Di Barbara Silbe
Ho incontrato questa giovane e promettente fotografa lo scorso novembre a una lettura portfolio. Il contesto specifico era quello del bellissimo WeLand PhotoFest, ospitato a Specchia, Lecce, e organizzato dall’Associazione Photosintesi. Appena visto il suo lavoro, mi è venuto spontaneo di prenderla un po’ in giro e dirle “Ma tu, sinceramente, che cavolo ci fai qui?”. Da principio rimase sconvolta. Giusto il tempo di un silenzio, poi le spiegai il senso della mia domanda, e il senso era che è piuttosto brava e mi sarei aspettata di confrontarmi con lei a un livello superiore. Cristina Pappadà scoppiò il lacrime per la felicità e non si fermava più. E la sua reazione mi fece pensare a quanto tenesse alla Fotografia, più ancora che al suo ego. Il tema del festival pugliese era dedicato al paesaggio e lei, classe 1990, affascinata dalle immagini fin da bambina e avvicinatasi consapevolmente al mezzo solo nel 2014, usa le forme del corpo e del paesaggio per comunicare sensazioni e stati d’animo.
Il suo stile è già connotato di personalità, nonostante sia evidente la fase ancora acerba dell’espressione artistica, ed è caratterizzato da un sapiente uso del mosso e da bianchi e neri carichi di contrasto e materia, lettura emozionale ed evanescente che utilizza per mostrare al suo pubblico quello che vede nel mondo e che le passa nei pensieri.
Il portfolio che pubblichiamo si intitola XAOC.
CÀOS. Una parola di origine greca, CHÀOS, il cui significato primario è “fenditura” e – simbolicamente – “abisso”; che rimanda anche a un’altra parola greca, CHÀO, che si traduce come “sono vuoto”. Ogni giorno ci muoviamo tra moltissime informazioni e stimoli. Viviamo sommersi da immagini e testi, in aggiornamento continuo davanti ai nostri occhi via social, web, tv e nella vita reale. Sostenerle e immagazzinarle produce dipersione di energia, confusione, caos appunto.
Con le sue fotografie, Cristina Pappadà, ha cercato di dare un senso al suo caos interiore – che è uguale a quello vissuto da ognuno di noi – inquadrando movimenti, forme umane e luoghi geografici in continuo intercalare tra volumi e prospettive. luci e ombre. Dal paesaggio corporeo a quello che ci circonda e ci ospita, si giunge alla prova finale: l’accettazione di sé e dell’umana condizione. Non c’è ancora quiete, nemmeno nei rami che si arrampicano nel cielo. Non è presente un punto di arrivo per questo vagare. Sembrano istanti, sussuti, stadi di passaggio verso la sua coscienza. La fotografia diventa così una cura, uno sfogo e un modo per dare risposta alle numerose domande che di certo la tormentano.
Instagram: @cristinapappada