Intervista di Marta Calcagno Baldini
“ ‘Livio, voglio la copertina!’ mi dicevano i direttori prima che partissi. E io andavo: non si può essere un testimone senza partecipare”. Livio Senigalliesi, 25 conflitti in 30 anni di lavoro. Classe 1956, milanese, il Museo Diocesano gli dedica, fino all’8 gennaio 2023, una mostra personale a cura di Barbara Silbe (giornalista e direttore di EyesOpen! Magazine): “Bisogna che finalmente Senigalliesi sia conosciuto anche in Italia” spiega, svelando una caratteristica fondamentale del fotografo milanese: i suoi reportage sono stati pubblicati più spesso sui più importanti giornali stranieri (El Mundo, El Pais, The Guardian, The Indipendent, Le Monde, Le Nouvel Observateur, Die Welt, Der Spiegel, fino al Los Angeles Times o Time Magazine). In italia soprattutto “Epoca” e “L’Europeo”.
In mostra si trova una selezione di 50 fotografie, raccolte in numerosi scenari di guerra dal Medio Oriente al Kurdistan, dal Kuwait all’Unione Sovietica fino all’Africa: “Non ho staccato mai per 40 anni – dice Senigalliesi – e sono andato avanti come attratto da un file rouge che sta più nel valore storico della documentazione che dalla fotografia stessa”. E rivela, a sorpresa: “Io non sono un appassionato di fotografia: uso la macchina come uno strumento. Mi interessa vivere la storia mentre accade. Attraversando le sue contraddizioni le prime linee, andando da una parte e dall’altra”.
Ogni sua parola, davanti a immagini di soldati, di carri armati, di funerali di bambini, di palazzi distrutti, o l’approfondimento sul Vietnam sugli effetti sulle popolazioni locali dell’Agent Orange, il defoliante alla diossina nebulizzato dagli americani sulle zone di foresta dove i vietcong si annidavano, conferma che sono fotografie che vengono anzitutto dal rispetto della situazione in cui si trova. Non c’è un giudizio e non c’è gusto sadico per l’orrore e la sofferenza. Durante l’assedio di Sarajevo, dal 1992 al 1996, i giornalisti stavano nell’Holiday Inn, l’hotel diventato rifugio di -quasi- tutti gli inviati. “Io arrivavo lì ogni tanto, schivando le pallottole, perché c’era l’unico telefono satellitare. Erano tutti in quell’albergo perché c’erano i generatori di corrente che andavano a benzina. Avevano il caldo e la luce. Quando arrivavano quelli come me in albergo venivano a farmi le domande. A volte raccontavo ciò che vivevo e vedevo, altre no. Nel 1991 sono partito commissionato dal settimanale Europeo per la ex Jugoslavia e tornai a casa nel 2000. Mi muovevo come si muoveva il fronte e imparavo dalla gente, vivendoci insieme”.
Racconta, con la erre moscia, e ascoltandolo si ha conferma di ciò che le sue immagini dicono chiaramente: ogni situazione è colta con una sensibilità data dall’approfondimento. “La complessità di una guerra o di un assedio come quello, ad esempio, di Sarajevo si può capire vivendolo da parte dell’assediato e dell’assediante – spiega ancora Senigalliesi -. Spesso anche l’assediante vive le stesse tragedie dell’assediato”. E bisogna sapersi muovere: “La prima cosa da imparare è la lingua, è determinante per capire cosa ti accade intorno, o trattare con i soldati che ti vogliono uccidere. Sono stato anche davanti a un plotone di esecuzione, dovevo essere fucilato. Poi, solo per il fatto che parlavo il serbo, li ho convinti a chiamare via radio il loro capo, che gli ha intimato di lasciarmi andare, dato che avevo tutti gli accrediti previsti per un reporter in zona di guerra. I miei lanzichenecchi mi avevano già detto ‘togliti le scarpe che non ti servono più’. Io stavo già con le gambe dentro un fiume. Eravamo in undici in fila e alla fine nel fango ho raccattato soldi e le macchine fotografiche che mi volevano rubare e mi sono salvato”. E conclude “Gli altri 10 però li hanno fucilati. Capisci che poi torni a casa con un dolore e un senso di colpa che ti perseguitano, ti chiedi “perché io no?”. Mi hanno messo tante volte il coltello alla gola. Mi hanno rubato tutto, i rullini: un mese di lavoro. Li buttavano nel fuoco. Io non mollavo. Ero una lastra di acciaio. Solo facendolo ho scoperto che ero fatto per questo mestiere. Tanti miei colleghi hanno mollato, o hanno iniziato a drogarsi, o bere. Bere è istintivo. Io sempre tutti sotto controllo, ma poi esplodi”. Questo è il momento della rielaborazione. Oltre alla mostra le esperienze di foto-giornalismo di Senigalliesi sono raccolte nel libro “Diario dal fronte”, acquistabile su www.it.blurb.com (33,53 euro): un importante punto di arrivo nella sua carriera. Il suo sistema di lavoro va aldilà del reportage: “gli antropologi l’hanno chiamata ‘documentazione partecipata’ ”.
Livio Senigallliesi, “Diario dal fronte”, aperta fino all’8 gennaio 2023
Museo Diocesano Carlo Maria Martini, piazza Sant’Eustorgio 3, Milano
Orari: martedì- domenica, 10-18; chiuso lunedì
Tel. +39 02 89420019; www.chiostrisanteustorgio.it