sfondo al lungomare. Questo è probabilmente ciò che mi ha spaventato di più: dovermi confrontare con una serie di immagini iconiche di Napoli che fanno parte dell’immaginario collettivo. Volevo distaccarmi il più possibile da queste immagini, e allo stesso tempo catturare l’unicità della città e quelle stesse icone che la caratterizzano. Piano piano ho iniziato a prendere confidenza nel girare per la città con la mia macchina fotografica e, senza nemmeno pensare ad un possibile progetto, ho raccolto una serie di immagini scattate in circa 4 anni, dal 2020 al 2024, che in qualche modo rappresentano la mia visione di Napoli e dei suoi abitanti.
Francesca Chiacchio inizia a fotografare e sviluppare foto mentre studiava architettura a Napoli. Dopo la laurea, ha seguito un corso di fotografia di 3 mesi e subito dopo si è trasferita a New York, con il desiderio di diventare una fotografa professionista. Una volta lì, ha finito per lavorare come architetto, scattando foto nel suo tempo libero. Tornata a Napoli, nel 2017 si è appassionata alla Street Photography e dal 2019 il suo lavoro è stato esposto in vari festival e mostre di fotografia in tutto il mondo ed è stato presentato in numerose riviste e pagine web internazionali.
È membro del collettivo internazionale di street photography Through the Lands , che mira a collegare 13 fotografe da tutto il mondo per mostrare il loro punto di vista unico sui paesi che visitano.
È una delle 100 ” Donne Street Photographer ” presentate nel libro curato da Gulnara Samoilova e curato da Prestel Publishing.
Nel 2019 e nel 2020 è curatrice ospite di Women In Street , una grande comunità internazionale di donne fotografe di strada.
Nel 2021 rappresenta la comunità Women Street Photographers , per conto della sua fondatrice Gulnara Samoilova, al Trieste Photo Days .
Da gennaio 2022 collabora con il Centro di Alimentazione Consapevole a un progetto annuale per aiutare i giovani con disturbi alimentari attraverso la fotografia.
A settembre 2022 viene scelta da Magazzini Fotografici per lavorare a un progetto personale sponsorizzato dal Museo Madre (Napoli) sul tema “Utopia/Distopia” .
A maggio 2023 viene invitata come Guest Speaker e Giudice all’Italian Street Photo Festival .
A giugno 2023 è stato pubblicato un articolo su Francesca sulla rivista italiana ” Il Fotografo ” .
A settembre 2023 Francesca vince il secondo premio con la sua raccolta “Napolism” al Gothenburg Street Photo Festival .
Nel 2023 viene invitata da Eyeshot Magazine a realizzare una serie di photowalk e photo-experience a Napoli, durante la Eyeshot Open Call Exhibition presso Magazzini Fotografici.
Nel 2023 collabora con Fujifilm Italia per raccontare il Summer Jamboree Festival di Senigallia (Italia).
A marzo 2024 il suo nome compare tra i 5 Masters of Street Photography sulla rivista online Fotocult.it.
A fine marzo 2024 Francesca pubblica la sua prima Zine con Docu Magazine . La Zine mostra 20 foto scattate al Magh Mela Festival in India nel gennaio 2023.
A settembre 2024 è ospite e giudice al Gothenburg Street Photo Festival in Svezia.
A ottobre 2024 è ospite e giudice all’Istanbul Street Photography Festival in Turchia.
Attualmente insegna arte e fotografia.
CITTA’ DI CASTELLANZA – VA
VILLA POMINI – Via Don Luigi Testori, 14 – Castellanza (Va)
16 marzo – 27 aprile 2025
Orari visita: sabato 15/18,30 – domenica 10/12,30 – 15/18,30
Chiuso il 20/04/2025 Pasqua – Aperto lunedì 21/04/2025 pomeriggio
Ingresso libero
NO WAR
GAZA. “I GRANT YOU REFUGE”
Fotografi palestinesi: Jihad Al-Sharafi, Mahdy Zourob, Mohammed Hajjar, Omar Naaman, Saeed Mohammed, Jaras Shadi Al-Tabatibi
A cura di Paolo Patruno
Una mostra fotografica collettiva che presenta immagini straordinarie di sei fotografi della Striscia di Gaza, in rappresentanza delle decine di fotoreporter che vivono e lavorano nella zona, testimoni oculari di uno dei conflitti più devastanti del nostro tempo.
La mostra vuole dare voce e visibilità alla sofferenza e alle atrocità che il popolo palestinese sta subendo, nel silenzio assordante dei media occidentali.
La mostra prende il nome da una delle ultime poesie della poetessa, scrittrice e insegnante palestinese, Hiba Abu Nada. La poesia è stata scritta il 10 ottobre, appena dieci giorni prima della sua morte, uccisa nella sua casa nel sud di Gaza da un attacco aereo israeliano il 20 ottobre 2023.
“Essere palestinesi è una storia intrecciata di resilienza, dolore e speranza. Ogni fotogramma catturato porta il peso di una nazione che lotta per la giustizia e la pace. I fotografi documentano non solo la distruzione, ma anche lo spirito inflessibile del popolo palestinese, i bambini che giocano in mezzo alle macerie, la forza silenziosa delle madri e la fermezza di una comunità che si rifiuta di essere spezzata.
“Essere un giornalista a Gaza non significa solo tenere in mano una macchina fotografica; significa rischiare tutto per mostrare al mondo la verità. I fotografi non sono immuni alla violenza che documentano, stando sulla linea del fuoco, sono presi di mira proprio come le persone tra cui si trovano.
“Ogni click delle loro macchine fotografiche potrebbe essere l’ultimo, ma continuano perché le loro storie, le loro voci e la loro esistenza contano. Attraverso i loro obiettivi, si sforzano di preservare la verità e l’umanità, sperando che le immagini possano rompere le barriere dell’indifferenza e accendere la solidarietà.
“A Gaza, dove la vita e la morte sono spesso separate da istanti, questi fotografi non scattano solo foto, le vivono. Ogni clic dell’otturatore è un battito del cuore, ogni immagine è una testimonianza.
Queste storie, crude e senza filtri, devono essere condivise per ricordare al mondo le lotte, i sacrifici e la speranza incrollabile di ogni fotoreporter, di ogni palestinese.”
(di Shadi Al-Tabatibi)
NO WAR
JEROME BARBOSA
UCRAINA. NONOSTANTE L’OSCURITA’
Il volontario in Ucraina è un fenomeno unico, senza il quale il Paese difficilmente sarebbe sopravvissuto. In passato, la società civile ha resistito con successo a una dittatura interna e ora le organizzazioni di volontariato acquistano munizioni e mezzi militari, finanziano lo sviluppo di droni e affittano persino satelliti.
In ogni angolo dell’Ucraina e oltre i suoi confini è possibile incontrare queste persone che portano l’acqua negli ospedali bombardati, evacuano animali dal fronte, riparano veicoli per i soldati, raccolgono denaro per l’equipaggiamento e vanno loro stessi a combattere.
Jérôme Barbosa è nato nel 1978. Nel 2003 ha lavorato per un periodo come assistente per il laboratorio Demi- Teinte e come archivista per il fotografo di moda britannico Steve Hiett. Il suo rapporto sulla tossicodipendenza ad Atene è apparso sulla rivista greca Kathimerini nel 2008. Nel 2010, la rivista di critica sociale Z ha pubblicato le sue fotografie e i suoi disegni. Lo stesso anno, ha lavorato al lungometraggio di Pierre Pinaud: « Parlez-moi de vous », con Karin Viard come interprete principale. Ha esposto due volte i suoi reportage al festival BarrObjectif,
nel 2012 (Cronache ateniesi) e nel 2013 (Nadrupe, ultimi riti).
Nel 2012 la rivista americana indipendente Un<>Cut ha pubblicato il suo reportage sull’Atelier du Non-Faire. Nel2013, la galleria Adrian Bondy – Mind’s Eye ha esposto le sue fotografie e i suoi disegni. Lavorò più volte per le edizioni Cornélius (« La crème de Crumb », « Les Filles de Montparnasse», vol. I, II et III, et « Vie de Mizuki 2 »). Nel 2016, pubblicazione della raccolta di poesie « Le jouet triste » di Ishikawa Takuboku (ed. Arfuyen), tradotta in collaborazione con Alain Gouvret.
Nello stesso periodo, Le Dernier Cri, dopo avergli aperto le pagine di « Hopital Brut n°10 », pubblica « 61⁄2 », una raccolta dei suoi disegni. Dal 2014 il suo lavoro grafico è regolarmente esposto nel circuito delle gallerie Spacejunk. La rivista indipendente Banzaï ha pubblicato un portfolio dei suoi disegni nel numero Special Horror di maggio 2017. Nel 2018 è stato pubblicato dalla rivista Hey! Modern Art & Pop Culture e lavora su uno dei loro temi come designer. Nel febbraio 2020, ha rappresentato due dei suoi brevi spettacoli sul palco del Générale (a Montreuil). Nel luglio 2023 gli è stata assegnata una residenza artistica presso il Castello di Lourmarin, grazie all’intervento dell’Accademia di Belle Arti di Parigi, per continuare il suo lavoro dedicato all’Ucraina iniziato nell’aprile 2022. Nel settembre2023 espone “Solidarités” al festival BarrObjectif e alcune di queste fotografie saranno pubblicate nell’opera collettiva « Ukraine: a war » crime di Foto Evidence.
NICOLE PECOITZ
KAMISARAKI? – 72 ORE NELLE ALTITUDINI
Kamisaraki?” in lingua aymara vuol dire “ciao, come stai?”. Me l’ha insegnato Huilbert, il giovane che mi ha ospitato in casa sua una notte dell’agosto 2022. Seduti attorno a una bollente zuppa di semolino, accanto alla moglie Estephania e alla piccola Gavi, abbiamo condiviso le nostre vite. Huilbert e la sua famiglia abitano in una piccola casa rossa col tetto in lamiera nel villaggio di Luquina, sulle sponde del lago Titicaca, il più alto del mondo (3.812 m sul livello del mare).
Dopo l’arrivo a Lima e una sosta ad Arequipa, il viaggio nelle comunità autoctone Aymara, Quechua e Uros parte da qui. Le larghe gonne delle donne di Taquile che danzano al ritmo del flauto di pan, le venditrici di foglie di coca sulla salita verso le cime delle Ande, le case intrecciate di rami di totora sulle Islas Flotantes vengono osservate raccontate e fotografate in una prospettiva antropologica.
Questa mostra è il risultato di quei giorni, brevi e intensissimi, dal Lago Titicaca alle montagne di Vinicunca: un reportage etnografico attraverso le terre alte del Perù, in connessione con i popoli del luogo, ciascuno portatore di tradizioni ancestrali che convivono con la quotidianità di una vita fatta di semplicità e resilienza. Attraverso una selezione di immagini in cui bianco e nero e colore si intersecano, la mostra si propone di trasmettere non solo la bellezza visiva di questi luoghi, ma le singole identità incontrate, radicate in una relazione intima con il territorio.
L’allestimento suggestivo, concepito come un flusso narrativo continuo, intreccia fotografie e parole in un dialogo che accompagna il visitatore lungo tutto il viaggio; proprio come in un film documentario o in un libro illustrato, il racconto viene trasmesso attraverso i due canali in maniera contemporanea e sinottica. L’immagine quindi non è protagonista, così come non lo è la parola, in quanto entrambe collaborano con i loro tratti peculiari alla creazione dell’esperienza etica ed estetica.
“Kamisaraki? – 72 ore nelle altitudini” non è solo un diario di viaggio, ma una celebrazione dell’autenticità e della forza delle comunità autoctone, oggi più che mai custodi di una saggezza legata alla natura. Tuttavia, l’invito a riflettere sull’importanza di preservare questi patrimoni immateriali in un mondo sempre più dominato dalla globalizzazione è accompagnato da uno ben più urgente: preparare lo zaino e partire. Per poter rispondere, se qualcuno mai ci chiederà come stiamo, Waliki, “sto bene, grazie”.
Di origini basche e argentine, Nicole Pecoitz (1996) è nata e cresciuta a Milano, dove vive. Le sue radici diffuse l’hanno abituata fin da piccola a lunghi e frequenti viaggi, che da anni trovano narrazione nella sua rubrica digitale L’Elzeviro Viaggiatore. Dopo gli studi classici, ha studiato Lettere moderne all’Università degli Studi di Milano, all’Università di Edimburgo e all’Università di Warwick, laureandosi con due tesi sull’opera, il pensiero e le fotografie di Tiziano Terzani. Fotografa e curatrice, la sua ricerca si concentra sul rapporto tra fotografia e letteratura, con un particolare riguardo per quella contemporanea odeporica di natura etnografica. Ricercatrice presso l’archivio Terzani, ha curato la sezione iconografica dell’edizione illustrata de Un indovino mi disse (Longanesi, 2024). Nel 2022 ha vinto il premio AIF Nuova Fotografia. Ad oggi, tra viaggi e mostre, è assistente alla ricerca presso l’Università degli Studi di Milano.
OLGIATE OLONA – VA
CHIESA DEI SANTI INNOCENTI – Via L. Greppi, 9/11 – Olgiate Olona (VA)
30 marzo – 27 aprile 2025
Orari visita: sabato 15/18,30 – domenica 10/12,30 – 15/18,30
Chiuso il 19 e il 20 aprile 2025 – festività di Pasqua
Ingresso libero
TERRA MADRE
Fotografie di: Petrut Calinescu, Luca Catalano Gonzaga, Peter Caton, Yasuyoshi Chiba, Stefano De Luigi, Andrea Frazzetta, Marco Garofalo, Alessandro Gandolfi, Marco Gualazzini, Alessandro Grassani, Luca Locatelli, Robin Hammond, Pascal Maitre, Steve McCurry, Frederic Noy, Tony Karumba, Andrew McConnell, Alessio Perboni, Kris Pannecoucke, Sumy Sadurni, George Steinmetz, Luis Tato, Sven Torfinn, Tommy Trenchard, Bruno Zanzottera.
Alluvioni, siccità, cicloni, invasioni di cavallette: in Africa si moltiplicano i disastri naturali e milioni di persone subiscono gli effetti devastanti di fenomeni meteo avversi, sempre più intensi e frequenti, che si accaniscono su luoghi già fragili come il Sahel e il Corno d’Africa, da dove originano migrazioni e instabilità. Il continente africano paga il prezzo più alto per i cambiamenti climatici. Vittime predestinate sono le popolazioni più povere e vulnerabili, quelle che paradossalmente contribuiscono meno alle emissioni di gas nocivi nell’atmosfera.
I cambiamenti climatici hanno ripercussioni sul mantenimento della pace. Un recente studio dello Institute for Security Studies ha rivelato una connessione tra le temperature dell’atmosfera e la geopolitica: un riscaldamento dell’aria di 0,5 °C aumenta del 15% il rischio di conflitti mortali. Non esiste un nesso causale diretto facilmente definibile tra cambiamento climatico e conflitto.
Tuttavia lo studio ha dimostrato che i fenomeni meteo avversi – siccità alluvioni – creano scompensi (per esempio, massicci spostamenti di popolazione) o esasperano tensioni preesistenti (legate all’accesso a risorse e fonti vitali), aumentando i rischi per la sicurezza e la probabilità di conflitti violenti. In questo senso, il cambiamento climatico è un “moltiplicatore di rischio”, un “amplificatore di fragilità” o un “catalizzatore di tensioni”. La dissennata opera dell’uomo – di cui il riscaldamento globale è solo una delle conseguenze – mette in pericolo preziosi ecosistemi, terrestri e marini. Vaste regioni sono sconvolte da processi di inaridimento e di abbandono dei territori, problemi di inquinamento o di eccessivo sfruttamento, perdita o impoverimento della biodiversità.
Le ripercussioni vanno fino al patrimonio culturale. È stato calcolato che, soprattutto per l’innalzamento del livello dei mari, entro il 2050 potrebbero scomparire 191 siti africani classificati dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”: da Leptis Magna in Libia all’Isola di Mozambico.
Negli ultimi dieci anni la popolazione colpita da insicurezza alimentare è aumentata di quasi il 40% rispetto al decennio precedente. Si stima che entro il 2030 in Africa fino a 120 milioni di persone estremamente povere – che vivono, cioè, con meno di 1,90 dollari al giorno – saranno colpite da alluvioni, siccità e caldo estremo. Carenza di cibo e di acqua, mancato accesso a forme di energia pulite, cattivo utilizzo delle risorse naturali, inadeguatezza dei sistemi agroalimentari: sono tutte cause di crisi ricorrenti che fanno dell’Africa subsahariana il luogo – simbolo delle emergenze umanitarie, ma anche un laboratorio straordinario in grado di fornire insegnamenti preziosi, risposte innovative e soluzioni efficaci alle roventi e improcrastinabili questioni dello sviluppo sostenibile, della transizione ecologica, della salvaguardia dell’intero pianeta.
La mostra Terra Madre racconta la sfida della sostenibilità ambientale in Africa attraverso 40 immagini realizzate fotografi. Uno sguardo sulle urgenze più impellenti per l’umanità viste dal continente più fragile, resiliente e vitale. (Marco Trovato)
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